Alessandro Bonini, Avvenire 29/1/2015, 29 gennaio 2015
USA, IL SUPERDOLLARO FA PAURA
Il super dollaro sta cominciando a diventare un problema per gli Stati Uniti. La corsa del biglietto verde ha già costretto diverse multinazionali americane a rivedere le proprie stime sui ricavi nel 2015. Fra queste, colossi come Procter&Gamble, Microsoft, Dupont, mentre la stessa Apple – che ha comunicato previsioni superiori alle attese – ha fatto sapere di averle prima limate del 5% proprio a causa delle oscillazioni valutarie.
Il dollaro nell’ultimo anno si è rafforzato contro tutte le maggiori controparti e potrebbe raggiungere la parità con l’euro. Così se le imprese europee si avvantaggiano di una moneta finalmente più competitiva, quelle a stelle e strisce incassano il colpo. L’apprezzamento del greenback rende infatti più costose le esportazioni provenienti dagli Stati Uniti. L’export è una piccola voce nella composizione del Pil americano, che si basa invece per due terzi sui consumi. Tuttavia un eccessivo rafforzamento del dollaro, assieme ad altri fattori, potrebbe togliere impeto alla ripresa. Un rischio che le autorità americane non possono ignorare. La Banca centrale europea si appresta a stampare moneta per oltre un trilione di euro, la Bank of Japan ha confermato il suo piano di stimolo senza precedenti, mentre la Federal Reserve ha archiviato con successo tre round di quantitative easing e soppesa il primo rialzo dei tassi dal 2006. Molto dipende dai ritmi di crescita che la prima economia mondiale sarà in grado di generare, tenuto conto anche del rallentamento globale pronosticato dalle istituzioni internazionali e dal crollo del prezzo del greggio che indebolisce alcuni Stati americani.
Gli ordini di beni durevoli negli Stati Uniti sono scesi del 3,4% a dicembre e del 2,1% il mese precedente. Nell’ultimo trimestre il Dollar Index, che traccia l’andamento del biglietto verde contro le valute dei sei maggiori partner commerciali, è cresciuto del 5%. E da inizio anno è salito di un altro 4% per toccare lunedì scorso i massimi da settembre 2003. Una conglomerata industriale come United Technologies ha rivisto le sue previsioni di utili sulla base di un euro a 1,10 dollari, contro gli 1,25 dollari stimati solo un mese fa. Il colosso dei beni di consumo Procter& Gamble, che genera due terzi delle vendite fuori dagli Stati Uniti, ha tagliato del 12% le stime sull’utile netto per l’anno fiscale che termina a giugno e del 5% quelle sui ricavi; l’amministratore delegato Alan Lafley ha detto che per l’azienda è il peggiore impatto valutario nei suoi 178 anni di storia.