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 2015  gennaio 16 Venerdì calendario

LA SVIZZERA LASCIA LIBERO IL FRANCO

Uno «tsunami». Così Nick Hayek, amministratore delegato e fondatore del gruppo Swatch, ha definito la sorprendente decisione della Banca nazionale svizzera (Bns) di eliminare il livello minimo del cambio del franco, fissato a 1,20 per euro a partire dal settembre 2011, con l’obiettivo di frenarne la rivalutazione. La divisa elvetica è infatti subito schizzata in alto, arrivando a rivalutarsi del 27% a 0,86 per euro, per poi stabilizzarsi nella serata di ieri a 1,03 per euro, per una rivalutazione del 14%. Un colpo tremendo per l’industria manifatturiera nazionale, i cui prodotti saranno notevolmente più cari all’estero, minando così le esportazioni. Da qui il grido di dolore di Hayek e il crollo della borsa di Zurigo, che ha chiuso in ribasso dell’8,7% dopo essere arrivata a perdere il 12%. Possibile che la Banca centrale non abbia calcolato le conseguenze devastanti del suo gesto? Il presidente della Bns, Thomas Jordan, ha spiegato che «questo è il momento giusto per abbandonare» la soglia minima, «che non era più sostenibile e che avrebbe potuto essere mantenuta solo con continui interventi sui mercati. Abbiamo concluso che è meglio uscire ora che tra 6 o 12 mesi, quando il quadro economico potrebbe essere più difficile ovunque». Per cercare di contenere la rivalutazione del franco, la Bns ha contestualmente abbassato dello 0,50%, portandolo al -0,75%, il tasso d’interesse applicato ai depositi delle banche commerciali presso la stessa banca centrale. Tra gli analisti il parere è unanime: la Bns ha deciso di sganciare il dollaro dall’euro in vista del Qe, che dovrebbe essere lanciato dalla Bce giovedì prossimo, 22 gennaio. L’acquisto dei titoli di Stato da parte della banca centrale ha sempre come conseguenza l’indebolimento della moneta in cui sono denominati i bond. Questo dovrebbe spingere molti investitori ad abbandonare l’euro per comprare franchi svizzeri, rafforzando così la valuta elvetica. Con questa prospettiva, diventerebbe sempre più oneroso per la Bns difendere la soglia minima con la moneta unica. A causa di questi interventi, alla fine del 2014 la Bns aveva investito in divise estere 495 miliardi di dollari. Non è ancora nota la parte in euro: si sa però che tre mesi prima, a fine settembre, la quota era del 44,6%, cioè circa 174 miliardi. Con il crollo odierno del corso da 1,20 a 1,03 la Bns ha così subito una perdita (sulla carta) del 14%. Sulla base delle cifre di settembre si parla di circa 30 miliardi di franchi. A queste si aggiungono poi le perdite sul dollaro (142 miliardi a bilancio in settembre), che pure è calato. Ieri anche la divisa americana è scesa pesantemente, provocando un deprezzamento di altri 17 miliardi. Chiaramente, in vista della corsa al franco svizzero che sarà scatenata dal lancio del Qe, questi costi sono insostenibili. Come hanno osservato gli economisti di Jci Capital, è quindi «ipotizzabile che la Bns sia stata costretta a ritirarsi prima che la battaglia si facesse troppo sanguinosa». E così si spiega anche l’impennata delle altre borse europee. La mossa della Bns sarebbe infatti avventata se non avesse la certezza che il 22 gennaio la Bce darà il via all’acquisto di titoli di Stato. Operazione che, data l’entità della contromossa elvetica, potrebbe essere anche più sostanziosa del previsto sia dal punto di vista quantitativo (acquisti superiori ai 500 miliardi di euro stimati dagli analisti) che qualitativo (acquisti a manetta dei bond emessi dai Paesi più bisognosi, l’Italia, senza perdere tempo a comprare quelli tedeschi). E così Piazza Affari ha guadagnato il 2,36%, Parigi il 2,37%, Madrid l’1,39% e Francoforte il 2,20%. La fine degli acquisti di euro da parte della Bns ha inevitabilmente indebolito la moneta unica anche nei confronti del dollaro. L’euro ha quindi perso l’1,5% sul biglietto verde, a 1,1608, dopo avere toccato un minimo di giornata a 1,1568, il livello più basso dal novembre 2003. E subito Morgan Stanley ha consigliato di vendere euro fino a quando la moneta unica scenderà a 1,050 dollari. Sulle prospettive dell’euro bisogna poi ricordare che la Bns aveva fissato il livello minimo del cambio a 1,20 per euro nel settembre 2011, quando lo spread dell’Italia era salito a livelli talmente alti da far temere una sua bancarotta, che avrebbe reso molto probabile la fine dell’euro. Adesso la Bns sembra lanciare un nuovo allarme rosso sull’euro, nell’imminenza delle elezioni in Grecia. Tutti, compreso Alexis Tsipras, il leader di Syriza, il partito dato vincente dai sondaggi, si sbracciano a dire che Atene non tornerà alla dracma e quindi non si innescherà nessun effetto contagio negli altri Paesi di Eurolandia. Ma Tsipras chiede che gran parte del debito greco sia condonato, cosa inaccettabile per la Germania. Se non si arriva a un compromesso, Atene sarà costretta a tornare alla dracma. E a quel punto il rischio contagio tornerà elevatissimo, e a quel punto potrebbero ripetersi le turbolenze dell’autunno 2011. Non per niente lo stesso presidente della Bns, Jordan, ha detto che «è meglio uscire ora che tra 6 o 12 mesi, quando il quadro economico potrebbe essere più difficile ovunque». Il riferimento è inequivocabilmente a Eurolandia, che avrebbe una moneta sempre più svalutata. Visti i rischi futuri, ieri l’oro è tornato a essere un bene rifugio, guadagnando l’1,9% a 1.258,10 dollari l’oncia.
Marcello Bussi, MilanoFinanza 16/1/2015