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 2015  gennaio 29 Giovedì calendario

C’È UNA GIUSTIZIA ALLA CORTE DI STRASBURGO CHE METTE UNA PEZZA ALLA GIUSTIZIA ITALIANA

Assieme a disoccupati, debito pubblico e corruzione, l’Italia detiene un altro primato internazionale: il numero di ricorsi presentati da nostri concittadini alla Corte europea dei diritti dell’uomo. A inizio ottobre 2014, l’Italia era in cima alla graduatoria dei paesi con maggior numero di ricorsi per violazioni della Convenzione europea dei diritti umani , soprattutto per lungaggini processuali e sovraffollamento delle carceri.Tanto che nel 2013 è stata condannata a versare indennizzi per oltre 71 milioni di euro. Pur avendo quasi dimezzato l’importo rispetto al 2012 (quando aveva raggiunto la cifra record di 120 milioni di euro), anche nel 2013 il nostro paese è stato quello condannato a versare la cifra più alta fra tutti i 47 paesi membri del Consiglio d’Europa.
Con 17.300 procedimenti aperti, nell’ottobre 2014 l’Italia si è aggiudicata il primo inglorioso posto nella classifica dei ricorsi, davanti a paesi non esattamente garantisti come Russia, Turchia e Ucraina. Negli ultimi mesi il numero dei ricorsi è calato agli attuali 12 mila, ma la situazione resta critica. «Come numeri assoluti purtroppo siamo ancora molto in alto: al secondo posto dopo l’Ucraina e prima della Russia, anche se fortunatamente non occupiamo più la prima posizione»» dice a Panorama Guido Raimondi, il giudice italiano nonché vicepresidente della Corte.
Il tribunale ha sede a Strasburgo in uno stravagante palazzo del 1995 che si ispira all’allegoria della dea Giustizia: la hall centrale di vetro simboleggia l’accessibilità della Corte e le due torri d’acciaio laterali con tetto inclinato i piatti della bilancia.
Ed è proprio la «denegata giustizia» l’oggetto del contendere fra la Corte e l’Italia. Al primo posto, un annoso problema dei tribunali italiani: le lungaggini processuali (seguito a ruota dal sovraffollamento carcerario). «Il nostro contenzioso riguarda in gran parte l’eccessiva lunghezza delle procedure giudiziarie» spiega Raimondi. L’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che gli Stati membri sono tenuti ad applicare, dice che ogni persona ha «diritto a un equo processo». E quando la Corte rileva la violazione di un diritto segnala allo Stato che nel suo sistema c’è un problema: spetta allo Stato risolverlo.
Nel caso dei processi interminabili, un fenomeno esploso negli anni Ottanta, la soluzione trovata nel 2001 era stata la legge Pinto. Quello che in gergo è detto un «rimedio interno» prevedeva un sistema risarcitorio in ambito nazionale secondo un ammontare previsto dalla Corte.
Una volta promulgata la legge, che prevedeva il diritto di risarcimento in caso d’irragionevole durata di un processo, la Corte aveva ritenuto chiuso il caso. Peccato però che a Roma mancassero gli stanziamenti necessari per applicarla... «Non solo» commenta Manuel Jacoangeli, l’attivissimo ambasciatore italiano a Strasburgo, che riceve Panorama nella prestigiosa sede del governo italiano, una villa art nouveau del 1899. «In tutti questi anni, Roma non ha saputo risolvere il problema attraverso una complessiva riforma della giustizia. Solo il governo in carica si sta adoperando in tal senso».
Risultato: in breve tempo i ricorsi a Strasburgo per lungaggini processuali erano ripresi, gonfiandosi a dismisura, fino a coprire circa i due terzi del totale. L’altro terzo, grosso modo, riguardava in gran parte il sovraffollamento carcerario: l’Italia è stata condannata prima nel 2009, poi nel 2013, perché non rispettava i limiti minimi di spazio per detenuto nella cella, quantificati dalla Corte in tre metri quadri. Una condizione drammatica, che ha portato oltre 3.500 detenuti ed ex detenuti a chiedere giustizia alla Corte di Strasburgo.
Riguardo alle lungaggini processuali, di recente la legge Pinto è stata perfezionata, con l’introduzione di un tetto oltre il quale la lunghezza del processo diventa «irragionevole» (tre anni in primo grado, due in secondo e uno nel giudizio di legittimità). Sono stati anche fissati gli importi per gli indennizzi: 1.500 euro per ogni anno rispetto al termine di ragionevole durata.
