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 2015  gennaio 16 Venerdì calendario

GLI USA MODELLO DI LIBERO MERCATO? AFFATTO. GRAZIE AL TTIP, SVELATO IL FORTE PROTEZIONISMO DELLA LORO MARINA MERCANTILE

Grazie alla maggiore trasparenza, introdotta da poco, sulle trattative Usa-Ue per il trattato commerciale Ttip, si stanno scoprendo aspetti a dir poco sorprendenti sulle regole tuttora in vigore sulle due sponde dell’Atlantico. Una di queste riguarda la legge americana, nota come Jones Act, che da circa un secolo regola le attività marittime nelle acque interne degli Stati Uniti e gli scambi navali tra i porti Usa. Incredibile a dirsi, si tratta di una legge protezionistica al massimo livello, che nell’Unione europea sarebbe stata bandita da un pezzo. Varata nel 1920 per iniziativa del senatore Wesley Jones, questa legge federale stabilisce che tutte le navi che trasportino merci o persone tra un porto e l’altro degli Stati Uniti devono essere costruite in Usa, battere la bandiera americana, essere di proprietà statunitense e avere un equipaggio che per il 75% sia composto da cittadini americani.
Grazie al Jones Act, le navi degli altri Paesi possono sì portare negli Usa merci e passeggeri, ma non possono poi trasferirli da un porto all’altro, essendo questa attività riservata soltanto alla marina mercantile Usa, insieme alle attività di rimorchio, dragaggio e agli altri servizi portuali. Lo stesso criterio protezionistico vale per il trasporto di shale oil (il petrolio ottenuto con il fracking) dai porti Usa vicini ai siti di estrazione verso quelli che si trovano in prossimità delle raffinerie. Un recente rapporto di Bloomberg sulla marina mercantile Usa ha svelato che negli ultimi anni, grazie al Jones Act e allo shale oil, vi è stato un autentico boom della cantieristica navale Usa, soprattutto per la costruzione di petroliere da destinare al trasporto dello shale oil in acque interne. Alcune grandi aziende cantieristiche hanno addirittura triplicato il numero dei lavoratori per tenere dietro alle commesse, facendo profitti mai visti in passato.
Tutto questo viene ora alla luce poiché una deputata olandese del Parlamento europeo, Marietje Schaake (partito liberale), seguendo da vicino le trattative per il Ttip, ha scoperto che fin dall’inizio delle trattative (2013) l’Unione europea aveva chiesto agli Stati Uniti di rimuovere gli ostacoli alla concorrenza rappresentati dal Jones Act, senza ottenere alcun risultato, almeno finora. Nei giorni scorsi è però arrivata una svolta, segnalata dal sito euractiv.com. Il senatore Usa, John McCain, autorevole esponente repubblicano, a sorpresa, ha proposto un emendamento per la totale abrogazione del Jones Act, da lui considerato «una legge antiquata, che per troppo tempo ha intralciato il libero commercio, reso l’industria Usa meno competitiva, e provocato prezzi elevati per i consumatori americani». In Olanda l’industria navale e portuale ha grande peso. E la deputata olandese Schaake, appena ha saputo di questo emendamento, l’ha immediatamente segnalato ai negoziatori europei del Ttip. «Abrogare il Jones Act», ha dichiarato, «è una questione prioritaria, se si vuole procedere nel negoziato».
Di certo, il senatore McCain è persona autorevole in Usa. Ex decorato del Vietnam, è un politico dalla forte personalità, molto conosciuto in patria, ed è stato anche in corsa per la Casa Bianca. I nostri lettori ricorderanno che pochi mesi fa abbiamo segnalato che fu proprio lui a recarsi in Bulgaria per suggerire al governo di Sofia di interrompere i lavori per la costruzione del gasdotto russo South Stream, visto dagli Usa come uno strumento di potere di Vladimir Putin sull’Europa. Nel giro di pochi giorni il governo di Sofia bloccò i lavori, e McCain se ne attribuì il merito pubblicamente. Se ora, da posizioni liberali, ha deciso di dichiarare guerra a una legge protezionistica del suo Paese, come il Jones Act, c’è solo da rallegrarsi. Ma che il suo emendamento possa essere approvato dal Congresso Usa, è tutto da vedere.
Anzi, il sospetto che si tratti solo di una manfrina per ammorbidire i negoziatori europei su altri punti della trattativa, come la clausola Isds sugli arbitrati tra Stati e multinazionali, è molto forte. Basta ricordare che il negoziatore capo per conto degli Usa, Michael B. Froman, ha ribadito più volte che, a suo avviso, «il Jones Act non si tocca e deve essere preservato». Con lui è schierata al completo l’industria navale americana, che è contraria a qualsiasi cambiamento del Jones Act, nonostante sia ormai evidente che il regime protezionistico di cui gode, provoca un rialzo dei prezzi ingiustificato.
Uno studio del Servizio ricerche del Congresso ha documentato nel luglio scorso che il costo per il trasporto del crude oil dal Golfo ai porti della costa nord degli Usa è di 5-6 dollari al barile se fatto con le navi che battone bandiera Usa, contro i 2 dollari al barile praticati dalle petroliere che battono bandiere straniere sulla rotta tra il Golfo e il Canada. Uno scarto di oltre il 100%, che da decenni si traduce in grandi profitti per la marina mercantile Usa, cresciuta all’ombra di un protezionismo forse senza eguali al mondo, di certo sconosciuto in Europa.
In sintesi, una lezione da meditare, soprattutto per chi ha sempre pensato che gli Stati Uniti fossero il luogo deputato del libero mercato e della concorrenza, un modello da imitare per la vecchia Europa. Nei porti, è vero il contrario.
Tino Oldani, ItaliaOggi 16/1/2015