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 2015  gennaio 30 Venerdì calendario

PERISCOPIO

Fossi in Napolitano, per sicurezza staccherei il telefono. Spinoza. Il Fatto.

Eleggetene uno e lasciateci vivere. Jena. La Stampa.

Dopo la Lombardia, l’Emilia. Il fenomeno ’ndrangheta preoccupa. Ma solo un Po. Gianni Macheda.

Può darsi che, come dice Renzi senza precisare la settimana esatta, «sabato avremo il presidente». Nel qual caso il premier avrà vinto la partita, chiunque sia il nome del prescelto. Che, comunque, sarebbe il frutto del Patto del Nazareno, dunque impresentabile: Amato (e ho detto tutto), o Fassino (quello del giro Quagliotti-Greganti e del «siamo padroni di una banca?»), o Finocchiaro (zarina di tutti gli inciuci, con marito imputato), o Chiamparino (che negli anni pari fa il politico e nei dispari il banchiere). Marco Travaglio. Il Fatto.

Altro che Brigata Kalimera: sono i giornaloni della borghesia italiana a essere caduti nel deliquio per la sinistra antieuro, equosolidale e un po’ a kilometro zero di Syriza; decisamente diversa dal renzismo simpatizzante turbo-liberista. Alberto Brambilla. Il Foglio.

Provarono poi con Bersani, come segretario del Pd. Un emiliano simpatico, genuino e politicamente inetto, e fu la vendetta di Montezuma: Togliatti lo diceva sempre, torinesi, liguri o sardi a capo del partito che è un regno nazionale sardo-piemontese, gli emiliani sono meravigliosi per i municipi, le coop, gli asili nido, ma la politica come guida sensata di processi politici devono lasciarla ad altri. Bersani è un tipo a suo modo fantastico, ama la Ditta, ultima possibile incarnazione di una politica senza leadership personale, ma sappiamo come è andata. Giuliano Ferrara, The Royal baby. Rizzoli.

Giuliano Amato è il più grande dei piccoli. Un saltatore di fossi. Riesce a superarli anche per il lungo, oltre che per il largo. Immagino che la prestanza fisica gli derivi dagli intensi allenamenti presso il Circolo tennis Orbetello, di cui è presidente onorario nonché strenuo finanziatore per interposta persona, come dimostra l’intercettazione emersa dall’inchiesta sul buco al Monte dei Paschi di Siena, una telefonata del 2010 in cui supplicava il presidente della banca rossa, il suo amico Giuseppe Mussari, di mantenere l’obolo di 150 mila euro – «mi vergogno a chiedertelo...» – per l’annuale torneo del sodalizio sportivo. Si vergognava, ma lo chiedeva. Vittorio Feltri e Stefano Lorenzetto, Buoni e cattivi. Marsilio.

«Il quartiere Monti, a Roma, il quartiere dove vive Giorgio Napolitano Era un quartiere popolare, ma non mancavano case patrizie e di liberti arricchiti, circondate da taverne, bordelli, bische, fondachi abitati da lenoni, prostitute, commercianti, ladri, tagliagole, e anche da qualche persona perbene» scriveva Eugenio Scalfari il 14 agosto 2005 su Repubblica prendendo la suburra a metafora dell’Italia smandrappata dei furbetti del quartierino; un quartierino un tempo popolare, Monti, da sempre di sinistra, oggi tendenza gin tonic. Michele Masneri. Il Foglio.

Ma la forzatura, la provocazione, il «cazzotto che sottolinea il concetto» e che magari, sùbito dopo, smorza con una risata di sfida, fanno parte di Vittorio Sgarbi almeno quanto la camicia azzurra, la giacca blu e il ciuffo che da trent’anni butta all’indietro facendo sospirare folle di ammiratrici una delle quali arrivò a scrivergli da Garlasco: «Affitterei signor Sgarbi, àuguromi risposta affermativa». È fatto così: prendere o lasciare. Purché, per queste sue provocazioni non lo paragoniate al futurista Filippo Tommaso Marinetti: «Ci può stare, ma io sono più colto». Che sia davvero colto, anche grazie a una stupefacente memoria, lo riconoscono perfino i suoi peggiori nemici. E non parliamo dei politici maltrattati via via negli anni (di Oscar Luigi Scalfaro disse che era «una scorreggia fritta», di Giuliano Amato che «stava a Craxi come il bidet sta al water», di Mario Segni che era come Clarabella nei fumetti Disney: «C’è sempre, ma non conta nulla»_) e neppure dei magistrati coperti dei peggiori insulti, ma di quelli che fanno il suo stesso mestiere. E che mai si sognerebbero, ad esempio, di buttar lì che la Gioconda è «la più grande puttana nella storia delle arti figurative con quel suo sorriso, quel modo di ammiccare_». Vittorio Sgarbi. (Gian Antonio Stella). Corsera.

Chi non sa staccare gli occhi dallo smartphone, in fondo, è uno schiavo elettronico. A nome della categoria, chiedo un’attenuante. La narrazione, là dentro, è maledettamente interessante. Ogni app è una miniera, ogni mail una svolta nella trama, ogni messaggio un microdose di adrenalina. Non è facile rinunciare a tutto ciò e prestare attenzione allo zio che ripete per la ventesima volta la stessa storia. Beppe Severgnini. Sette.

C’è il tipo di sinistra con gli occhiali perché ha letto tanti libri, e quello di destra, con il suv perché non ne ha letto nessuno. Nel paese romanesco di Francesca Archibugi «Il nome del figlio», gli ebrei sono ricchi, i bambini sono teneri, le giornaliste hanno la lingua tagliente, le borgatare sono de core. Camillo Langone. Il Foglio.

Era una donna di carattere. Una volta per far capire a Maurizio quanto gli volesse bene anche perché omosessuale, gli disse: «Maurì, arrecuordate che pe’ ffa’ ’o ricchione ce vonn’e ppalle!» («Maurizio, ricordati che per fare il ricchione ci vogliono le palle!»). Paolo Isotta, La virtù dell’elefante. Marsilio.

La rivista più rubata a Milano è Tempi di Luigi Amicone. Può essere, ne rubo 20 copie io in varie parti. Tanti mi chiedono: «Ma perché rubi Tempi e non altro?». Io: «Hai ragione, non me lo sono mai chiesto». Maurizio Milani. Il Foglio.

Gli ascari libici, duecentotrentadue, che combattevano con noi e che rimasero uccisi ad El Alamein non possono trovare posto nel futuro sacrario che stiamo costruendo a Quota 33 perché i musulmani hanno regole severe di sepoltura; avranno un cimitero a parte. Perché non mettervi anche una piccola moschea, per il culto islamico locale e per affermare una liberale politica italiana? L’ambasciata italiana è d’accordo, il progetto è trasmesso a Roma, ma Roma tace. Risponde dopo diversi mesi: «Non si ravvisa l’opportunità di fare la moschea». Troppo tardi. È già fatta. È costata meno di un milione. Paolo Caccia Dominioni, El Alamein.Longanesi.

Attraverso il parco del Colle Oppio a passo sostenuto. Una vecchia signora che non conosco e porta a spasso il cane, si ferma e mi saluta: «Buongiorno generale». Roberto Gervaso. Il Messaggero.

Paolo Siepi, ItaliaOggi 30/1/2015