I numeri però hanno continuato a crescere. Al punto che, per molti studi legali, fare ricorso alla Corte di Strasburgo è diventato quasi un business. Anche perché si tratta di ricorsi ripetitivi, procedimentifotocopia sulla stessa questione. L’avvocato napoletano Alfonso Luigi Marra soltanto nel 2010 ha rappresentato in blocco 475 italiani per la durata eccessiva dei loro processi, ottenendo risarcimenti. A quanto risulta a Panorama, Marra (in Italia controversa figura mediatica, promotore di un referendum contro le banche) ha patrocinato oltre 4 mila ricorsi, pari al 25 per cento di tutti i ricorsi pendenti. Ma, per contrasti con la Corte, gli è poi stata negata la possibilità di patrocinare a Strasburgo.
Già, i ricorsi ripetitivi: ecco il cuore del problema. «Il numero dei ricorsi individuali contro l’Italia, in comparazione con quello di altri paesi, è solo relativamente un indicatore dello stato dei diritti umani» spiega Vladimiro Zagrebelsky, che è stato giudice della Corte europea dal 2001 al 2010. «In Italia è facile organizzare una valanga di ricorsi seriali, facendone esplodere il totale. In altri paesi è meno frequente, anche in presenza di massicce violazioni. La questione dei numeri va quindi relativizzata, anche in relazione al tipo di violazioni denunziate».
Da relativizzare ma non minimizzare, incalza Raimondi: «È un problema che non va minimizzato perché rivela un difetto di funzionamento dello stato di diritto. Ma certo desta meno allarme rispetto a questioni, come la tortura o gli arresti arbitrari, che solo raramente (a differenza di quanto accade per altri paesi) vengono sollevate rispetto all’Italia». Un problema più di qualità che di quantità, insomma. «Ciò che invece è grave» continua Zagrebelsky, «sono le violazioni endemiche e strutturali da molto tempo senza soluzione. L’irragionevole durata dei procedimenti giudiziari ne è il maggiore esempio». Conclude Raimondi: «Per il nostro contenzioso non si intravede una soluzione soddisfacente a breve termine».
A medio termine, però, forse sì. «Gli ultimi governi hanno dedicato una crescente attenzione ai rapporti fra Italia e Consiglio d’Europa» spiega l’ambasciatore Jacoangeli. «Sotto ogni profilo, comprese le pesanti sanzioni che il paese rischiava di dover pagare, quantificate un paio di anni fa in 500 milioni di euro solo per le lungaggini processuali. L’inversione di tendenza sta cominciando a dare i suoi frutti: gli oltre 17 mila ricorsi di ottobre ora sono 12 mila». In particolare, sono appena stati rimandati in Italia tutti i ricorsi per sovraffollamento carcerario. «Per effetto di varie misure, l’Italia ha ridotto il numero dei carcerati: dai quasi 70 mila del 2011, siamo passati agli attuali 54 mila» continua il nostro ambasciatore presso il Consiglio d’Europa. «Il Parlamento ha poi approvato un sistema compensativo interno, che prevede sconti di pena e un risarcimento pari a otto euro al giorno. Un ammontare inferiore a quello di solito in vigore: siamo riusciti a farlo approvare dalla Corte, grazie alle riforme strutturali promosse dal ministro Andrea Orlando. Il risparmio stimato è di decine di milioni di euro». Resta aperto il capitolo delle lungaggini processuali. «Anch’esse in via di contrazione» precisa Jacoangeli. «Sono già stati radiati 500 ricorsi, altri 3 mila verranno radiati a breve. Entro il 2015 in tutto dovrebbero scendere sotto le 10 mila unità, consentendoci di rientrare in una situazione di normalità». Doverosamente più cauto il giudice Raimondi: «È innegabile che si stiano compiendo passi avanti: il rientro dei 3.500 ricorsi lo dimostra. Ciò non vuole dire che il problema sia risolto definitivamente: in teoria, il rischio che possano ritornare a Strasburgo esiste. Per il momento, tuttavia, quei ricorsi sono rientrati. Speriamo che le autorità italiane li trattino in modo soddisfacente». Resta il fatto che il nostro percorso è preso a modello da altri paesi. «In febbraio» sottolinea l’ambasciatore «arriveranno a Roma due missioni diplomatiche da Romania e Moldova per uno stage al ministero della Giustizia: analizzeranno le misure adottate per risolvere il problema del nostro sovraffollamento carcerario».