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 2015  gennaio 15 Giovedì calendario

DISEGNA UN MAOMETTO E MUORI

Il terrorismo islamista porta la morte nel cuore dell’Europa e della sua crisi, scagliando il nome di Allah e il fuoco dei kalashnikov contro un altro simbolo della democrazia: un giornale. Il pretesto antico, eterno e meccanico come una fatwa, è quello delle vignette su Maometto» (Ezio Mauro) [1].

«I giornalisti di Charlie, erano – come ormai sappiamo – quasi degli inviati di guerra, dei Robert Capa della matita e del tavolo da disegno» (Bernard-Henri Lévy) [2].

«Nelle nostre orecchie risuona ciò che gli assassini gridavano mentre compivano la loro missione di morte: “Allah è grande”, “Abbiamo vendicato il Profeta”. Oggi per l’opinione pubblica del mondo civile conta solo che essi abbiano detto queste parole, che nell’uccidere abbiano fatto appello all’Islam» (Ernesto Galli Della Loggia) [3].

«Quando le aperture dei giornali hanno scelto il fermo immagine del poliziotto ferito al suolo, raggiunto e finito con indifferente esattezza dal suo sparatore, non conoscevano il nome del morente. Si chiamava Ahmed, dunque quando ha avuto ancora la forza di alzare un braccio, forse per un gesto estremo di protezione, forse per chiedere pietà – che cosa c’è di più umano che aspettarsi pietà dal proprio assassino? – può aver pronunciato anche lui, in altro tono, il nome di Allah?» (Adriano Sofri) [4].

«Viene da interrogarsi sull’eccezionalità storica della democrazia, la cui affermazione su scala universale è ben lontana dall’essersi realizzata. Si tratta di un tipo di regime, visto dall’esterno, paradossale: non solo il suo dogma è di non averne nessuno, ma il suo dovere morale è di proteggere anche coloro che lo criticano, senza considerare il rispetto che in esso la maggioranza sempre deve alle minoranze. Tra le responsabilità della democrazia la più eccentrica consiste nel garantire la tolleranza verso chi, per dimostrarsi libero da ogni ortodossia o convenzione, ti offende e mette alla berlina ciò in cui credi. È uno sforzo difficile da spiegare a chi non abbia introiettato il valore della libertà come costitutivo dell’ordine sociale nel quale si vive» (Alessandro Campi) [5].

«Oggi ciò che noi siamo è ciò di cui moriamo. Perché il terrorismo fanatico sembra esattamente consapevole di una nostra identità trascurata, mal sopportata da noi stessi, considerata stanca come le nostre istituzioni estenuate, la nostra democrazia ingrigita ed esausta. Poi alziamo gli occhi davanti agli spari e scorriamo l’elenco dei santuari civili della grandiosa banalità democratica scelti come bersaglio: una scuola a Tolosa, un museo ebraico a Bruxelles, un caffè a Sidney, il parlamento a Ottawa e infine un giornale a Parigi. Cinque angoli – tra i tanti – della nostra struttura civile in cui si incontrano le credenze democratiche nella libertà e nel progresso. Libertà di studiare, di far politica, di non discriminare tra le creature umane, di confidare nella trascendenza o nell’umano, di scambiare lavorare e consumare, di conoscere e di essere informati, per poter partecipare» (Ezio Mauro) [1].

«Il terrorismo ha bisogno di azioni dimostrative, di sanguinose operazioni propagandistiche, ma per sua natura è frammentario. I collegamenti possono esserci, ma anche no. Tutto è fluido. Alcuni si rifanno a organizzazioni strutturate, altri agiscono secondo regole fai-da-te, vi sono cellule – come gli assassini di Charlie Hebdo – provenienti da esperienze di conflitti sul terreno. Siria, Libia, Iraq, Cecenia, Bosnia, Afghanistan. È una galassia, nutrita da internet, quanto di più variegato e individualizzato che ci sia. Contro questo fenomeno, senza un’oncia di giustificazione, serve agire con l’intelligence e la repressione chirurgica. Senza sollevare polveroni che mescolano la richiesta di pena di morte e la caccia all’emigrante con la retorica del conflitto di civiltà» (Marco Politi) [6].

