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 2015  gennaio 16 Venerdì calendario

GLI 800 PRONTI AD ATTACCARCI

La prima linea del terrore che punta al cuore dell’Europa è sintetizzata in un dossier top secret: un fascicolo che raccoglie quasi mille note informative, redatte tra aprile e dicembre dello scorso anno. È la sintesi del lavoro degli apparati di sicurezza italiani, costruita grazie allo scambio di notizie con i colleghi di tutto il mondo: documenti che “l’Espresso” ha potuto esaminare e contengono l’identità, le storie, le foto – e talvolta gli obiettivi da colpire– di quasi 800 tra donne e uomini. Nei file l’allerta cresce di intensità di mese in mese, con l’avanzata dell’Isis in Iraq e i proclami del Califfato a “ferire a morte” il Vecchio continente. Sono allarmi tutti da verificare, basati su fonti d’ogni tipo e in alcuni casi ancora in corso di analisi. Un big data che cerca di censire il via vai di jihadisti che partono dall’Europa verso la Siria, ma soprattutto di quelli che tornano. “Lupi solitari”, esperti di guerra e pronti a uccidere: una minaccia che le stragi di Parigi hanno trasformato nell’incubo di tutte le capitali.
Dalla lettura di quei documenti traspare una matrice comune, il filo di una ragnatela invisibile che collega l’eversione islamista ai sistemi criminali specializzati nel traffico d’armi, di droga e alle rotte dell’immigrazione clandestina. Ci sono centinaia di indizi, ma mancano le prove definitive di una quest’unica regia.
L’ITALIA NEL MIRINO
Nelle carte investigative sono individuate una decina di minacce “serie”contro il nostro Paese. C’è una nota dello scorso 19 settembre che è servita per gettare le basi di due inchieste aperte dalle Procure di Palermo e Catania sulla potenziale presenza di terroristi tra i clandestini sbarcati in Sicilia in quei giorni. Il primo file è della Digos. Le indagini prendono spunto dalla testimonianza di un cittadino egiziano. È arrivato in Sicilia, a Porto Empedocle, il 13 settembre. Durante la traversata ha conosciuto Shadi, siriano, e Mohamed, palestinese. Nel suo racconto, l’uomo descrive i due ragazzi alla stregua di integralisti pronti a combattere sul suolo italiano. Ha parlato con loro e sostiene, nel colloquio con gli investigatori, di aver saputo che sono giunti in Italia, per congiungersi a un gruppo già presente a Roma. Il loro obiettivo - si legge nella nota del Viminale - è Il Vaticano. Per i funzionari della Digos è una corsa contro il tempo. Perché Shadi e Mohamed sono stati schedati e fotografati allo sbarco. Poi sono stati inviati in una struttura di prima accoglienza. Ma quando gli agenti tentano di raggiungerli, dei due non c’è più traccia. Lo stesso copione va in scena a Pozzallo nell’autunno dello scorso anno: dopo uno sbarco, ai primi di ottobre, vengono identificati tre egiziani sospetti. In entrambi casi, gli investigatori hanno raccolto indizi sulla presenza di basisti italiani in grado di tessere una rete di protezione per chi arriva nel nostro Paese in nome del jihad.
IL DILEMMA FRONTIERE
Finora su oltre 250 mila persone che dal 2011 hanno attraversato il Canale di Sicilia c’è stato un unico arresto per terrorismo. A Lampedusa, il 24 giugno del 2011, viene fermato il libico Ibrahim Harun Adnan. Ricercato dalla autorità statunitensi per aver ucciso dei militati americani in Afghanistan e organizzato attentati in Africa, Adnan sarà estradato in fretta e furia dall’Italia e spedito di fronte alla Corte distrettuale di New York nel settembre del 2012. È una storia particolare: l’uomo appartiene alla schiera di fondamentalisti scarcerati da Gheddafi all’inizio della rivolta e spinti dal regime a dirigersi verso Occidente.
