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 2015  gennaio 30 Venerdì calendario

DRAGHI-MERKEL CRONACA DI UN DIVORZIO

Il disaccordo tra Mario Draghi e Angela Merkel è cominciato davanti alle montagne Grand Tetons nel Wyoming lo scorso agosto. All’appuntamento annuale dei maggiori responsabili della politica monetaria del mondo, il simposio di Jackson Hole, è intervenuto anche Draghi. Il suo discorso, tenuto il secondo giorno all’ora di pranzo, ha segnato l’inizio di un drastico deterioramento del rapporto tra il presidente della Banca centrale europea e la cancelliera tedesca.
Nel suo intervento, alcuni passaggi del quale non erano stati esaminati prima dai funzionari della cerchia ristretta della Bce, Draghi ha gettato le fondamenta del programma avviato la scorsa settimana per l’acquisto di obbligazioni di Stato europee per mille miliardi di euro. E alcuni punti hanno fatto infuriare la cancelleria a Berlino.
Il legame tra il più potente leader politico dell’eurozona e il banchiere centrale è stato cruciale per la stabilità dell’euro, in un’area che ha dovuto e deve affrontare la crisi del debito, una crescita debole e la deflazione. La Merkel aveva offerto un chiaro appoggio a Draghi quando, nell’estate del 2012, promise di «fare tutto il necessario» per evitare che l’unione monetaria si sfaldasse, incluso l’acquisto di debito sovrano dei Paesi più in crisi e ciò in quantità potenzialmente illimitate. Nei 18 mesi scorsi, tuttavia, Berlino si è sempre più irritata di fronte all’insistenza della Banca centrale europea su un possibile programma di “alleggerimento quantitativo” del debito, in inglese chiamato “quantitative easing”.
I tassi di interesse bassi come non mai hanno messo da tempo in agitazione i risparmiatori tedeschi, facendo il gioco del partito euroscettico AfD e premendo sull’Unione democratica cristiana della Merkel. Il suo scontro con la Bce e la sua seria preoccupazione per l’economia dell’eurozona si sommano alle difficoltà create dalla crisi ucraina con la Russia. Il leader più potente dell’Europa non crede di avere perso il controllo del destino della Ue, ma teme che ciò possa accadere.
Il suggerimento avanzato dal presidente della Bce a Jackson Hole - che la Germania metta mano al suo forziere fiscale per fare ripartire la crescita nella regione - è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Angela Merkel avrebbe detto in privato che Draghi stava «giocando un altro gioco». Ad aggravare l’irritazione di Berlino è stato poi il modo eccezionalmente esplicito di Draghi di ricordare le sempre più basse aspettative d’inflazione, che i mercati hanno interpretato come il segno di un percorso obbligato verso un programma di quantitative easing.
Dopo un incontro con Draghi ai margini del vertice Ue di dicembre, l’ira della cancelliera è stata tale da spingerla addirittura a ipotizzare una presa di posizione contro questo programma, mossa che avrebbe quasi certamente turbato i mercati che stavano già largamente scontando un cospicuo acquisto di bond sovrani da parte di Francoforte. La Merkel ha deciso alla fine di non pronunciarsi pubblicamente: la cancelleria ha escluso dichiarazioni anche per il futuro.
Invece nelle conversazioni con altri leader è stata più diretta. All’inizio di gennaio, ha visitato a Londra con David Cameron il British Museum. Lì ha aspettato di arrivare alla mostra sulla Repubblica di Weimar e sull’iperinflazione di quegli anni per dire al premier britannico che, a suo avviso, il Qe era una «pessima, pessima idea».
Nella settimana successiva, Draghi è andato a trovare la cancelliera e il suo ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, ma non è riuscito a fugare le principali preoccupazioni del governo tedesco: che un acquisto di obbligazioni sovrane allenti la pressione sugli Stati membri più spendaccioni, che devono ancora implementare importanti riforme economiche, e che il contribuente tedesco sia esposto nel caso che qualche Paese decida di rinnegare il proprio debito. Una questione particolarmente delicata all’indomani delle elezioni greche vinte dal partito Syriza, che vuole ristrutturare il debito e abbandonare le politiche di austerità. Il suo leader, Alexis Tsipras, ha già incontrato Draghi due volte.
Berlino non accetta neppure l’argomento che la lotta contro la deflazione nell’area euro abbia minato la credibilità della Bce, in particolare sulla stabilità dei prezzi al di sotto, ma di poco, del 2 per cento. Negli ultimi mesi, Draghi ha subìto l’effetto delle forti critiche dell’establishment tedesco contro l’adozione sempre più aggressiva di politiche monetarie non convenzionali da parte della Banca che egli guida. Nell’Eurotower, c’è chi teme che un atteggiamento negativo della Germania possa persino affievolire l’effetto “maggiore fiducia” che il Qe dovrebbe trasmettere.
Quanto alla tradizionale politica della Bce di spalmare le possibili perdite derivanti dall’acquisto in massa di titoli sovrani su tutte le 19 banche centrali nazionali, Draghi sapeva che alla fine avrebbe dovuto piegarsi alle pressioni tedesche. Così, spetterà alle banche nazionali assumersi il rischio per quasi tutte le perdite riguardanti il proprio debito sovrano, una soluzione concepita per evitare che i Paesi dell’unione monetaria siano costretti a fronteggiare i danni di una ristrutturazione del debito greco. La soluzione ha, tuttavia, suscitato anche la preoccupazione che la Bce non sia più impegnata come prima a mantenere lo status quo dell’unione monetaria. Nel quadro del programma di Qe, i termini per l’acquisto di titoli del debito greco sono stati formulati in maniera tale che la Grecia non sia in grado di parteciparvi fino ad almeno il prossimo giugno.
Si tratta di un’importante concessione, ma Berlino voleva molto di più. La Germania è ancora preoccupata che alla fine il conto vada a cadere sui propri contribuenti. La cancelliera è indignata, in particolare, per la decisione della Bce di lasciare il programma aperto, come ha reso esplicito Draghi impegnandosi ad acquistare obbligazioni di Stato finché l’inflazione non mostrerà segni di avvicinarsi al 2 per cento. La sensazione è che l’Eurotower abbia messo le ansie dei mercati davanti a quelle dei suoi padroni politici.
«Il rapporto di Draghi con Berlino sarà molto più precario da questo momento in poi, perché ha messo la Merkel in una posizione molto difficile sul piano interno», dice Mujtaba Rahman, direttore del Eurasia Group. «Il sostegno della cancelliere alle precedenti decisioni della Bce le hanno già scatenato contro gli schieramenti tedeschi anti euro. Ora dovrà gestire le conseguenze del Qe assieme a negoziati difficili sulla Grecia e sull’Ucraina, oltre a elezioni ravvicinate ad Amburgo e a Brema, dove gli euroscettici dell’AfD potrebbero raccogliere un buon successo».