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 2015  gennaio 16 Venerdì calendario

ANCHE LONDRA NON HA PIÙ SOLDI PER LA

CULTURA –
Dopo la prima sentenza a favore del Warburg Institute i ventimila firmatari dell’appello aspettano adesso, con il fiato sospeso, i risultati delle trattative con i vertici dell’Università di Londra: l’ufficio legale ricorrerà in appello (riaprendo un contenzioso che costerà ancora centinaia di migliaia di sterline) o, come studenti e studiosi di tutto il mondo sperano, cercherà di trovare un compromesso che rispetti gli accordi siglati nel 1944 tra la famiglia Warburg e lo stesso Ateneo per garantire il futuro di una delle più importanti biblioteche di studi rinascimentali del mondo? Il 6 novembre, infatti, l’Alta Corte ha respinto alcune richieste avanzate dall’Università londinese. Il giudice Justice Proudman ha riconosciuto che tutte le acquisizioni di libri e di immagini avvenute dopo il 1944 (data in cui la famiglia Warburg diede in gestione la biblioteca all’Università di Londra) appartengono al Warburg e che l’Università di Londra è tenuta a sostenere le spese non solo della biblioteca ma anche dell’Istituto poiché, negli accordi siglati, l’Istituto e la biblioteca formano un’unità indivisibile.
Il conflitto con i vertici dell’Università, che si trascinava ormai da anni, era nato proprio a causa di una diversa interpretazione delle clausole contenute nell’atto costitutivo (Trust Deed) con cui la famiglia Warburg aveva “affidato” all’Ateneo londinese l’importante biblioteca raccolta da Aby Warburg (1866-1929) nel corso di una vita interamente dedicata agli studi rinascimentali (storia dell’arte, magia, religione, filosofia, scienza, letteratura, storia). Gli impegni assunti nel 1944 prevedevano, come la sentenza ha confermato, che l’Istituto e la biblioteca fossero adeguatamente ospitati in un edificio nei pressi del cuore pulsante della vita universitaria (quindi nel quartiere di Bloomsbury, dove attualmente risiede il Warburg, a Woburn Square) e che le spese di gestione (acquisto libri e attrezzature, stipendi dei professori e del personale) dovessero essere rispondenti alle esigenze dell’Istituto in ragione del suo prestigio internazionale.
La sentenza ha riconosciuto, invece, l’Università come legittima proprietaria dell’edificio in cui il Warburg è ospitato. Ma, nello stesso tempo, ha considerato eccessivo il canone imposto negli ultimi cinque anni all’Istituto (750.000 sterline, contro le 250.000 pagate nel passato) e inadeguati i finanziamenti concessi dall’Ateneo per la vita scientifica e amministrativa del Warburg. Detto in altri termini: l’Università non può concedere fondi inferiori alle somme che poi chiede per le spese. Questa politica, infatti, ha messo in serio pericolo la vita del Warburg che, dopo aver eroso le sue riserve e accumulato un debito enorme, adesso non ha più risorse neanche per sopravvivere.