Gli 007 di alcuni paesi ritengono però che con l’ondata umana di Mare Nostrum il pericolo di infiltrazioni sia aumentato. Anche per questo Francia e Spagna all’indomani delle stragi di Parigi hanno chiesto di sospendere il trattato di Schengen e riprendere il controllo delle frontiere, incontrando l’opposizione dei governi di Roma e Berlino. Che le rotte della migrazione abbiano punti di contatto con il mondo dell’eversione lo indicano altri tre cablo del Viminale. Il primo, il più delicato, è del 16 luglio di quest’anno e porta la firma dei servizi segreti militari. L’allarme è relativo a una cellula di cinque combattenti dell’Isis, europei di origine tunisina e canadese, che dopo aver abbandonato la trincea siriana, avrebbero intenzione di fare rotta verso l’Italia. Dei cinque miliziani, l’Aise riesce a fornire quattro identità. Per l’intelligence è una minaccia seria: la cellula sarebbe stata formata e addestrata nei campi siriani di Saluq e Arkashi. I servizi seguono le tracce sino allo scorso 15 luglio, quando i terroristi avrebbero deciso di imbarcarsi su una motonave con a bordo 400 clandestini, diretta verso le coste laziali. Una volta giunti in Italia - racconta la nota dell’intelligence - i cinque avrebbero potuto muoversi liberamente grazie a passaporti norvegesi. Anche in questo caso, il target operativo dei combattenti è individuato nella Santa Sede. Gli altri due cablo che legano l’immigrazione clandestina al jihadismo non contengono elementi precisi, limitandosi a descrivere la possibilità di infiltrazioni, da Grecia e Turchia e Svezia.
Colpire in Italia, o nel territorio europeo, sarebbe l’obiettivo di un gruppo di 140 bosniaci, reduci anche loro della guerra in Siria. Nel battaglione sarebbero presenti almeno trenta aspiranti martiri, pericolosi perché «capaci di muoversi liberamente in area Schengen».
Secondo le analisi del Viminale, pure la formazione radicale somala Al Shabaab avrebbe messo nel mirino obiettivi statunitensi in Italia, per vendicare i raid dei droni contro i loro capi. Così, grazie «ai dati raccolti in ambito internazionale» - eufemismo usato più d’una volta nei documenti per celare la fonte di intelligence straniera che ha dato la soffiata - dalla scorsa estate è partita la caccia a un cittadino etiope già entrato in Europa e in contatto con una rete di connazionali che si estende in tutto il nord del Continente. Nel profilo del candidato kamikaze si legge che è «esperto di biochimica ed avrebbe nozioni sull’assemblaggio di ordigni esplosivi».
PENISOLA DI TRANSITO
Ma l’Italia non è soltanto un possibile bersaglio. Dalla lettura dei file si comprende come il nostro Paese venga considerato una tappa di transito, possibile rifugio per chi è braccato dalle polizie di mezzo mondo. Anche Samantha Louise Lewthwaite, cittadina britannica convertita all’Islam, avrebbe scelto la Penisola - e in particolare Firenze - come nascondiglio temporaneo. È una delle most wanted del terrorismo internazionale. Secondo la stampa russa, la ragazza sarebbe morta in un conflitto a fuoco nello scorso autunno, ma gli investigatori inglesi hanno sempre smentito questa notizia. Balzata agli onori della cronaca come la “vedova bianca” per essere stata la sposa di Germaine Lindsay (uno dei kamikaze dell’attacco del 7 luglio 2005 alla metro di Londra), la Lewthwaite è ricercata per attentati in Kenya e Nigeria. Legata al gruppo islamista somalo Al Shabaab, nello scorso marzo sarebbe stata individuata a Firenze dall’intelligence statunitense.
In Italia arriverebbero da tutte le parti del mondo: Iraq, Cecenia, Tunisia, Libia e Marocco. C’è anche chi utilizza un permesso di soggiorno italiano e andare così in giro per l’Europa a progettare terrore. Uomini appaiono e scompaiono da un capo all’altro del Continente. Shakir viene da Kirkuk, in Iraq, e dopo un rocambolesco ingresso in Irlanda - dove ha esibito non uno ma ben due permessi di soggiorni rilasciati in Italia - ha fatto il giro dell’Europa, dall’Inghilterra alla Germania, incontrandosi con il fior fiore dell’eversione islamista.
C’è chi mette piede da noi con passaporto israeliano contraffatto e chi, non si sa bene come, è riuscito a impossessarsi di un consistente numero di passaporti italiani, parte di un lotto di quattromila documenti stampati non correttamente, originariamente destinati alla Questura di Milano, da inviare al macero. Uno di quei documenti è stato utilizzato per cercare di entrare in Australia.
Il nostro Paese rischia di diventare anche il teatro di scontri tra fazioni opposte. La guerra infinita tra Hamas e Fatah potrebbe far vittime anche da noi. Ne danno conto in una nota dell’estate 2014 i servizi segreti civili. Gli 007 sono sulla scia di una cellula composta da quattro palestinesi delle Brigate Ezzedine Al Qassam, arrivata per regolare i conti con un esponente di Al Fatah, residente in Italia dal 2007. La cellula si è insediata a Milano, ospite di un centro islamico, e sarebbe pronta a colpire.
