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 2015  gennaio 29 Giovedì calendario

ROLAND DE LA PLATIÈRE, COSÌ L’ILLUMINISMO TRASFORMÒ LA SVIZZERA IN PARADISO FISCALE

«La Svizzera vende le armi a tutto il mondo per falli scannare, ma lei non fa neanche una guerra picolissima. Con quei soldi costruisce le banche. Ma non le banche buone, le banche dei cattivi. I delinguenti mettono lì i soldi, i miliardi. La polizia và e dice: “Di chi sono questi soldi?”. “Non lo so, non te lo dico, sono cazzi miei, la banca è chiusa”. Ma non era chiusa! Aperta, era!». Così la piccola Rosinella, nel film Io speriamo che me la cavo, descriveva con gli occhi insieme ingenui e cinici di una bimba la situazione finanziaria della Svizzera. Curiosamente, quello stesso sguardo era condiviso due secoli prima dagli Illuministi francesi, che nella Confederazione elvetica ritrovavano un porto franco, nel quale depositare i propri capitali ed essere sgravati da controlli ed eccessivo peso fiscale.
Fu questa una delle ragioni che portarono l’intellettuale Jean-Marie Roland de la Platière, amico di Voltaire, a compiere tra il 1769 e il 1774 un Grand Tour tra i cantoni svizzeri: di quel viaggio lasciò una testimonianza preziosa, oggi tradotta per la prima volta in italiano e pubblicata da Armando Dadò (La Svizzera nel Settecento, pp. 224, s.i.p.). Nelle pagine dello scrittore francese il Paese elvetico appare come un paradiso, fiscale e non solo, in cui alla bellezza dei paesaggi fa fronte un estremo benessere degli uomini.
Quella tensione alla ricchezza, spiega l’autore, è animata da una doppia spinta che fa capo all’etica calvinista e allo spirito dell’Illuminismo. La prima consente un rapporto sereno col denaro, non considerato sterco del demonio, ma al contrario simbolo di elezione divina. Sulla base di questa convinzione, l’attività bancaria si sviluppa in modo fiorente, i commerci e l’industria crescono, le norme anti-lusso (le cosiddette leggi suntuarie) sono puntualmente eluse, e perfino la corruzione è accettata come una deriva inevitabile dal momento che «per quante misure possa adottare il governo, rimane sempre molto denaro nelle mani di chi molto ne maneggia».
Nulla da stupirsi, dunque, se anche i privilegi della casta dei politici sono guardati con occhi indulgenti, quasi fossero la giusta ricompensa per l’efficienza del loro operato. A deputati e governatori svizzeri, nota de la Platière, è consentito tutto, perfino rubare. Sono in grado, infatti, di avere super-buonuscite, «ritirandosi con centomila franchi dopo aver vissuto agiatamente durante i sei anni del proprio mandato»; godono di un sistema dinastico consolidato tale che «le cariche sono concentrate in un ristretto numero di famiglie, con tutta l’autorità e i vantaggi finanziari che ne conseguono»; e ottengono indennità per ogni piccola trasferta, visto che «ciascun cantone ne deve sostenere le spese, ossia rimborsare tutti i deputati». Ma indignarsi è fuori luogo, in quanto, se a ciascuno è consentito costruirsi la propria fortuna come più conviene, allo stesso tempo il peso dello Stato si fa sentire minimamente, grazie a una tassazione leggerissima e alla concessione di tutte le libertà: civili, religiose e politiche. È un retaggio dell’Illuminismo, secondo de la Platière, «se in Svizzera le tasse si pagano volentieri perché non è troppo oneroso pagarle»; se calvinisti e cattolici non si ammazzano come altrove per guerre di religione, ma hanno trovato un compromesso, spartendosi le cariche. Ed è un prodotto dello spirito dei Lumi anche il grande fermento intellettuale che anima il Paese, rendendolo una sorta di isola felice per i filosofi nonché un brodo di coltura per le idee che porteranno alla Rivoluzione Francese. Qui abita Jean-Jacques Rousseau e si affaccia molto spesso Voltaire, che vive proprio al confine con la Francia. De la Platière, in una sosta del viaggio, va a trovare quest’ultimo nel suo buen retiro di Ferney. L’irriverente pensatore gli appare come un uomo dedito insieme alla cultura e alla coltura, che compone libri e frattanto bada alla cura dei suoi campi; ma anche come un devoto consacrato alla Ragione, nel senso che pretende di avere sempre ragione lui. È questo il risvolto della libertà celebrata nel libro: la possibilità di esprimere liberamente il pensiero si trasforma presto nella dittatura del Pensiero Unico. E chiunque non vi si adegua, viene allontanato o addirittura ucciso.
Capiterà a Rousseau, cacciato da Ginevra perché le sue idee iniziavano a suonare troppo scomode agli stessi illuministi. E capiterà perfino a de la Platière. Tornato in Francia, nel 1792 diventerà ministro durante il governo girondino. Ma l’anno successivo, andati al potere i giacobini, sua moglie sarà ghigliottinata e lui stesso costretto a uccidersi. Commenterà così, prima di morire, la signora Marie-Jeanne de la Platière: «O Libertà, quanti delitti si compiono in tuo nome!».