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 2015  gennaio 16 Venerdì calendario

Nel convulso panorama mondiale dell’inizio del 2015, la decisione della Banca Nazionale Svizzera di smettere di «difendere» il cambio della propria moneta, evitandone un rialzo sgradito, ha dato origine a nuove convulsioni

Nel convulso panorama mondiale dell’inizio del 2015, la decisione della Banca Nazionale Svizzera di smettere di «difendere» il cambio della propria moneta, evitandone un rialzo sgradito, ha dato origine a nuove convulsioni. A seguito di queste convulsioni, la Svizzera si configura, paradossalmente, come una Grecia capovolta. I Greci devono sostanzialmente decidere se vogliono restare nell’euro; gli svizzeri hanno deciso di voler tagliare il legame – di fatto un cambio quasi fisso, da essi stessi introdotto e manovrato – del franco svizzero con l’euro che rendeva la moneta di Berna di fatto un’appendice del sistema monetario europeo. Decidendo di tagliare questo legame, gli svizzeri sono usciti dal sistema «dall’alto», e cioè accettando la rivalutazione di mercato; simmetricamente, con il voto del 25 gennaio, i greci potrebbero considerare di uscire dall’euro «dal basso», ossia con la creazione di una nuova, e svalutata, moneta. Entrambe sono situazioni instabili, difficili e pericolose: nel turbolento mondo della finanza globale, se Atene piange, Zurigo, Ginevra e Lugano di certo non ridono. La misura decisa dalle autorità monetarie di Berna in maniera «brutale» (avrebbero potuto aspettare il fine settimana, per far digerire e soppesare la notizia ai mercati finanziari di tutto il mondo, invece di sconvolgerli, con gigantesche oscillazioni) appare in contraddizione con le dichiarazioni ufficiali di pochi giorni prima, e deve intendersi come un riflesso del peggioramento generale dell’economia mondiale. Finché il flusso di valuta estera diretto in Svizzera è rimasto di dimensioni normali, il sistema bancario svizzero ha potuto gestirlo, forte della sua esperienza di decenni, anche perché l’investimento estero in franchi svizzeri aveva carattere transitorio: i clienti esteri, infatti, a trasferimento effettuato, molto spesso investivano – tramite le banche svizzere – i loro averi su un ampio raggio di monete. Negli ultimi mesi, però, la normalità è finita perché si sono aggiunte altre due correnti di capitali esteri che hanno cercato rifugio nella Confederazione Elvetica: prima i capitali in fuga dal rublo e poi, nelle ultime settimane, un aumento del flusso europeo determinato dalla debolezza dell’euro. Il mantenimento del cambio fisso poteva significare pagare un prezzo estremamente elevato per valute, come l’euro e il rublo, appunto, non solo deboli ma con prospettive di una debolezza prolungata. Naturalmente non sono disponibili statistiche tempestive su questi movimenti ma dobbiamo supporre che la loro ampiezza sia stata eccezionale per convincere gli svizzeri ad agire in maniera totalmente inaspettata. Non è stata di certo una decisione facile. Facendo salire il valore di mercato del franco svizzero, la Banca Nazionale Svizzera ha automaticamente reso più ardue le esportazioni (più di un quinto del prodotto interno lordo) e introdotto elementi di crisi anche in servizi importanti come quelli turistici. L’Ubs, una delle principali banche svizzere – citata dal sito della «Tribune de Genève» – ieri stimava a -0,7 per cento il possibile effetto della nuova apertura valutaria sul prodotto interno lordo, il che significa all’incirca dimezzare un tasso di crescita rispettabile in rapporto alle medie europee ma pur sempre modesto. Si comprende l’immediato allarme del mondo del lavoro e soprattutto dei lavoratori stranieri, a cominciare dai «frontalieri» italiani che sentono odore di licenziamenti. Non dovrebbero invece correre particolari pericoli i depositanti esteri delle banche svizzere. Se i loro depositi sono denominati in franchi svizzeri, hanno ottenuto un istantaneo e considerevole «bonus» mentre nulla è cambiato se i depositi sono in altre valute. Un effetto di questi mutamenti potrebbe essere un ulteriore rinvio degli accordi fiscali tra la Svizzera e i principali paesi europei (quello con l’Italia è in dirittura d’arrivo) in attesa che si chiariscano numerosi elementi tecnici della nuova situazione. Siamo di fronte, in definitiva, a misure d’emergenza in una situazione politico-economica, europea e mondiale, anch’essa di emergenza. Tali misure non possono proporsi di fornire una soluzione ai problemi, ma solo di portare un sollievo temporaneo, senza eliminare alcuno squilibrio di fondo. Per superare la fase di emergenza ci vuole ben altro e occorre partire da una nuova collaborazione tra banche centrali. Ieri la Banca Nazionale Svizzera ha agito da sola, senza consultazioni con i «colleghi» delle altre banche centrali. In assoluta autonomia e in assenza di consultazioni sono state adottate nell’ultimo anno le grandi decisioni delle banche centrali che contano, dal Giappone agli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna all’Eurozona. Così non si risolve nulla e non è facile porre le basi di una ripresa stabile e duratura: il discorso deve partire dall’uso delle monete internazionali, con il dollaro che dà segnali di affanno e che potrebbe essere utilmente affiancato o sostituito da un «paniere» delle principali monete. Questo «paniere» già esiste, ed è espresso nei «Diritti Speciali di Prelievo», emessi dal Fondo Monetario Internazionale e proposti, tra l’altro, dalla Fondazione Triffin: su una simile base si potrebbe andare verso una «pace monetaria» che sostituisca l’attuale condizione di ostilità di fatto tra le valute. E un assetto monetario stabile è sicuramente una precondizione importante per la stabilità politica e per uno sviluppo sopportabile dell’intero pianeta. mario.deaglio@libero.it