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 2015  gennaio 31 Sabato calendario

SARÀ VERA CRESCITA?

Addio al segno meno. Per il momento è questo l’effetto più probabile di una combinazione di fattori positivi per la crescita dell’Italia che non si vedeva almeno dall’inizio della Grande Crisi, nel 2007. Un cocktail magico che mette insieme discesa del prezzo del petrolio, tassi a lungo termine ulteriormente ridotti dal Qe della Bce e svalutazione dell’euro come diretta conseguenza dello stesso Quantitative easing firmato Draghi. Cui si è aggiunto, venerdì 30 gennaio, il dato sulla disoccupazione di dicembre, diramato dall’Istat, che per la prima volta ha visto una riduzione del tasso dei senza lavoro in Italia. Ed è per questo che tutti i principali istituti di ricerca economica, compresi quelli che fanno capo alle banche, hanno cominciato ad alzare le stime sulla crescita del pil nel 2015 interrompendo la triste abitudine che negli anni scorsi vedeva le stime iniziali progressivamente ridotte fino a passare in negativo, rispecchiando l’amara realtà di un prodotto interno lordo ridottosi del 9% nell’arco degli ultimi sette anni.
Il primo a manifestare maggiore ottimismo è stato lunedì 26 gennaio Paolo Basilico, presidente e amministratore delegato della società di investimenti Kairos, che ha pronosticato una crescita per il 2015 del 2,5%. «Una stima molto più ottimista rispetto al consensus di mercato», ha ammesso Basilico, e quasi interamente dovuta al ribasso del petrolio (per l’1,5%) e all’indebolimento dell’euro (+0,6/0,7%). Tra gli uffici studi, la prima a invertire la tendenza è stata la Banca d’Italia, che il 28 gennaio, pochi giorni dopo l’ormai storico Qe di Eurolandia, ha migliorato all’1,2% le stime di crescita per l’anno in corso. Fabio Panetta, vicedirettore generale di Palazzo Koch, ha dichiarato che «la crescita italiana nei prossimi mesi sarà significativamente superiore alle ultime previsioni». Le quali per il 2015 e il 2016 indicano rispettivamente un +0,4 e un +1,2%. A Via Nazionale ha fatto eco la Confindustria, il cui Centro studi ha anch’esso diffuso stime più ottimistiche, indicando una crescita del 2,1% per 2015 e del 2,5% per l’anno prossimo. Tuttavia «quelle percentuali non sono che la somma degli effetti sul pil degli shock positivi in atto, ma alcuni erano già stati incorporati nelle precedenti stime», riferisce un economista. Sta di fatto che anche la principale associazione imprenditoriale italiana ha migliorato le stime, seguita da altri istituti come Prometeia e Ref, entrambi con stime intorno a un +0,7%, al apri di Intesa Sanpaolo. E pure Nomisma, che non pubblica stime, per bocca del capo economista Sergio De Nardis, si mostra più ottimista.
In atto insomma c’è una serie di shock positivi esterni, come li definiscono gli economisti, cioè di fenomeni che riguardano tutta l’economia mondiale e di cui sta cominciando a beneficiare anche l’economia italiana, sulla quale potrebbe essere tornato a brillare lo Stellone. Ma proprio perché si tratta di tendenze su cui il tessuto economico italiano e le autorità politiche del Paese non hanno praticamente alcuna influenza, è bene mantenere una certa cautela riguardo i loro effetti sull’azienda Italia. Non a caso tra gli economisti interpellati da MF-Milano Finanza prevale una certa prudenza nell’applicare ai rispettivi modelli econometrici gli effetti del magico cocktail. Perché la vera sfida del 2015 per l’economia tricolore è provare a ribaltare le aspettative di discesa dei prezzi da parte di imprenditori e consumatori; va infatti ricordato che deflazione vuol dire aumento dell’onere reale del debito (compreso quello delle famiglie), rinvio delle decisioni di spesa in attesa di prezzi migliori e anche posticipo dei progetti di investimento delle aziende, perché i prezzi in discesa comprimono margini di profitto e ritorni sul capitale.
