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 2015  gennaio 30 Venerdì calendario

IL CAMIONISTA ITALIANO? SI FINGE POLACCO

L’ennesimo paradosso. Adesso i camionisti italiani per ottenere un posto di lavoro chiedono la residenza nei Paesi dell’Est Europa, in particolare Romania, Slovenia e Polonia. In questo modo possono sperare di essere reclutati da una agenzia del lavoro locale per ottenere un contratto di somministrazione con un’azienda di autotrasporto. Un fenomeno innescato dal dumping sociale causato dalla disparità di trattamento economico tra gli autotrasportatori europei, che nel nostro Paese sta mandando in tilt il settore. Un camionista romeno o polacco che viene distaccato in una azienda italiana, infatti, al datore di lavoro costa circa il 50 per cento in meno, grazie al carico contributivo e fiscale meno elevato. «È per questo che adesso molti autisti sono costretti ad andare all’estero: la situazione sta diventando sempre più allarmante», dice il segretario generale di Conftrasporto, Pasquale Russo. La Germania, per contrastare il fenomeno, ha imposto un minimo salariale di 8,50 euro all’ora, che deve essere rispettato anche in caso di cabotaggio, vale a dire quando il servizio di trasporto viene effettuato da un’ impresa che ha sede in un altro Stato. La Francia, a sua volta, ha vietato agli autisti il riposo settimanale (previsto per complessive 45 ore) a bordo del camion, pena un anno di carcere e una sanzione di 30 mila euro.
In Italia la fuga dei camionisti è anche la conseguenza della profonda crisi delle imprese dei Tir. In cinque anni ne sono sparite circa 18 mila. Molte sono fallite e altre - in cerca di minori costi di gestione e di una burocrazia più leggera - hanno trasferito la sede nell’Europa dell’Est. Una corsa alla delocalizzazione accompagnata dal crollo del 20 per cento del numero dei camion in circolazione. «Molte grandi aziende», spiega Russo, «hanno già spostato all’estero il 70 per cento della loro flotta».