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 2015  gennaio 31 Sabato calendario

IL CANNONE DEL GIANICOLO E LA CAMPANA INNOCENZA. ECCO LA LITURGIA LAICA PER IL NUOVO PRESIDENTE

Il rito è lo specchio e la fabbrica del potere.
E anche quando si celebra una singola persona, nel caso del nuovo presidente della Repubblica, è tutta la comunità politica che in realtà si rigenera ponendo termine al vuoto e ritrovando il proprio posto nell’ordine simbolico che in era mediatica scorre sui teleschermi dell’intera nazione.
A Montecitorio questo rito prende vigore nel momento in cui un grande applauso segnala il raggiunto quorum. L’eletto in genere è solo, sulla soglia della mutazione di status, spesso in raccoglimento. Sergio Mattarella potrebbe attendere i risultati nel Palazzo della Consulta, dove in questi giorni è stata approntata una sala ad hoc, ma anche alla Camera non mancano spazi in cui vivere questo delicato passaggio.
In aula, Laura Boldrini proclama l’elezione e annuncia che la lunghissima seduta, contraddistinta da oggetti simbolici dai nomi abbastanza evocativi — l’«insalatiera», i «catafalchi » — è chiusa. Tocca a lei, insieme con la vicepresidente del Senato Fedeli (il presidente Grasso svolge il ruolo di Supplente) e i Segretari generali delle due Camere, comunicare l’esito delle votazioni all’eletto, recandogli anche una copia del verbale di seduta.
Da questo punto in poi il cerimoniale è stabilito dalle consuetudini, ma anche variabile nelle sue forme. Lo delinea, più che disciplinarlo, un leggendario «Libro dei cento», una nota lunga cento righe che risalirebbe al 1948 e di cui si trova traccia in alcuni testi, al quale comunque si sovrappone con minime differenze un promemoria redatto in occasione dell’elezione di Saragat (1964).
L’elezione, in ogni caso, non basta a fare il presidente. Serve il giuramento, che avviene sempre in seduta comune, di solito in un’altra giornata. Perciò la mattina una automobile del Quirinale, che può essere la famosa Flaminia decappottabile (le controindicazioni sono di ordine meteorologico e di sicurezza) con a bordo il Segretario Generale va a prendere il neo eletto e lo conduce alla Camera, dove sul portone è accolto dalla presidente e dalla vicepresidente del Senato. Sulla piazza picchetti militari presentano l’onore delle armi. Dentro, i commessi schierati in alta uniforme con catenella e medaglione. E’ previsto anche un breve momento di contatto con gli operatori dell’informazione: nel tempo delle visioni a distanza non c’è rito che possa farne a meno.
Si è sciolta nel frattempo la campana di Montecitorio: si chiama «Maria Antonia Innocenza » (in onore di Papa Innocenzo XII); pesa 8.333 kg (la decima al mondo) e reca iscritto nell’antico suo bronzo « Diligite iustitiam qui iudicatis terram ». Quando la piazzarono sul campanile, nel 1695, le fu concessa l’autorità di mettere in fuga le tempeste, i turbini, gli incantesimi, oltre a invitare «i fedeli alla divozione ».
Si può aggiungere che come ogni liturgia anche questa vive di suoni, botti, colori, trasbordi, paramenti, movimenti, anche di animali, insomma rappresentazioni simboliche nelle quali, semplificando un po’, si mette in atto e in scena un mito. O almeno a tale conclusione sono giunti i grandi dell’antropologia che hanno studiato le cerimonie di intronazione, Van Gennep, Durkheim, Lévi-Strauss, Eliade.
Quando l’eletto, entrato nell’aula con una scorta di carabinieri in alta uniforme, pronuncia la formula del giuramento, da Montecitorio parte una telefonata e dal Gianicolo il cannone spara 21 colpi a salve; di nuovo rimbomba la campana «Innocenza». Quindi il presidente si siede sullo scranno più alto scambiandosi il posto con la Boldrini. Fermo lassù, la sua figura colma finalmente un’assenza, la crisi si è risolta; ma la sua presenza ha il senso di una rinascita, ricollega passato e futuro, linguaggio astratto e dimensione fisica; in sostanza il potere ricarica le proprie energie e la comunità si ritrova.
Nell’aula addobbata con festoni tricolore il primo discorso presidenziale può essere breve o lungo. Intanto, ai carabinieri hanno dato il cambio i corazzieri. Quando il Capo dello Stato esce dalla Camera, sempre accompagnato dai presidenti delle assemblee, parte la fanfara con l’inno nazionale. Di nuovo in macchina. Questa volta lo accompagna, seduto alla sua sinistra, il presidente del Consiglio. A tu per tu con Renzi. Seguono 18 motociclisti corazzieri. Quindi tappa all’Altare della Patria, deposizione di una corona, incontro con il sindaco Marino, ulteriori onori militari, mentre tutte le alte cariche dello Stato approfittano della sosta per raggiungere il Quirinale.
In altre occasioni è in questo preciso momento che nel cielo sono comparse le Frecce Tricolori. Ma tutti gli aspetti più rombanti e spettacolari della cerimonia sono stati ridimensionati dall’ultima elezione di Napolitano. La Rai, dove già fanno gli scongiuri perché sia una giornata di bel tempo, seguirà comunque l’evento con oltre venti telecamere, tra fisse e mobili, una anche da un elicottero per le riprese dall’alto.
Quando riprende il breve viaggio verso il Colle, dietro l’automobile non ci sono più motociclisti, ma corazzieri a cavallo. Ad attendere il corteo nel cortile d’onore del Quirinale, il Prefetto Commissario dell’Amministrazione della Presidenza della Repubblica. Ancora ordini gridati, sciabole, sbattimento di tacchi. Attraverso lo scalone il Presidente raggiunge prima lo Studio alla Vetrata, dove troverà i consiglieri della Presidenza e forse lo stesso Napolitano. Qui il nuovo Capo dello Stato riceve le insegne di Cavaliere di Gran Croce, la massima onorificenza della Repubblica.
Si sposta quindi nella Sala dei Corazzieri, dove lo attendono le alte cariche dello Stato. Stavolta è il presidente Grasso a porgere, come da prosa «cerimonialese», un breve indirizzo di saluto. A cui il nuovo presidente risponde con un secondo breve discorso, al termine del quale si calcola che in quella sede egli stringa circa 400 mani. Ritorna dunque la dimensione fisica e con essa rivive il sentimento di appartenenza. Sul tutto aleggia — o dovrebbe — un soffio ineffabile che potrebbe identificarsi con il sacro. Ma questo, perché sia vero, occorre sentirlo con il cuore. Altrimenti il potere è vuoto, o ridicolo, o eccessivo, comunque inutile nella sua superbia.
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disegno di Giancarlo Caligaris