Ed è proprio l’inversione delle aspettative deflazionistiche l’obiettivo del Qe. Certo, la Bce deve ancora entrare in azione. Gli acquisti di titoli di Stato per 60 miliardi al mese partiranno solo a marzo. Tuttavia il mercato non sembra scontare per il momento un effetto determinante sulle aspettative di inflazione. «A fine anno le aspettative di inflazione erano allo 0,5%, stando al rendimento dei Bund decennali legati all’inflazione; questo rendimento è salito prima del 22 gennaio all’1%, proprio nell’aspettativa che Draghi lanciasse il Qe», riferisce Franco Paternollo di Compagnia Privata sim. Quindi l’annuncio fatto da Draghi per ora ha aumentato di mezzo punto l’inflazione attesa. Tuttavia si è ancora ben lontani, quasi un punto percentuale, dal fatidico 2% posto come obiettivo dall’Eurotower. Non a caso attualmente gli economisti non si dividono tanto tra ottimisti o pessimisti, bensì tra chi è più o meno fiducioso che l’azione della Bce riuscirà nell’intento di instillare maggiore fiducia tra i consumatori e tra le imprese, ovviamente rendendo con la sua azione sempre meno conveniente per le banche, specialmente quelle italiane, l’investimento in titoli di Stato, in tal modo stimolando il credito. Perché, come sottolineato dagli economisti, a mancare all’appello sono sempre gli investimenti produttivi, dovuti anche al persistente eccesso di capacità produttiva.
Inoltre non deve alimentare facili entusiasmi il dato diffuso dall’Istat venerdì 30 gennaio sull’occupazione in dicembre, dove per la prima volta si evidenzia un calo del tasso dal 13,3 al 12,9%. Questo perché nel solo novembre 2014 non meno di 48 mila persone avevano perso il posto di lavoro. Il dato più recente evidenzia dunque soltanto che l’emorragia ha rallentato. Ma ciò non basta a migliorare le aspettative delle famiglie, e quindi le decisioni di spesa, considerato che se l’indice di fiducia dei consumatori è migliorato di 4 punti, ciò è dovuto alla loro buona percezione degli ultimi positivi sviluppi piuttosto che a un miglioramento delle rispettive situazioni economiche.
La stessa riduzione del prezzo del petrolio può rivelarsi un’arma a doppio taglio. Come evidenzia Luca Mezzomo di Intesa Sanpaolo (si veda box a pagina 9), la fine del caro-benzina migliora il saldo dei conti con l’estero e frena i prezzi al consumo, quindi aumenta il potere d’acquisto. Ma un più elevato potere d’acquisto non si traduce necessariamente in maggiore spesa. In realtà aumenta il risparmio, ma, se la cosa è percepita come transitoria, l’effetto sui livelli di spesa è modesto, soprattutto se le aspettative circa la situazione economica personale non migliorano. La situazione è ben sintetizzata dall’Istat, che nella nota mensile così commenta le previsioni sull’economia italiana nel primo trimestre 2015: «In gennaio l’economia italiana ha mostrato segnali di un possibile recupero della domanda interna. Indicazioni favorevoli provengono dalla produzione e dagli ordinativi esteri di alcune componenti rilevanti del comparto dei beni strumentali. Con riferimento alle famiglie, il rialzo del clima di fiducia è stato sostenuto dal significativo miglioramento delle aspettative. L’aumento del reddito disponibile reale nel terzo trimestre si è riflesso in un aumento del tasso di risparmio. Le condizioni del mercato del lavoro, tuttavia, rimangono difficili, con un tasso di disoccupazione ancora elevato». Insomma la situazione è migliorata, ma l’incertezza resta tanta.
Giuliano Castagneto, MilanoFinanza 31/1/2015