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 2015  gennaio 29 Giovedì calendario

PERISCOPIO

Mica solo Syriza in Grecia. In Spagna c’è Podemos e non è per nulla escluso che Vendola e Civati possano mettere in piedi Campamos. Andrea Marcenaro. Il Foglio.

Mi chiedo: ma alla fine, il 27 gennaio 1945, i sovietici hanno veramente liberato Auschwitz o ne hanno semplicemente allargato i reticolati fino alla Cortina di ferro? Bisognerebbe chiederlo ai polacchi. Giacomo Dolzani. Il Foglio.

Votate – Pier Carlo Padoan, Anna Finocchiaro, Walter Veltroni, Piero Fassino, Sergio Chiamparino, Paolo Gentiloni, Sergio Mattarella, Romani Prodi, Giuliano Odiato. Jena. La Stampa.

Berlusconi rinvia ad oggi l’appuntamento con Renzi. Ieri aveva le sue cose. Spinoza. Il Fatto.

Padoan presidente della repubblica? È figlio della mia maestra elementare e lo farei anche Papa, ma non lo vedo al Colle. Giuliano Ferrara. Corsera.

I renziani: «Il Pd ha portato Cofferati a Bruxelles». Speravano che non ritrovasse la strada di casa. Edelman. Il Fatto.

I preti salesiani di Valsalice, presso i quali ho seguito i corsi di liceo, sapevano essere religiosi senza essere bigotti né invadenti. Le loro scuole servivano a creare buoni cittadini e buoni cristiani, tra le due cose non c’è nessuna opposizione. Io mi sento molto laico pur essendo credente. L’intolleranza laicista come quella religiosa sono speculari. Marco Travaglio (Monica Mondo). Tv2000.

Cattivi maestri. Francesco Caruso dice di aver smesso gli abiti del disobbediente (occupazioni, centri sociali, scontri di piazza, arresti...) e di aver indossato quelli del ricercatore: «Dopo anni e anni di studi e ricerca, dopo l’accesso previo concorso pubblico e il conseguimento del titolo di dottore di ricerca...». A 41 anni conta un dottorato, docenze a contratto, qualche articolo su riviste, nessuna monografia scientifica. Non granché come carriera accademica; si vede che in Magna Grecia si accontentano. Invecchiando, il sovversivo si confessa sociologo. Aldo Grasso. Corsera.

Veltroni è un bravo ragazzo, a goodfellah. Se parla e opera in retorica pasoliniana, cinema, tv, letteratura bariccata, metto mano alla pistola. Ma in politica qualche intuizione senza vere conseguenze le ebbe. I capicorrente, delusi dai borborigmi di Prodi, gli dettero da fondare questo Pd, lui accettò, personalizzò, fece ipocrita riverenza al ras dell’ulivismo che era periclitante al governo e faceva perdere voti e prestigio, inaugurò quella allegra cazzata che fu «la bella politi-ca», una compagnia di giro di entertainment politics, passò dalle Botteghe Oscure a un loft, propose un tono nuovo all’antiberlusconismo in cui anch’egli era impigliato da anni (manco la pubblicità nei film gli voleva dare: e poi vuo’ fa’ l’americano), rese possibile la crisi del vagolante governo Prodi, si batté con aria d’importanza contro «il principale esponente dello schieramento a noi avverso», prese il 33% circa (mica male) alle politiche, tuttavia perse in un plebiscito bestiale pro Cav. (oltre il 46% alla coalizione). Dopodiché, in un Parlamento in condominio con il futuro Nazareno, con il solo Di Pietro (che gaffe!) scodinzolante parassita e traditore dozzinale al suo fianco, eliminate le frivolezze antagoniste dell’Arcobaleno di sinistra radicale, tutto doveva cominciare. Doveva governare il suo partito a colpi di primarie, sciogliere il vecchio gruppo di testa affannato ma sempre insidioso e volitivo, cambiare faccia, bella o brutta, alla vecchia inservibile sinistra e al suo nuovo partito delle tessere: invece si accoccolò intorno a un caminetto delle correnti, cominciò a sognare un improbabile futuro africano (ah, la vanità), mollò il loft, ebbe mille paure, non cercò un nuovo schema di gioco con il competitore-avversario, non ebbe idee sul futuro del Paese e sul governo della crisi, e in breve si fece sfrattare dai capibastone, presto fu indotto alle dimissioni. Giuliano Ferrara, The Royal baby. Rizzoli.

Da questo tetto di un palazzo romano in Prati guardo le luci di Roma e il gioco dei gabbiani, e mi dico che, se rinasco, voglio nascere qui, e non altrove. Massì, traffico incanaglito, cassonetti dei rifiuti che traboccano, e tutti i peccati di una vecchia, cinica capitale: ma tu, Roma, dico tornando con lo sguardo su San Pietro, di quanto sei più bella e più grande, nelle tue tenaci pietre, nella tua gente, del tuo male. Marina Corradi. Tempi.it

Che magari non sia il toccasana proposto da Eco, l’abolizione delle religioni? Per il famoso pensatore esse stanno all’origine di tutti i disastri del mondo, le religioni e non piuttosto l’avarizia, l’accidia, il sadismo, Pol Pot, Hitler, la paranoia, il rancore, l’invidia, no, le diaboliche religioni. Che genio! D’ora in poi consigliamo di non leggere più il Corano o il Vangelo ma l’opera omnia di Stalin, ateo doc che ai preti strappava le unghie. Umberto Silva, psicanalista. Il Foglio.

Le guerre tra i Gonzaga e gli Estensi o tra gli Sforza e la Serenissima si limitavano a un finissimo gioco di marce, contromarce, spostamenti notturni e agguati di artiglierie, che si facevano trovare e pronte a sbaragliare l’avversario senza dover sparare un colpo. Vinceva, come negli scacchi, chi riusciva a mettersi in posizione forte e poteva dare il «matto» al nemico. Era un’arte raffinatissima, con regole precise, in cui però non faceva mai la sua comparsa l’incognita del coraggio e della verità se è vero che battaglie importanti, come quella di Maclodio, si conclusero con il solo ferimento di un cavallo. Era un’arte militare destinata a soccombere appena fosse arrivato qualcuno che non si limitasse a valutare la posizione delle truppe ma fosse pronto a metterla alla prova. Infatti, quando scese Carlo VIII, eserciti, artiglierie e strategie italiane andarono in fumo. Saverio Vertone, L’ultimo manicomio. Rizzoli, 1992.

Mi alzo decisamente tardi perché ormai ho preso il giro notturno e sto come un coglionazzo davanti alla televisione fino alle tre, alle quattro di mattina. Mi alzo tardi. Faccio la colazione solo con la frutta, non prendo ormai neppure il caffè, e poi non fumo, non mi drogo: insomma sono un uomo dello spettacolo molto anomalo. Sono persino sposato da trent’anni con la stessa moglie, c’è qualcosa che non quadra. Dario Vergassola (Francesco Chiamulera). Il Fatto.

Ringraziando Iddio, è tornato l’inverno. Luigi Serravalli, critico d’arte e scrittore.

Ho un mucchio di acciacchi. Sono un grande invalido di pace. Roberto Gervaso. Il Messaggero.

Paolo Siepi, ItaliaOggi 29/1/2015