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 2015  gennaio 16 Venerdì calendario

LA RAI DISPONE DI UN D.G. CON I FIOCCHI CHE NON PUÒ FARE LE SCELTE CHE SERVONO

Molti ricorderanno la foto allucinante, pubblicata in occasione dell’ultimo vertice australiano del G20 a Brisbane, del 14 novembre scorso, che riprendeva il premier Matteo Renzi mentre rilasciava una sua dichiarazione televisiva a una selva di cinque microfoni, ognuno dei quali era contrassegnato dal logo di altrettanti canali della Rai. È evidente che, anziché spostare dall’altra parte del mondo gli inviati e le troupe dei cinque canali Rai, sarebbe stato più economico ed efficace mandarci un solo giornalista Rai (della sua agenzia interna; se ci fosse) che avrebbe registrato il materiale dal quale poi, i vari Tg o i vari Talk show della tv di Stato, avrebbero potuto estrarre i filmati da montare a loro piacimento.
Una misura di questo tipo, che consiste nel creare una redazione centrale al servizio di tutti i canali, è talmente ovvia che potrebbe essere proposta anche dal pizzicagnolo dell’angolo sotto casa ma che è impossibile da realizzare nella Rai, un ente pubblico che è completamente insensibile ai costi, anche se, in un momento in cui tutti stanno tirando la cinghia, non dovrebbe essere possibile (e decente) esentarne la Rai che, oltretutto, vive dei canoni che vengono esatti obbligatoriamente, a sua favore, come se fossero delle tasse, anche a carico degli italiani meno abbienti.
Del resto non c’è al mondo (America compresa) nessuna televisione multicanale che non abbia anche una redazione giornalistica comune. Non a caso, in Italia, anche Mediaset se ne è dotata. Persino la Rai, sia pure dopo molte titubanze, ha maturato il convincimento che una redazione centrale di questo tipo sia una cosa inevitabile. La Rai non poteva non arrivarci anche perché può fare affidamento su un direttore generale, come Luigi Gubitosi (fu nominato nel posto da Mario Monti), che possiede grandi qualità manageriali e di esperienza. Egli infatti, dopo essersi laureato a Napoli, ha frequentato la London School of Economics di Londra e ha ottenuto un master alla prestigiosa scuola di specializzazione francese di Fontainbleu, poi ha svolto incarichi apicali in Fiat e quindi è stato amministratore delegato di Wind.
Tuttavia, in Rai, queste qualità sovrabbondanti di Gubitosi sono considerate superflue. In Rai infatti comandano i partiti, non i d.g. Del resto, se la Rai è al 99,6% di proprietà pubblica è evidente (e logico) che sia il padrone che possa (e debba) gestirla. E, nel caso della Rai, il padrone esplicito è la Commissione di Vigilanza Rai, cioè tutti i partiti presenti in parlamento, e il padrone implicito (ma non meno potente) è il governo con tutti i suoi ministri. Da questa strettoia non si scappa. L’unica possibilità per slacciare la Rai dalla manomorta partitocratica sarebbe la privatizzazione dell’ente radiotelevisivo. Ma i partiti che la controllano (e che, come i ladri di Vattelapesca, fingono di litigare di giorno ma poi vanno d’accordo di notte) ma i partiti che controllano la Rai, dicevo, se ne guardano bene dal rinunciare al controllo del più potente media italiano.
Ecco perché la decisione ovvia, anche se tardiva, di Gubitosi di costituire una redazione unica a servizio delle tre reti Rai, più Rainews, che avrebbe dovuto essere approvata con la stessa facilità con la quale un assetato ingurgita un bicchiere d’acqua, è stata subito bloccata dalla rivolta sindacale interna e poi congelata dalla commissione di vigilanza Rai, ai fini, ha detto, di formulare un controllo e una verifica di merito. Come si sa dalle cronache, in commissione di Vigilanza le due fazioni rappresentate (diciamo, per semplificare, i berlusconiani da una parte e gli antiberlusconiani dall’altra) si fronteggiano, di giorno, con le durlindane sguainate. Ma poi, di notte, si mettono d’accordo, con grande facilità, su tutto anche qui in base al principio: «Tu fai un favore a me che io poi faccio un favore a te».
Gli antiberlusconiani, dovendo conservare il loro potere e quindi dovendo tenere pasturati i gruppi di potere interni alla Rai, hanno subito invocato la clausola del rispetto del pluralismo per impedire che sia attivata la redazione unica (che, secondo loro, ma non è vero, lo impedirebbe). I berlusconiani (compresi, da non credere, i brunettiani) pur di far aumentare i costi della Rai (e tenersi buoni, a spese di tutti, i molti che, in Rai debbono comunque essere assecondati) si sono subito accodati. Entrambi lottano a favore delle lobbies della Rai e a spese del contribuente. Il miglior pluralismo nel settore televisivo infatti non si otterrebbe con questi alambicchi da farmacista, ma privatizzavano la tv di Stato, che ricorda, attraverso la sua stessa dizione, altri e non lontani regimi che, non a caso, producevano il Sussidiario di stato con il quale, una volta per tutte, davano la linea culturale all’intero paese.
Ma la privatizzazione della Rai non è al momento possibile perché chi ha in mano la Rai non molla la presa (e va capito, dal suo punto di vista). E l’opinione pubblica, che avrebbe interessi contrapposti, non si rende conto che lo Stato non può controllare i media. Infatti, nella distribuzione dei poteri, in un paese ordinato, dovrebbero essere i media (liberi dalle grinfie statali) che controllano la gestione pubblica per conto della cittadinanza e non viceversa.
Un tempo, il pluralismo della Rai (che però sarebbe meglio indicare come lottizzazione) veniva più facilmente realizzato dando, come avvenne, il Tg1 alla Dc, il TG2 al Psi e il TG3 al Pci. Allora, i tre tg (altro che redazione di base comune), erano delle semplici ed esibite dépendance delle segreterie dei tre principali partiti. Adesso che il panorama politico è in disfacimento e i confini fra i partiti sono diventati meno cristallini, la situazione lottizzatoria in Rai è diventata più complessa, anche se si può dire, con certezza, che la sinistra (pur controllando in maniera ferma ed esclusiva la Terza rete Rai, con i suoi tg incorporati) è dilagata anche sulla seconda rete e ha persino delle importanti presenze pure nel Tg1. Ciò è avvenuto in base a questo importante principio: «Quel che è mio è mio. E quel che è tuo mi sto dando da fare perché diventi mio».
L’operazione di colonizzazione della Rai da parte della sinistra ufficiale è pienamente riuscita anche perché Berlusconi ha tre reti tv e quindi è interessato che le tre reti Rai stiano in piedi perché, se diventassero private, gli farebbero vedere i sorci verdi con l’inevitabile concorrenza. Gli altri partiti, invece, o sono troppo piccoli per poter reclamare alcunché (e si accontentano quindi di qualche acciuga a loro lanciata, di tanto in tanto, dalle varie telecamere) oppure non vogliono, meritoriamente, sapere nulla della Rai, come succede nel caso del M5s. Per questo anche se la Rai dispone di un manager straordinario le sue indicazioni possono essere disattese dalle élites (diciamo così) politiche.
Pierluigi Magnaschi, ItaliaOggi 16/1/2015