Dalle nostre città passano anche cospicue somme di denaro destinate alle organizzazioni jihadiste. Una rete finanziaria che parte dal Libano è stata individuata a giugno scorso a Fiumicino, quando dopo un normale controllo doganale, un passeggero del volo Beirut-Roma viene seguito dagli investigatori. Nella capitale l’uomo, un libico, incontrerà due connazionali legati al finanziamento del terrorismo, appartenenti ad un gruppo che opera tra Libia, Venezuela e Italia, incluso nella lista nera del Dipartimento di Stato americano. Si contano a decine le sospette transazioni economiche destinate al jihad, e questo accade in tanti centri, da Milano a Napoli.
Nella lotta al terrorismo internazionale ingaggiata dai nostri investigatori fa capolino anche il network del traffico d’armi. Il 7 luglio scorso, il Viminale deve correre ai ripari per un visto rilasciato dalla nostra ambasciata in Yemen. Gli uffici avevano fornito il lasciapassare - si legge nella nota - a un cittadino yemenita a capo di un’organizzazione dedita al commercio d’armi con il Nord Europa e l’Italia, una delle filiere in grado di rifornire i “lupi solitari” di ritorno dai campi di battaglia siriani. L’allerta del Viminale bloccherà, dieci giorni dopo il rilascio del visto, l’accesso in Italia e in area Schengen al trafficante.
LE BRIGATE FRANCESI
Nel dossier c’è grande attenzione per le attività dei foreign fighters presenti in Francia, Belgio e Germania. Sono oltre un centinaio i soggetti individuati e segnalati come pericolosi. L’ultima nota che “l’Espresso” ha potuto visionare porta in calce la data dell’8 gennaio 2015. È l’alert lanciato dall’Interpol nelle ore successive all’attacco contro la redazione di “Charlie Hebdo”. Classificata come “codice blu” - in ossequio alla prassi internazionale che utilizza una scala cromatica compresa in sei gradi tra il verde e il rosso per discriminare il pericolo - la scheda trasmessa dal Viminale su Said e Cherif Kouachi non contiene però alcun riferimento a precedenti informative sul conto dei due terroristi francesi. Il ministro Angelo Alfano invece ha dichiarato in Parlamento che Cherif era già stato segnalato alla nostra intelligence. Ma in compenso, nel database sono censiti un centinaio di transalpini da fermare a tutti i costi se si dovessero presentare alla nostra frontiera.
A Kevin Guaiavarch, la nostra intelligence ha dedicato un file tutto suo. Il giovane francese, legato alla fazione siriana di Al Qaeda, è stato inserito nella lista “special notice” delle Nazioni Unite. Dal 2012 è sulla linea di fuoco in Siria. Guaiavarch non è soltanto un militare addestrato, ma anche un abile reclutatore di soldati. A ottobre dello scorso anno gli 007 francesi hanno smantellato una rete di finanziamenti organizzata da lui, in grado di raccogliere 2000 dollari al mese con piccoli contributi provenienti da tutto il mondo. I soldi venivano accreditati sui conti della madre, che li faceva arrivare al fronte.
Leggendo le informative dedicate alla brigate francesi spuntano i nomi di uomini e donne che hanno sposato la causa del jihad e si sono dati alla latitanza. È il caso di Solene Przybylak, che ha preso il nome di Fatima e vuole combattere con Jabhat al Nusra. Per gli investigatori, Fatima è in marcia verso la Siria e potrebbe passare dall’Italia via terra. Le brigate francesi possono contare sul sostegno di associazioni caritatevoli, in realtà ritenute una copertura per finanziare il network del terrore. Dai file del Viminale si intuisce che la rete francese conta su solide alleanze in Belgio, Gran Bretagna, Norvegia e Finlandia.
Anche dalla Germania si scappa in cerca di gloria sui campi di battaglia in nome di Allah. Manuel e Fabian sono due ragazzi di Kassel. Fabian è ancora minorenne. I due hanno lasciato ai genitori una lettera d’addio, annunciando di essere diventati mujaheddin e di voler andare in Siria. Si sono convertiti all’Islam nel 2013. Al gruppo si sono uniti altri due ragazzi, Sara e Aman. Per fuggire, Manuel e Fabian hanno portato via l’auto del padre, un suv Bmw full optional, e 20 mila euro in contanti. Perché in fondo, se si va incontro al martirio, è meglio andarci comodi.