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 2015  gennaio 15 Giovedì calendario

NELL’UE DI JUNCKER C’È PIÙ TRASPARENZA, MA COSÌ DIVENTANO PIÙ EVIDENTI ANCHE LE BUFALE, DAGLI INVESTIMENTI FINTI AL TTIP

La trasparenza, in politica, è una bella cosa, ma a volte può rivelarsi un’arma a doppio taglio. Lo confermano alcune iniziative volte a sottolineare la maggiore efficienza della nuova Commissione europea, guidata da Jean Claude Juncker, con risultati opposti a quelli desiderati. Ecco alcuni esempi. Ieri, sul Corriere della sera, l’ufficio di Milano che rappresenta in Italia la Commissione Ue ha pubblicato a pagina 25, su mezza pagina, un annuncio a pagamento per magnificare il famoso piano di investimenti di 315 miliardi, lanciato in dicembre da Juncker e dai leader dei paesi Ue. Quel piano, come è arcinoto, non dispone affatto di 315 miliardi, ma sì e no di una ventina, ed è considerato una bufala colossale.
Forse nel tentativo di smentire le critiche, l’annuncio pubblicitario informa nel titolo che «il piano Ue sarà operativo entro metà 2015». Serviranno infatti non meno di sei mesi per completare numerose e complesse pratiche burocratiche e legislative, tutte diligentemente elencate nell’annuncio, per istituire un nuovo Fondo europeo, dotarlo di funzionari e dirigenti, e farlo decollare. Dopo di che «partirà il processo di selezione dei progetti da finanziare», che pare siano già tantissimi: “anche l’Italia ha fatto la sua parte, presentando più di un centinaio di progetti nei principali settori di intervento». Per ben che vada, prima di vedere il primo euro investito, passerà un altro anno. Infatti, precisa l’annuncio pubblicitario Ue, “entro la metà del 2016, un anno dopo il lancio del Fondo stesso, la Commissione europea e i capi di Stato e di governo faranno il punto sui progressi compiuti e, se necessario, valuteranno ulteriori opzioni”.
Traduzione: il piano Juncker, che è triennale (2015-2017), comincerà a funzionare nella migliore delle ipotesi a metà del 2016, un anno prima della scadenza, e solo a quel punto – in caso di insuccesso (assai probabile) – i capi di Stato e di governo, insieme alla Commissione Ue, valuteranno “ulteriori opzioni”. Il che, all’atto pratico, significa che il piano potrebbe diventare quinquennale, con coefficienti di riuscita vicini a zero, assai simili in questo ai fallimentari piani quinquennali dell’economia sovietica.
La previsione non è affatto campata in aria, ma si basa su quanto è appena accaduto a ben 80 programmi di intervento, sottoposti negli anni scorsi alla Commissione Ue per l’attuazione, ma rimasti nel cassetto. Che farne? In dicembre, poco prima delle vacanze di Natale, il vicepresidente della Commissione Ue, Frans Timmermans, d’accordo con lo stesso Juncker, ha deciso che, per meglio concentrare il lavoro della Commissione Ue sulla crescita e sull’occupazione, era necessario sgombrare il campo dei troppi progetti inutili, giacenti da tempo. E così ha fatto, svuotando i cassetti della Commissione.
L’elenco degli 80 progetti cancellati, alcuni risalenti al 1998, è reperibile sul sito eunews.it (16 pagine di tabelle). C’è un po’ di tutto. Tra i tanti, colpisce il fatto che la Commissione Juncker abbia accantonato una proposta del Parlamento europeo fatta nel 2013 per la «fornitura di frutta, verdure, banane e latte negli istituti scolastici». Era il progetto, sensato, che prevedeva di concedere aiuti agli Stati membri perché nelle scuole si potesse dare una mela al giorno, o un bicchiere di latte, a ogni studente: progetto cestinato, in attesa di «ulteriori valutazioni» (espressione tipica e nefasta della burocrazia di Bruxelles), nell’ambito della politica agricola comunitaria. Per l’agricoltura italiana, un’occasione persa.
Ma ecco un altro caso. Dal 2013 la Commissione Ue sta negoziando con gli Usa un grande trattato commerciale, noto come Ttip, volto ad abbattere anche le barriere non doganali. Nonostante le trattative si siano svolte in segreto, è trapelato quanto basta per capire che una clausola chiave è quella denominata Isds (Investor State dispute settlement), per regolare con un arbitrato internazionale le dispute tra le multinazionali e gli Stati eventualmente accusati di ostacolare la concorrenza. Vista con favore dagli Usa, tale clausola è ora contestata da molti in Europa, in testa il governo di Angela Merkel, rimasta scottata da una multinazionale svedese dell’energia. L’Italia, invece, per decisione del premier Matteo Renzi, e benché a Roma nessuno abbia mai letto le bozze del trattato, è favorevole.
Tuttavia, in nome della trasparenza, ecco la svolta. Tempo fa, la Commissione Ue ha lanciato una grande consultazione pubblica sulla clausola Isds, coinvolgendo associazioni di consumatori e singoli cittadini dei 28 Paesi europei. La risposta, resa di dominio pubblico il 12 gennaio dal commissario al Commercio, Cecilia Malstrom, è stata clamorosa: alla Commissione sono giunti ben 150 mila pareri, oltre cento volte quelli arrivati in tutte le precedenti consultazioni in ambito commerciale, e per il 97% negative. Gran Bretagna, Germania e Austria sono stati i Paesi che hanno inviato il maggior numero di risposte (il 65% del totale). Nei fatti, una clamorosa bocciatura, a livello popolare, del lavoro compiuto sul Ttip dalla precedente Commissione, guidata da Barroso. E mai, come in questo caso, la maggiore trasparenza in sede Ue è da considerare benvenuta.
Tino Oldani, ItaliaOggi 15/1/2015