Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  gennaio 30 Venerdì calendario

ROTH SVELATO (INCLUSA UNA SERA A CASA DI JACKIE)


La prima moglie, figlia di un alcolista che durante la loro frequentazione era in galera per furto, lo convinse a sposarla mettendogli in mano un campione di urine. «Il risultato positivo è che non è incinta o che lo è?» ironizzò Philip Roth col farmacista, al ritiro dei test. Presto litigheranno ferocemente. Lui dice che la lascerà e lei, corroborata dal whisky, confessa che la pipì incriminata apparteneva a una prostituta, appunto, incinta. L’aveva fregato (incassando anche i soldi di un aborto mai avvenuto). Certa realtà sull’autore di Pastorale americana e svariati altri capolavori supera la finzione. E anima le pagine di Roth scatenato (Einaudi, pp. 412, euro 22), la bellissima biografia che Claudia Roth Pierpont (nessuna parentela) ha scritto al termine di otto anni di interviste sfociate in un’amicizia («Ne sarei onorata» rispose lei quando le chiese di leggere un manoscritto. «Non lo sia, o non mi servirà in alcun modo» tagliò corto lui).
C’è di tutto. I cinque anni di psicanalisi e la scarsa valutazione finale della pratica. La schiena spaccata durante l’addestramento militare che per una vita l’ha costretto a scrivere in piedi. Sandy, il fratello bello, e lui quello intelligente. La promessa solenne (vistosamente disattesa), subito dopo il Lamento di Portnoy, davanti a un panino al pastrami di Stage Delicatessen: «Non scriverò mai più sugli ebrei». La gioventù come «acquisizione della padronanza dei miei muscoli piccoli», come avrebbe definito poi l’arte masturbatoria. E poi le donne, tante e diverse.
Inclusa, a sorpresa, la vedova Kennedy. La conosce a una festa, un anno dopo l’assassinio di John Fitzgerald, «dove parlarono a lungo (“una donna intelligente”), ma lui era troppo intimidito – e, aggiunge, non aveva il guardaroba giusto – per sostenere una relazione del genere». Quando lei gli chiede di accompagnarlo a un’altra cena, lui si precipita a comprare un vestito nuovo e un paio di scarpe nere. Ricorda: «Ero nervoso. Io sono mancino, a tavola si serve da destra: e se le rovesciavo addosso qualcosa?». Quando la riaccompagna a casa, nell’auto dei servizi segreti, pensa: «È il caso di baciarla? Conoscendo la storia di Lee Harvey Oswald, sarà il caso di baciarla?». Arrivati a Fifth Avenue la leggendaria Jackie lo invita a salire. I bambini sono a letto, lo informa. Quando infine la bacia, è come «baciare la faccia di una pubblicità». Si rividero solo in un paio di altre occasioni.
Dalla biografia Roth esce molto più come un monogamo seriale che come un libertino agito dai genitali. Ricorre una frase di Flaubert: «Nella tua vita sii regolare e ordinato come un borghese, così da poter essere violento e originale nella tua opera». Per dare l’addio alla scrittura Roth cita il pugile Joe Louis: «Ho fatto il meglio che potevo con quello che avevo». Due pesi massimi. Ognuno, nel proprio ring, ne ha prese e date di santa ragione.