Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  gennaio 30 Venerdì calendario

SE AMMAZZANO UN RUMENO E SE LUI AMMAZZA ME

Pochi anni fa – era l’8 ottobre del 2010 – nella stazione della metro Anagnina a Roma vengono a diverbio, per questioni di fila, un ragazzo italiano di vent’anni e una donna romena di trentadue, di professione infermiera, sposata e con un figlio. Pare che poi – andandosene – il ragazzo le abbia detto: «Ma non te lo insegnano al Paese tuo a stare in fila?». Lei allora gli corre dietro fin fuori la stazione, inveendo e sputandogli addosso. Lui si volta, le sferra un pugno – non so se al volto o in testa – lei cade e resta a terra. Lui se ne va. Lo insegue però e lo blocca un militare di passaggio della Capitaneria di porto, che lo consegna ai vigili quando arrivano. Lei è sempre a terra. Chiamano il 118. Otto giorni di coma e muore. Si chiamava Maricica Hahaianu. È dell’altro giorno la notizia invece (26/1/2015) che il ragazzo condannato in appello nel 2012 a otto anni – per omicidio preterintenzionale e concessione delle attenuanti – è stato scarcerato, per essere affidato ai servizi sociali. Dopo complessivi quattro anni di carcere e arresti domiciliari, torna quindi in libertà, pure se relativa: «Potrà uscire di casa per andare al lavoro e in palestra, purché rientri nella sua abitazione entro le otto di sera». Stop.
Solo tre anni prima però – 26 aprile 2007 – era accaduta un’altra tragedia dai contorni assai simili. Sempre a Roma e sempre sulla metro, ma in un’altra stazione – Termini – vengono a diverbio due ragazze romene e una italiana. Le romene – rispettivamente di 17 e 21 anni – secondo la polizia sono prostitute. L’italiana di 23 anni è invece anche lei – come la Maricica Hahaianu dell’Anagnina – infermiera laureata. Non è chiaro se il litigio sia cominciato sul treno – sedute a fianco, ci sarebbe già stato un alterco – ma è all’uscita a Termini, in mezzo alla calca, che il conflitto deflagra: «Che te spigni, str…», dice la ragazza italiana alla romena più grande. E la rincorre, la schiaffeggia, le si avventa addosso.
La romena aveva un ombrello in mano. Pioveva, forse, quel giorno. E nel tentativo di divincolarsi, dice lei – o nella foga d’una maldestra e nella convulsa velocità di queste cose – l’ombrello diventa un’arma. La sua punta trafora l’orbita oculare, penetra e recide un’arteria. La ragazza italiana cade. Le due romene scappano. La ragazza muore.
Le romene verranno arrestate due giorni dopo nelle Marche. A Tolentino. La vittima si chiamava Vanessa Russo. Alla sua assassina – Donina Matei, 21 anni all’epoca dei fatti, due figli piccoli in Romania – la Cassazione ha confermato nel gennaio 2010 la condanna emessa dalla Corte d’assise d’appello a 16 anni, per omicidio preterintenzionale aggravato dai futili motivi.
Sta ancora in carcere. A Sollicciano, credo. È pentita e non cerca giustificazioni: «Senza sapere nemmeno io come e perché, una ragazza della mia età è morta a causa mia. Non lo volevo questo, non era mia intenzione. Ma è successo e devo pagare, tra queste mura, con un rimorso che non mi abbandonerà mai». Lo dice in un racconto – La ragazza con l’ombrello – premiato da un concorso letterario e pubblicato nel 2011 dalla piccola biblioteca Oscar Mondadori nella raccolta: Volete sapere chi sono io? Racconti dal carcere , a cura di Antonella Bolelli Ferrera. Non si aspetta niente Donina. Consapevole che è giusto che chi sbaglia paghi, aspetta solo che passino questi altri otto anni per poter tornare dai suoi figli e andare pure, dice lei: «A pregare sulla tomba di Vanessa».
Io adesso però – ferma restando la pietas per tutte le vittime e i loro familiari – vorrei sapere perché, se domani per caso ammazzo un romeno, prendo di sicuro molti meno anni di quanti ne prenderebbe lui se ammazzasse me. Meno d’un quarto, quasi. Ma che è, giustizia, questa? O è razzista pure la giustizia in Italia? Sempre che la differenza non la faccia – sulla metro – l’ammazzare a Termini piuttosto che all’Anagnina.