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 2015  gennaio 30 Venerdì calendario

LE PAROLE DELLA MUSICA


Il caso di David Helfgott è diventato noto al grande pubblico nel 1996 per il film Shine, diretto da Scott Hicks e centrato proprio sulla sua storia di grande pianista e straordinario interprete di Sergej Rachmaninov. Il caso non è solo di interesse musicale e culturale, ma anche di grande significato per la psichiatria.
Il Concerto n. 3 per pianoforte di Rachmaninov, da molti considerato la sua opera più famosa, è un classico della musica romantica, un filone in cui l’interprete è particolarmente importante proprio perché deve mettere in risalto i sentimenti, i passaggi dalla gioia al dramma che riportano allo Sturm und Drang, tempesta e impeto.

Le regole del padre
David Helfgott, secondogenito di cinque figli di una famiglia ebrea di origine polacca, nasce il 19 maggio 1947 ed è tuttora vivente (Gillian Helfgott con Alissa Tanskaya, David e Gillian: un grande amore, Sperling & Kupfer, 1997). Il padre Elias Peter, un rabbino chassidico che coltivava con particolare attenzione l’uso della musica nella formazione religiosa, trasmette questa passione ai figli, i quali suonano tutti uno strumento. Elias Peter si accorge della dote straordinaria di David, che diventa presto nota a chiunque lo senta suonare il pianoforte. Viene preso sotto il diretto controllo del padre e la sua vita di bambino diventa del tutto speciale: deve stare attento all’uso delle mani, deve tenerle nell’acqua calda per disporre di una circolazione sanguigna più ricca, deve dedicare molte ore al pianoforte.
All’età di cinque anni comincia a tenere concerti e a partecipare a premi che regolarmente vince, tanto che la comunità ebraica della città (ora la famiglia vive a Perth) si rende disponibile a sostenere economicamente la famiglia per favorire gli studi di David con maestri di valore. Quando si trova davanti al pianoforte, sia pure per interpretare difficili composizioni musicali, riesce sempre a incantare il pubblico. David però è sempre più sotto il dominio del padre, vero esecutore della sua volontà, una sorta di sua appendice. Questa «simbiosi» viene accentuata dall’interesse della comunità ebraica, che il padre considera una minaccia. Quando David ha 14 anni la comunità mette a disposizione una somma consistente per poterlo mandare per tre anni al Curtis Institute of Music in Pennsylvania, su suggerimento del pianista Abbey Simon e del grande violinista Isaac Stern, che lo avevano ascoltato a Perth in un concerto. Il padre di David si oppone mettendo in primo piano l’importanza della famiglia rispetto alla musica.
E proprio in quel periodo cominciano a manifestarsi nel ragazzo «stranezze» comportamentali che si evidenziano all’improvviso e sembrano slegate dalla situazione concreta. David parla di «intorpidimento, come se si fosse spenta una luce... E tutto sembra diverso, polveroso». E aggiunge: «Andavo in letargo... Una specie di lotta per la sopravvivenza, come tra i ragni... E così a scuola non parlavo con nessuno e nemmeno con mio padre... Fu allora che si produsse il guasto». A 18 anni questi fenomeni diventano più frequenti, ma quando siede al pianoforte è come se prendesse un calmante.
A livello esistenziale avviene la rottura del legame con il padre: David si sente tradito, perché Elias Peter segue una logica che non è più quella di promuovere l’eccezionalità del figlio.

Un talento straordinario
Oggi è facile leggere queste manifestazioni come segni iniziali del disturbo schizofrenico che più tardi lo porterà a contatto con gli psichiatri, all’interno di una storia triste e comune a ogni schizofrenico. Ma il suo talento è ancora grande, e sembra non esserne disturbato. Gli viene proposto proprio dallo psichiatra Frank Gallaway di recarsi a studiare al Royal College of Music di Londra, sotto la guida di Cyril Smith. Una fuga da casa organizzata con il concorso e l’aiuto della comunità ebraica. Una decisione a cui nessun membro della famiglia partecipa.
Londra, che sarebbe poi diventata «la scena della grande rovina», lo accoglie con entusiasmo grazie alle sue doti musicali. Il suo maestro è «stupendo ma incredibilmente rigido. Continua a martellare sul concetto di “disciplina” una cosa che a me manca». David è sottoposto a una fatica immane e forse a questa si lega la «scoperta» dell’alcool. Studia ormai con il supporto di uno psichiatra, il dottor Lupin. Prepara il Concerto n. 3 di Rachmaninov per il 17 luglio 1969, e ottiene un successo enorme. Egli stesso scrive: «Superai di gran lunga le più grandi aspettative». Ci fu un’ovazione, e in piedi erano anche i professori, oltre che il pubblico.

