Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  gennaio 29 Giovedì calendario

PIZZAROTTI, LO TSIPRAS ITALIANO?

Quarantenni, entrambi manager con lavoro fisso convertiti alla politica grazie a movimenti non istituzionalizzati, poi supervotati e acclamati. Vuoi vedere che lo Tsipras italiano è Federico Pizzarotti? Lui è nato il 7 ottobre 1973, Tsipras il 28 luglio 1974. Il primo era project manager in un istituto di credito prima di diventare sindaco, il secondo era manager-ingegnere in un’azienda di costruzioni, il parmigiano abbracciò l’anticonformismo di Beppe Grillo, il greco quello del movimento della sinistra radicale (la sua prima tessera). Pizzarotti s’è poi ritrovato sindaco di Parma, Tsipras si è modellato un partito e ha conquistato la premiership greca.
Il problema di cui stanno discutendo i grillini di Parma è come non fare un salto nel buio, abbandonando Grillo-Casaleggio, bensì creare qualcosa di solido che si avvicini a quello che Tsipras ha fatto in Grecia. Certo non è facile perché l’irruenza grillesca secondo i sondaggi continua ad affascinare il 20% degli elettori. Ma che senso ha disporre di tanto consenso se poi si rifiuta ogni dialogo con le altre forze politiche (che così procedono tranquillamente a colpi di patto del Nazareno) e si continua col centralismo antidemocratico fatto rispettare a forza di espulsioni o autoespulsioni anche in quest’ultima vicenda della scelta del Capo dello Stato. «In una partita importante come questa – dice Pizzarotti – serve il dialogo, altrimenti facciamo sempre la figura di quelli che vogliono stare sulle loro senza concludere nulla. E serve che ci diamo regole chiare prima di fare le cose, non durante, perché quello che facciamo dev’essere comprensibile e non manipolabile».
Federico Pizzarotti soffre nel vedere il M5S andare alla deriva anche sulla scelta del presidente della Repubblica, è amareggiato per la cacciata e la fuga di tanti militanti, non nasconde l’irritazione per l’emarginazione a cui è sottoposto, a tal punto che il cerchio magico grillesco ha fatto nascere proprio a Parma un meet-up (cioè una sezione del movimento) di fedelissimi alla linea.
In attesa di decidere il da fare, egli ha ieri postato su Twitter: «Quando decideremo di approfondire i temi, più che agire di pancia, eviteremo che la politica, i sindacati e i media ci prendano in giro».
È un j’accuse verso Grillo che dopo avere annunciato un passo indietro (e nominato tre suoi sostituti) s’è ripreso la scena ed è tornato a fare l’imperatore, con buona pace della richiesta di più discussione e democrazia avanzata dall’assemblea convocata a dicembre a Parma da Pizzarotti,. «È il caso di interrogarsi in modo serio una volta per tutte - sintetizza il sindaco. - Dopo le Europee avevamo detto di fare autocritica, ma poi non è stato così. Ora serve un percorso condiviso. Non si tratta di sposare una linea o l’altra. Quello che mi spiacerebbe è cambiare senza confrontarsi tutti insieme. La mancanza esasperata di regole ha dato vita alle spaccature. Così nascono i sottogruppi di chi pensa di essere più puro degli altri».
È un caso che i nove che se ne sono andati l’altro ieri sbattendo la porta fossero tutti presenti a quell’assemblea, insieme ad altri espulsi? No, il loro punto di riferimento è proprio Pizzarotti, sindaco che s’è fatto valere nella gestione di una città che era sull’orlo del default e ora viaggia tranquilla e che ha tenuto testa alle bordate di Grillo, anche quella che voleva la chiusura immediata dell’inceneritore, con conseguenti gravi problemi nella gestione dei rifiuti e nel contenzioso economico. Lui, invece, ha accelerato sulla raccolta differenziata, togliendo una parte dei rifiuti all’inceneritore anziché distruggere l’impianto. Un approccio soft e non gridato che a Grillo non è piaciuto ma ai parmigiani sì.
Il suo braccio destro, Marco Bosi, capogruppo in consiglio comunale, così ha commentato su Facebook l’aggressione subìta da uno dei nove, Walter Rizzetto, dopo la conferenza stampa in cui è stato annunciato il loro addio a Grillo: «La forza della ragione non ha bisogno delle urla. Comunque la si pensi sul vincolo di mandato quell’aggressione è di una tristezza infinita».
Era stato un confronto franco e con identità di vedute quello tra Bosi, Pizzarotti e i nove al summit di Parma. Tanto che l’embrasson nous aveva irritato a tal punto Grillo da spingerlo a scrivere ironicamente sul blog: «Pippo (Civati) e Walter (Rizzetto) stanno con Capitan Pizza”.
Del resto in quell’assemblea tutti a ripetere che le strategie dovevano emergere dalla discussione e non calate dall’alto. Il contrario di quanto sta avvenendo sulla scelta del presidente della Repubblica. Per i nove è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Pizzarotti, con indosso la fascia tricolore, tiene invece ancora un piede dentro e uno fuori e a chi gli rinfaccia questo tentennamento risponde che non ha ancora perso le speranze di un M5S senza la troika Grillo-Casaleggio-Di Maio e col ritorno all’ovile di buona parte dei fuoriusciti. Non a caso lui aveva proposto come direttore generale del Comune, Valentino Tavolazzi, tra i fondatori del M5S in Emilia-Romagna e tra i primi espulsi. Ma arrivò il veto di Grillo e preferì ammiccare.
Il sindaco sa di avere un peso all’interno del movimento («come sindaco ho anche dei doveri verso gli elettori e i cittadini», aggiunge) ma è anche consapevole di non avere voce ufficiale. Non è neppure stato invitato sul palco al comizio che Grillo ha tenuto in piazza, a Reggio Emilia, per le elezioni comunali dello scorso anno. La sua è una posizione difficile. Ha pure solidarizzato con Marco Fabbri, l’altro sindaco (a Comacchio, Ferrara) 5stelle in terra emiliana, espulso qualche mese fa perché aveva accettato di essere eletto nel consiglio della nuova Provincia, organo disconosciuto dai grillini. «Devo rappresentare la città di cui sono sindaco, partecipare alle scelte che la riguardano», s’è giustificato. Non è servito a nulla. Anche Pizzarotti, a Parma, aveva accettato, poi aveva fatto dietrofront anche perché, in qualità di sindaco del capoluogo, è membro di diritto della nuova Provincia.
Il gruppo formato dai nove fuoriusciti si chiama Alternativa Libera e l’obiettivo è riunire la diaspora. Sarà lanciato un sito web e «si sperimenteranno forme - hanno assicurato i nove - di democrazia partecipata”. Pizzarotti è dietro l’angolo e lui un nome per il Quirinale ce l’ha: «Stefano Rodotà, mi ha sempre fatto una buona impressione. Quando abbiamo approvato il nuovo statuto a Parma ci ha chiamato per chiedere se volevamo mandarglielo e ci ha offerto un suo parere».
Giorgio Ponziano, ItaliaOggi 29/1/2015