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 2015  gennaio 29 Giovedì calendario

CONTRATTO BANCARI, PERCHÉ LO SCIOPERO DI DOMANI DEVE FAR RIPARTIRE IL TAVOLO

Domani i 300 mila bancari italiani sciopereranno per rivendicare una diversa trattativa per il rinnovo del contratto nazionale, che in mancanza di un’intesa sarà automaticamente disdettato a partire dal 1° aprile. Lo sciopero generale non è un’arma cui i sindacati dei bancari hanno fatto ricorso con frequenza; tutt’altro. Perciò l’iniziativa segnala una rottura grave del confronto negoziale, che tuttavia rappresenta pur sempre un passaggio per una ripresa su basi diverse dei rapporti tra le parti. Tutto ciò accade in un contesto generale, italiano ed europeo, in cui vi sono elementi positivi e negativi: la decisione del Quantitative easing da parte della Bce, pur con tutti i suoi limiti, esige un ruolo diverso del sistema creditizio per cogliere le opportunità che si profilano, così come dovrebbe accadere per i riflessi di una maggiore, ancorché tuttora inadeguata, flessibilità nell’attuazione dei vincoli comunitari in materia di risorse pubbliche impiegabili. A livello europeo è aperto il confronto che potrebbe offrire nuove opportunità, pur in presenza di rischi, a seguito della vicenda greca. Potrebbe essere l’occasione di una svolta contro l’appena attuato rigorismo dell’austerità talebana. La crisi russa e non poche altre problematiche geopolitiche hanno un loro peso, evidente anche per i Paesi della zona-euro. Vi è altresì l’attesa delle decisioni della Fed sui tassi di interesse con le conseguenze che ne discenderanno tra le diverse aree monetarie. Sta muovendo i primi passi la Vigilanza bancaria centralizzata, il cui esercizio fa sorgere non pochi problemi. Permane e si rafforza l’esigenza di regole uniformi, a livello primario e secondario, per tutti gli istituti di credito europei. Particolarmente acuto è il problema della ripulitura dei bilanci bancari in Italia dalle sofferenze, che ora si ragguagliano a 180 miliardi. Revisioni e innovazioni si impongono nella governance, nell’organizzazione anche territoriale delle banche, nei rapporti con la clientela, nell’educazione finanziaria. Domina il tema delle non superate restrizioni nell’offerta e nella domanda di credito, non tutte attribuibili alle banche.
Pende poi l’improvvisa riforma, promossa dal governo con un colpo di teatro, delle banche popolari, il cui ordinamento andrebbe, sì, rivisitato, ma con una valutazione approfondita e seguendo strade diverse dalla pura e semplice trasformazione in spa per un certo numero di istituti. I riflessi della riforma, che assai difficilmente supererà intatta il vaglio parlamentare in sede di conversione del decreto-legge, si avvertiranno anche dal personale, magari non nelle dimensioni che l’Assopopolari ha prospettato (20 mila esuberi); comunque si estenderanno alle diverse variabili organizzative, a cominciare dalla gestione delle risorse. Si accentuano per gli istituti le esigenze di fronteggiare la concorrenza e irrobustire la competitività. In questo quadro dovrebbe sussistere un interesse forte per pervenire, in uno spirito di coesione, a valide soluzioni unitarie per la vicenda negoziale in questione.
Chi nel mondo bancario pensasse di cogliere la fase di diffuse difficoltà per tentare di recuperare posizioni nel rapporto tra parti datoriali e lavoratori dimostrerebbe solo miopia e incultura. Si sa invece che Profumo, che presiede il Casl, l’organismo preposto alle relazioni con i sindacati, non è affatto di questa opinione. Se allora prevale, dopo lo sciopero generale, un’attitudine diversa delle parti nel negoziato, muovendo dal convincimento dell’una parte che la strada della coesione è inevitabile e dell’altra che passi di mediazione non sono svendite e che alcuni sacrifici occorrerà compierli in vista di futuri ritorni, una soluzione potrà trovarsi sui punti centrali dell’occupazione, in specie di quella giovanile, e degli impegni in materia di esternalizzazioni, dei rapporti tra contatto nazionale e negoziati integrativi aziendali, di articolazione dei diversi livelli di professionalità tenendo conto anche di ciò che può essere deciso sulla base del merito a livello aziendale, ma anche in tema di possibili modalità di recupero dell’inflazione nei trattamenti economici. Lo sblocco di questi punti o l’assunzione di impegni su di essi consentirebbe un confronto molto meno tormentato. L’esigenza di contenere e razionalizzare i costi, valida a livello di sistema, non significa che sia a priori preclusa una discussione e il conseguimento di calibrati risultati anche nel campo economico, tenendo conto del quadro d’assieme. I sindacati hanno ragione a porre il problema dell’identikit della banca del futuro, prossimo e remoto, dello sviluppo e dell’allargamento possibili delle funzioni. È un terreno di confronto sul quale non si giustificano alcune resistenze riscontrabili in settori del mondo bancario. È da augurarsi, nell’interesse delle parti negoziali, del sistema bancario e, in definitiva, del Paese, che a partire dal giorno successivo allo sciopero si apra una nuova fase. Non ci si attardi a guardare verso il governo nella speranza che aiuti lo sblocco della vertenza, come magari vorrebbe qualche banchiere. Sono le parti sociali che, nella loro autonomia, debbono, a questo punto tempestivamente, conseguire tale risultato.
Angelo De Mattia, MilanoFinanza 29/1/2015