L’inizio del caos
«Dopo il Rach ebbe inizio il caos. Tutto divenne completamente nebuloso e caliginoso». David chiede a Lupin di entrare in un ospedale psichiatrico, ma ne esce sofferente. E in un’esecuzione del Concerto n. 3 del marzo 1970 prova la prima sconfitta: l’esecuzione viene definita «imbarazzante e istrionica». Non restava che tornare precipitosamente a casa, dove inizia la sua peregrinazione negli ospedali psichiatrici.
Nel 1971, dopo essere stato dimesso da un ricovero di quattro mesi al Charles Gairdner Mental Hospital, conosce Clara, divorziata con quattro figli, a cui si lega ma più tardi dirà «fui più o meno irretito, adescato e forzato». Una situazione che si interrompe nel 1974 quando, ricoverato al Gray Land Hospital, preferisce rifiutare la dimissione piuttosto che tornare a casa. Esce dopo 16 mesi, nel 1975; il padre, pur sofferente per un’insufficienza cardiaca, lo accetta in famiglia (prima era rifiutato) e vuole che riprenda a suonare.

Un legame indissolubile
Alla morte del padre viene nuovamente ricoverato e rimane in ambiente psichiatrico fino a quando il dottor Chris Reynolds gli offre di andare a suonare in un locale di sua proprietà, il Riccardo’s. Qui avviene rincontro con Gillian Murray, nel 1983, che sposa l’anno successivo. Nel libro di cui è autrice si mostra nelle vesti di madre e di terapeuta: una figura che è riuscita a tenerlo fuori dalle istituzioni, sostenendolo nella sua attività di musicista. Il compito viene favorito dalla fase di cronicizzazione del disturbo schizofrenico, quella che Eugen Bleuler aveva chiamato ebefrenica e in cui le manifestazioni paranoidee e acute sono meno attive. David è ormai dominato da una sessualità meccanica, oltre che dalla dipendenza dalle sigarette (125 al giorno) e dal caffè (15-20 tazze), dentro un processo di regressione, incapace di una qualsiasi autoregolazione: «Curvo su se stesso, farfugliante come una gazza agitata e un po’ malfermo sulle gambe». Eppure, nonostante questo impoverimento delle caratteristiche mentali, quando si mette al pianoforte si trasforma, e le sue interpretazioni sono sempre molto ricche.
Tutto questo fa di David Helfgott un caso estremo, perché, nel confronto tra le capacità espressive logico-verbali e quelle non verbali e specificamente musicali c’è una distanza abissale. Le prime non solo sono scadute, ma si sono perse, come in un ritorno al preverbale. Le seconde, certo senza più il talento dell’età giovanile, hanno invece mantenuto una coerenza e una capacità comunicativo-empatica. Come a dire che la schizofrenia di Helfgott, se misurata sul piano logico verbale, lo mostrerebbe ancora frammentato, dissociato, inadeguato: ma se la valutiamo sull’espressività musicale, egli mostra non solo la capacità di relazione, ma anche di una relazione affettiva: mantiene il legame con la moglie, e attorno al suo pianoforte continua a richiamare persone.
Ricordo un caso di uno schizofrenico che aveva perduto la dimensione semantica delle parole, giungendo alla sillabazione e alla lallazione, ma cantava, bene intonato, motivi popolari della sua adolescenza. La psichiatria deve sempre chiedersi se non esista per uno schizofrenico un linguaggio alternativo a quello della razionalità, tale da permettergli non solo di comunicare ma di mantenerlo empatico. Ed è frequente trovarlo.