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 2015  gennaio 30 Venerdì calendario

ANCHE LA GERMANIA IN DEFLAZIONE

Anche la Germania è caduta in deflazione. A gennaio l’indice dei prezzi al consumo è infatti sceso dell’1%rispetto a dicembre e dello 0,3% su base annua. Entrambi i dati sono peggiori delle attese degli analisti (-0,8% congiunturale, -0,1% tendenziale). Si tratta del primo calo su base annua dal settembre 2009 e secondo Marco Wagner, analista di Commerzbank, «è dovuto principalmente ai più bassi prezzi dell’energia. Comunque sia, il tasso di inflazione ha rallentato». I dati tedeschi gettano ulteriori ombre anche sull’indice dei prezzi al consumo dell’intera Eurolandia. Wagner si aspetta ora un calo dell’indice dei prezzi al consumo dello 0,6%. L’obiettivo della Bce di un’inflazione appena al di sotto del +2% si allontana sempre di più. Il dato sembra dare ragione a chi sostiene che il Qe sia arrivato troppo tardi e abbia dimensioni (circa 1.140 miliardi di euro) non sufficienti a centrare l’obiettivo entro settembre dell’anno prossimo. Ma soprattutto rende ancora più sconcertante l’opposizione del presidente della Bundesbank, Jens Weidmann. Quando la deflazione ha colpito Grecia, Spagna e Italia, la cancelliera tedesca Angela Merkel non ha mosso un dito. Ed è probabile faccia altrettanto anche adesso che è proprio la Germania a essere colpita dallo stesso male. Proprio ieri ministro dell’Economia francese, Emmanuel Macron, ha dichiarato che Parigi farà pressing affinché Berlino aumenti gli investimenti pubblici, sottolineando che «il rischio per la Germania è quello di una nuova forma di conservatorismo». Sarebbe più esatto parlare di immobilismo. Perseverare con le stesse politiche mentre intorno il mondo cambia (basti pensare all’arrivo di Alexis Tsipras alla guida della Grecia) rischia di avere conseguenze drammatiche per la prima economia di Eurolandia e, di conseguenza, per il resto dell’area. Qualcuno potrebbe dire, come ha fatto a Davos il ministro dell’Economia spagnolo, Luis De Guindos, che la deflazione è come il colesterolo, c’è quella buona e c’è quella cattiva. E in Germania, come in Spagna, ci sarebbe quella buona, dovuta al calo dei prezzi dell’energia. Ma gli economisti di Intesa Sanpaolo hanno osservato che, oltre al calo greggio, «i dati dei Laender suggeriscono che nei beni non durevoli si sono avuti sconti più aggressivi della norma». Sconti che solitamente si fanno non per compiacere i clienti ma perché ci si trova di fronte a una domanda troppo debole. Il tutto mentre prosegue il calo dei prezzi del petrolio, con il Wti che ieri ha toccato un minimo a 43,58 dollari al barile. La conseguenza è che, secondo Michala Marcussen, economista di Société Générale, «l’inflazione tedesca non tornerà positiva prima del quarto trimestre 2015». Berlino può vantarsi del dato sul tasso di disoccupazione, anch’esso diffuso ieri, sceso al 6,5% a gennaio dal 6,6% di dicembre. Si tratta del livello più basso dal 1990, l’anno della riunificazione. Il numero dei senza lavoro è calato di 9 mila unità a 2,84 milioni. Ma nonostante questo c’è una domanda talmente debole da spingere al ribasso i prezzi al consumo. Segno che forse redditi e salari non sono tanto floridi o che le diseguaglianze sono eccessive. Temi che la Merkel non si è mai preoccupata di affrontare. Ma si sa, basta dare tutta la colpa a quegli spreconi degli europei del Mediterraneo che si vincono le elezioni. Il francese Macron ha detto che «abbiamo bisogno di più solidarietà. Abbiamo bisogno di uscire da questa sorta di guerra di religione tra i Paesi settentrionali e gli Stati meridionali dell’Europa». Di certo la Merkel non lo ascolterà. Intanto la Banca centrale di Danimarca ha tagliato i tassi sui depositi per la terza volta in meno di tre settimane, portandoli da -0,35% a -0,5%, per impedire un eccessivo apprezzamento della corona danese contro l’euro. L’ultimo taglio risaliva al 22 gennaio, in corrispondenza del lancio del Qe da parte della Bce. La Danimarca fa parte dell’Ue ed è agganciata all’euro con una banda di oscillazione del 2,25%. Bisogna vedere quanto è disposta a sacrificarsi per difenderla.
Marcello Bussi, MilanoFinanza 30/1/2015