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 2015  gennaio 30 Venerdì calendario

VI RACCONTO L’ORIANA, GUERRIERO DEL SESSO INUTILE DIVISO TRA RABBIA E DOLCEZZA. ECCO PERCHÉ ANCORA OGGI DIVIDE GLI ITALIANI PER LE SUE OPINIONI

«Signora Fallaci, è stato leggendo i suoi libri che ho deciso di studiare giornalismo…». Chissà quanti giovani di diverse generazioni si sarebbero identificati nelle parole di Lisa, la studentessa mandata dall’università per aiutare la grande giornalista nel riordinare articoli, foto, documenti. Davanti al suo mito quelle parole le sgorgano con profonda emozione, sincera devozione. Ma la risposta è scostante e già infastidita: «Si vede che i libri l’hai letti male… io il giornalismo non l’ho mai studiato, io il giornalismo l’ho fatto».
Siamo alle prime scene della fiction tv L’Oriana e gli sceneggiatori hanno subito colto l’aspetto traumatico condiviso da chiunque sia entrato in contatto con la Fallaci per lavoro. Per tutti la prova iniziatica era con il suo caratteraccio. E molti non ce la facevano. Chi rinunciava, chi (più spesso) veniva cacciato. Ma ai superstiti spettava il premio di un’esperienza privilegiata, l’accesso a racconti straordinari, una lezione di scrittura generata da intuito, ostinazione, rigore e stile impagabili. E anche imprevedibili manifestazioni di puro affetto. Ma bastava un piccolo passo falso e la belva riemergeva.
Insomma, Vittoria Puccini ha accettato una sfida tra le più ostiche interpretando l’Oriana, detto con la confidenza e l’affetto toscani, che si è raccontata sempre nei suoi libri costruendosi un personaggio letterario, da guerriero degli ideali e della scrittura ma che aveva anche una profonda anima romantica, un lato sentimentale pieno di fragilità, di dolori, di solitudine. L’autorevole accoppiata di sceneggiatori Stefano Rulli e Sandro Petraglia e il regista Marco Turco raccontano con cura e abilità questa testimone e protagonista del 900 in una fiction “sul campo”. Si è girato persino in Vietnam dove Oriana aveva raggiunto l’apice del suo lavoro di reporter di guerra unendo alle riprese anche alcuni spezzoni di documenti storici delle teche Rai.
Un prodotto televisivo ha il compito di mostrare un personaggio nel suo complesso in modo sintetico e il più esaustivo possibile. L’Oriana, dunque, prova il taglio del ricordo, del flashback, di fronte a questa Lisa (Francesca Agostini) che rappresenta idealmente un passaggio di testimone, anche se Oriana Fallaci non ha avuto pupilli, allievi, eredi, così come non ha avuto figli.
Nel film, (in onda su RaiUno in due parti il 16 e 17 febbraio, mentre una versione cinematografica esce come evento speciale il 3 e 4 febbraio), ci sono tutte le scene iconiche della Fallaci, immortalate dalle innumerevoli fotografie che hanno costellato la sua esistenza, fino a quando lei decise “alla Garbo” di non apparire più, di cristallizzare la sua immagine in un paio di ritratti ieratici. A incominciare dalla ragazzina quattordicenne con le treccine che nella Firenze occupata dai tedeschi riesce a oltrepassare le linee naziste e porta provviste, munizioni e informazioni ai partigiani; che assiste all’impiccagione di quattro compaesani nella piazza di Greve in Chianti; che dice al babbo antifascista Edoardo (Adriano Chiaramida): «In guerra non si piange mai». Anche se in realtà fu lui a dirlo a lei dandole un ceffone un giorno che la vide con gli occhioni bagnati, spaventata dal suo compito rischioso; però il papà tanto ammirato e amato al pari della mamma Tosca (qui Benedetta Buccellato) le regala anche un libro, Il richiamo della foresta di Jack London che fu per Oriana la rivelazione di quanto la vita sia allo stesso tempo poesia e ferocia.
Fallaci poco più che ventenne è già arrabbiata perché il giornale locale per cui lavora non vuole pubblicare la bellissima storia che ha per le mani: un parroco rifiuta il funerale e la sepoltura in terra consacrata a un comunista; e i suoi compagni si vestono da preti e gliene inscenano uno finto. Nell’Italia di Peppone e don Camillo la storia piace all’Europeo allora diretto da Arrigo Benedetti, ed è così che si apre il romanzo della carriera dell’Oriana, fatta di reportage memorabili (ma anche di terrore seminato tra i colleghi quando passava in redazione o faceva incursione in tipografia).

