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 2015  gennaio 31 Sabato calendario

«MEZZO SECOLO SENZA CAMBIARE MAI COSTUME»

Mai nessun attore ha interpretato tanto a lungo lo stesso ruolo: 54 anni, la prima volta a New York nel 1960, in sostituzione del titolare Marcello Moretti, e poi stabilmente dal 1963. In tutto il mondo, Arlecchino è lui, Ferruccio Soleri. A 85 anni, pensa a maggio, quando Arlecchino servitore di due padroni rappresenterà la nostra tradizione a Expo 2015, e alla tournée dell’autunno. Non certo alla pensione. Pare avere fatto un patto con il demonio. Ride. «È Arlecchino che ha fatto il patto col diavolo, non certo io».
E allora qual è il segreto? Il suo Arlecchino sgambetta in scena come 40 anni fa.
«Da bambino volevo fare l’acrobata in un circo: a dieci anni sapevo fare salti mortali, capriole e camminare sulle mani. Strehler lo sapeva e sfruttò queste mie doti».
Tutto qui?
«Faccio stretching e quattro piani di scale due volte al giorno. Sono attento all’alimentazione. Se voglio fare uno strappo, chiedo il permesso al medico: e non sempre lo concede».
Porta ancora la stessa taglia?
«Non solo la taglia, anche lo stesso costume. Quando si strappa basta cambiare qualche toppa… Solo le scarpette le cambio spesso».
Tanti anni dietro una maschera: nessun rimpianto?
«Sono sempre stato felice del mio personaggio e delle reazioni del pubblico. Quanto alla maschera, ogni attore ne indossa una. L’espressione del viso non è tutto: ci sono tonalità, gestualità, movenze. Poi ho anche interpretato altri ruoli e fatto parecchie regie».
Quali i suoi ricordi più belli?
«Il pubblico giapponese e quello cinese che partecipa, si diverte e che, arrivato al terzo atto, smette di seguire i sovratitoli ma non di ridere. Laurence Olivier che mi viene a trovare in camerino e che, emozionato, mi dice quanto avrebbe voluto essere me quella sera».
Non siete rimasti in molti della sua generazione ancora attivi.
«Giorgio Albertazzi che come attore mi piace, meno come persona, Gianrico Tedeschi che nei panni di Pantalone fu anche lui nell’Arlecchino, Franca Valeri che conobbi all’Accademia a Roma, Paolo Poli con cui – ai tempi in cui ero studente a Firenze - lavorai in una compagnia di dilettanti di cui era regista Beppe Melegatti».
In questi giorni c’è un altro Arlecchino in scena, Paolo Rossi.
«Un Arlecchino fuori dalla tradizione, come invece è il mio. È bravo, convince il pubblico».
Ha pensato a un erede?
«Ho un sostituto, Enrico Bonavera, cui ho insegnato a essere Arlecchino, come io lo appresi da Moretti e Strehler. Insegnare mi piace. In passato ho tenuto spesso lezioni e seminari sulla commedia dell’arte. Anche alla scuola del Piccolo. Peccato che da quando c’è Ronconi non mi chiamino più. Forse non mi ama per via di Strehler?».