La passione per gli indiani Hopi. L’appello internazionale sottoscritto da migliaia di studiosi ha voluto attirare l’attenzione delle autorità accademiche e dell’opinione pubblica sul precario futuro di un prestigioso Istituto che ha ormai al suo attivo un patrimonio straordinario (350.000 volumi e 400.000 immagini) e che ha ricoperto un ruolo fondamentale negli studi rinascimentali (si pensi a maestri del calibro di Ernst Cassirer, Rudolf Wittkover, Ernst Gombrich, Erwin Panofsky, Fritz Saxl, Michael Baxandall, Frances Yates, Edgar Wind, Paul Oskar Kristeller, Carlo Dionisotti, Giovanni Aquilecchia, Anthony Grafton). L’eccezionale storia della biblioteca è legata al suo fondatore Aby Warburg, le cui opere sono in corso di pubblicazione in Italia presso l’editore Nino Aragno che da anni stampa anche diverse collane dell’Istituto londinese. Figlio di un ricco banchiere tedesco, utilizza tutte le sue risorse economiche per coltivare i suoi interessi per la storia dell’arte e per la ricerca umanistica. Giovanissimo si innamora di Firenze («Amburghese di cuore, ebreo di sangue, d’anima Fiorentino» amava definirsi), dove soggiorna più volte per lavorare su Sandro Botticelli e su altri autori rinascimentali. Nel frattempo compie anche una serie di viaggi in America per studiare, incoraggiato da colleghi statunitensi, le tradizioni degli indiani Hopi. Anni dopo, attorno alle decine di migliaia di libri acquistati, nasce ad Amburgo l’Istituto con il sostegno finanziario dei fratelli. E nel 1933, dopo l’ascesa dei nazisti al potere, l’importante istituzione viene chiusa a causa delle radici ebraiche della sua famiglia. In quel difficile momento, persero il posto di professore tre grandi studiosi del Rinascimento: Saxl (direttore dell’Istituto dal 1929 al 1948), Panofsky e Cassirer. Così nel dicembre del 1933, i libri e l’intero patrimonio documentario furono trasferiti a Londra nella Thames House, dove oggi risiedono gli uffici dei servizi segreti britannici (MI5). Con il sostegno di Samuel Courtauld — che nel 1932 aveva fondato il Courtauld Institute of Arts — la biblioteca Warburg, non potendo più ritornare in Germania, ottiene un prolungamento dell’ospitalità lungo le rive del Tamigi con l’obiettivo di raggiungere un accordo con un Ateneo londinese. E grazie ai fondi dello University Grants Committee (l’ente per il finanziamento delle università), l’Università di Londra accetta di firmare nel novembre del 1944 il “trust” con la famiglia Warburg (la biblioteca aveva raggiunto all’epoca gli 80.000 volumi), sulla cui interpretazione è nato nel 2003 il contenzioso oggetto della recente sentenza.
Una ben documentata ricostruzione di tutti i passaggi — dal trasferimento della biblioteca da Amburgo a Londra fino al recente conflitto giuridico presso l’Alta Corte — è stata recentemente offerta da Charles Hoope (direttore del Warburg dal 2001 al 2010) in un articolo apparso il 4 dicembre 2014 sulla London Review of Books. L’ex direttore racconta anche gli avvenimenti vissuti in prima persona quando l’Università di Londra, senza informare gli Istituti coinvolti, decise di accorpare tutte le biblioteche della School of Advanced Studies, la grande biblioteca centrale di Senate House e il centro computer con l’obiettivo di tagliare i costi di gestione. Ma il nuovo assetto, senza apportare alcun vero beneficio economico, ha poi provocato incomprensioni e scelte che, nel corso degli anni, hanno finito per deteriorare i rapporti tra il Warburg e l’Ateneo a tal punto da ricorrere al giudizio dell’Alta Corte.

Prospettiva interdisciplinare. Coloro che hanno avuto la fortuna di lavorare in questa straordinaria biblioteca — aperta 24 ore su 24 ai professori, ai bibliotecari, ai dottorandi e ai fellows dell’Istituto — sanno bene cosa significhi fare ricerca tra scaffali in cui i libri sono ordinati secondo la logica del “buon vicinato”: si cerca una specifica opera e a fianco si trovano catalogate tantissime altre opere che parlano dello stesso tema o di un tema affine che potrebbe aprire nuove stimolanti piste. In una prospettiva interdisciplinare, saggi e testi di autori ed epoche diverse dialogano tra loro per mostrare che il Rinascimento e la cultura classica non si possono capire a fondo se non si abbattono gli steccati tra i saperi. Letteratura, filosofia, storia, teologia, astronomia, scienza, botanica, architettura, arte costruiscono una rete di relazioni culturali che diventa essenziale ricostruire per capire il senso di testi e di immagini.
Adesso bisognerà aspettare la riunione fissata il 28 gennaio per sapere se l’Ateneo londinese deciderà di ricorrere in appello contro la sentenza di novembre (i termini scadono il 6 febbraio). E sempre verso fine gennaio — dopo le recenti dimissioni di Peter Mack, a capo dell’Istituto dal 2010 al 2014 — si conoscerà anche il nome del nuovo direttore del Warburg. In ogni caso la comunità scientifica internazionale ha già espresso un giudizio negativo sull’eventuale decisione da parte dell’Università di Londra di continuare una disputa legale che è già costata centinaia di migliaia di sterline allo Stato, come del resto ha riconosciuto lo stesso Chris Cobb, direttore generale dell’Ateneo londinese. Non sarebbe meglio destinare fondi alla biblioteca e alle attività scientifiche anziché sperperare denaro per spese giudiziarie e per onorari destinati agli avvocati? Questi sono i frutti di una politica aziendalistica che sta spingendo ormai le università in un baratro profondo. La logica del profitto, purtroppo, anche in Inghilterra si abbatte impietosa su istituzioni di grande prestigio, nate disinteressatamente per promuovere la libera ricerca e la cultura.