Scrittore, non scrittrice. Qui entra in scena Vittoria Puccini, bella come lo era Oriana, capelli chiari, occhi azzurri, un fisichino scattante e seducente. E sempre alle prese con una sigaretta da tormentare. Agli inizi degli anni 60, dopo essersi stufata di intervistare i divi di Hollywood e quelli di Cinecittà (Orson Welles la definirà una Mata Hari del giornalismo perché riusciva a ottenere dai suoi interlocutori qualsiasi verità), parte per un giro del mondo sulla condizione della donna e lei che si definiva scrittore e non scrittrice, che riteneva assurdo parlare di donne come una categoria a parte, «come si fa con la politica, lo sport, il bollettino meteorologico»; proprio lei realizza una serie di reportage che già nel titolo che li riunisce, Il sesso inutile, è un attacco alle regole sociali di gran parte del pianeta. Una delle scene più toccanti del film è quando Fallaci-Puccini accompagnata dal fotografo Duilio Pallottelli (Gabriele Marconi) scopre sotto il velo finemente decorato una giovanissima sposa indiana disperata perché costretta a unirsi a un uomo che neppure conosce. Farà una scenata al futuro marito e ai suoi amici maschi e verrà presa per matta. È invece perfettamente a suo agio nella complicità maschile quando segue a Cape Canaveral il programma spaziale che prepara gli astronauti allo sbarco sulla Luna. In Vietnam, stavolta accompagnata dal fotografo Gianfranco Moroldo (detto “Il Moro”, qui Maurizio Lombardi) raccoglie tra i raid e gli attentati le confessioni dei soldati americani mandati al macello per difendere la famigerata collina 875, punto strategico per combattere i vietcong. Nella struggente nostalgia di casa e dei propri affetti, (raccontata in Niente e così sia), si ritrova il dramma dei soldati al fronte di tutte le epoche. Il capitolo vietnamita punta sul lato materno di Oriana che sfocia nella volontà, sfumata per un disguido, di adottare una bimba in un orfanotrofio. Ma il film dà anche ampio spazio alla relazione sentimentale con François Pelou (Stephane Freiss), il capo dell’ufficio della France Presse a Saigon, la love story più romantica di Oriana: quando lui sarà trasferito a Rio, lei cambierà raggio dei suoi reportage pur di seguirlo. Quello di Alessandro Panagulis, l’altra grande passione maschile di Oriana, (interpretato da Vinicio Marchioni) è uno dei personaggi più riusciti: eroico nel resistere alle torture della Grecia dei colonnelli, una volta liberato non rinunciò all’idealismo della sua visione del mondo e restò anarchico nella gestione della vita. In amore, un fedifrago: il dispiacere di Oriana per una sua avventura favorisce un aborto spontaneo, qui collegato a Lettera a un bambino mai nato. Questa storia affettiva e intellettuale è una tempesta di complicità e litigate: Un uomo sarà la consacrazione di Alekos post mortem.

L’eresia di Ildebranda. Tra le interviste con i potenti si è scelto l’episodio più clamoroso, l’incontro con Khomeini, preceduto da un buffo matrimonio formale con il suo accompagnatore perché non si poteva comparire di fronte all’imam se non si era una donna sposata. Sappiamo tutti come andò a finire: a una domanda scomoda sul chador e alla risposta piccata dell’imam lei compì il gesto teatrale di togliersi la copertura, provocando l’interruzione dell’intervista. Per chi ha lavorato accanto a Oriana negli ultimi anni della sua vita episodi come questi erano fonte di gustosi siparietti, il lato divertente del personaggio, sempre sopraffatto nell’immagine pubblica da una tensione rancorosa. Amava, per esempio, raccontare di quando durante una visita di papa Giovanni Paolo II a New York, gridò al suo passaggio per le avenue «Ladro di diritti!» perché tempo prima, da vescovo di Cracovia, Wojtyla aveva permesso la pubblicazione di alcuni suoi articoli in un giornale cattolico che ne aveva ignorato il copyright. Ma è indubbio che emerga anche il suo coraggio. Il nipote Edoardo Perazzi ha ancora i brividi ricordando un viaggio in cui la accompagnò, nell’Argentina dei generali, per una lecture all’università: «La sala era piena di poliziotti e lei parlò di desaparecidos: non la fermava nessuno».
Il coraggio è anche quello di rilasciare l’intervista in tv in cui dichiarò di essere malata di cancro. «Diciamola questa parola: cancro. Non è una malattia incurabile e poi non è neppure contagiosa». Una battuta contro un tabù che valse più di cento campagne.
L’11 settembre e il suo articolo La Rabbia e l’Orgoglio, apparso sul Corriere della Sera, ovvero l’Oriana paladina nella battaglia contro l’Islam, senza distinzione tra moderati ed estremisti, si poneva nel racconto come il capitolo più delicato. Mentre i suoi allarmi raccolgono, alla luce dei fatti di Parigi, nuovi consensi, il film trova un escamotage narrativo che crea un contraddittorio all’interno del personaggio.
Chi scrive fu accanto a Oriana nei giorni della stesura dell’articolo e il dibattito che talvolta emergeva durante il lavoro si concludeva con una battuta: «Vedrete, quando sarò bell’e sepolta dovrete dire: aveva ragione la strega!», amando paragonarsi all’antenata Ildebranda, accusata di eresia e mandata al rogo nel XVI secolo. Un giorno, un anno dopo l’attentato alle Torri gemelle, Oriana infranse la regola della reclusione nella sua casa newyorkese sulla 61esima e decise di andare a Ground Zero. Dopo aver litigato con il tassista indiano per il percorso, di fronte al cratere ebbe un momento di raccoglimento. Poi, commossa, su un grande pannello impresse la sua firma tra le migliaia di pensieri di solidarietà per le vittime. Chissà, forse in nome di quella libertà che ha brandito sin da quando andava in bicicletta con le treccine, si sarebbe confusa anche tra i milioni di “Je suis Charlie” che sfilavano a Place de la République.