«Trent’anni fa ho scritto un articolo in cui dicevo che eravamo di fronte non più a un’emigrazione come quella degli italiani in America o in Svizzera, ma a una migrazione, e le migrazioni sono globali, sono amplissime nello spazio e durano molto tempo. Scrivevo che finché non si fosse arrivati a un nuovo equilibrio, si sarebbe versato molto sangue. La civiltà occidentale, che abbia o no la forza di sostenersi, sta facendo fronte a un processo colossale di migrazione, così come è accaduto secoli fa alla romanità. La fusione di civiltà è una possibilità. Quando in Italia ci saranno 50 milioni di extracomunitari e solo 10 milioni di italiani, avverrà, forse, quel che è avvenuto chissà quante volte, in Asia o altrove: i mongoli in Cina eccetera» (Umberto Eco) [7].

«Dovevamo aspettarcelo. Sono più di dieci anni che l’Occidente è all’attacco del mondo musulmano. Ovunque siamo intervenuti militarmente abbiamo fatto danni, non solo per il numero impressionante di vittime civili, ma perché abbiamo distrutto equilibri, disgregato società e culture, ponendo le basi per feroci guerre civili. Cosa intendo dire ? Che è stata l’aggressività dell’Occidente a fomentare il radicalismo islamico contro di noi e ad allargarne le basi. E così ci siamo messi in una situazione pericolosissima. Perché abbiamo grandi eserciti, tecnologicamente avanzatissimi, ma difendersi da un terrorismo interno che ha le sue basi all’esterno è estremamente difficile perché gli obiettivi possibili sono innumerevoli e perché combattere il “terrorismo molecolare” è come prendere a cannonate un moscerino» (Massimo Fini) [8].

«Giustificare le violenze del terrorismo islamista gettando la colpa sull’Occidente è ormai solo una forma di autolesionismo politico-intellettuale. L’integralismo islamista non nasce dalla povertà o dal senso di rivincita di popoli a lungo depredati dei loro beni e della loro libertà, ma da un disegno geopolitico di conquista. Questo disegno egemonico è indirizzato contro le democrazie occidentali non meno che contro gran parte del mondo musulmano, all’interno del quale da anni si sta combattendo una guerra civile transnazionale. E se una colpa ha l’Occidente è semmai quella di essere intervenuto in questa guerra interna all’universo islamico scegliendosi spesso – dalla Libia alla Siria, dall’Iraq all’Egitto – gli alleati e gli interlocutori sbagliati» (Alessandro Campi) [5].

«Di questa guerra non si può venire a capo, la si può arginare, e tagliarle intanto sotto i piedi l’erba di una cultura delirante. Ma il film di Parigi ha mostrato una guerra asimmetrica alla rovescia. L’efficienza militare dispiegata dai terroristi che soverchiava l’impotenza sbigottita della difesa di un grande Stato. Si capisce, certo: chi decida di squarciare ferocemente l’ordine della vita quotidiana dispone di una potenza provvisoriamente smisurata. I servizi di scorta e di vigilanza si possono organizzare molto meglio, ma in una città libera e serena gli assassini potranno sempre colpire e far male. L’asimmetria nella folla serena delle democrazie gioca a loro vantaggio, se non a far che vincano, che sfoghino il loro furore» (Adriano Sofri) [4].

«La religione, una forma medievale di irrazionalità, se combinata con le armi moderne, diventa una concreta minaccia alla nostra libertà. Questo totalitarismo religioso ha causato una mutazione mortale nel cuore dell’Islam e oggi ne vediamo le conseguenze. Io sto dalla parte di Charlie Hebdo, per difendere l’arte della satira, che è sempre stata un’arma potente in favore della libertà e contro la tirannia, la disonestà e la stupidità. “Rispetto per la religione” è diventato uno slogan in codice che sta per “paura della religione”. Le religioni, come tutte le altre idee, meritano la critica, la satira e, sì, anche la nostra irriverenza priva di paura» (Salman Rushdie) [9].

«Disegna un Maometto divertente, e muori / Scarabocchia un Maometto ignobile, e muori / Gira un film di merda su Maometto, e muori / Resisti al terrorismo religioso, e muori / Lecca il culo agli integralisti, e muori / Prendi un oscurantista per un coglione, e muori / Cerca di discutere con un oscurantista, e muori. Non c’è niente da negoziare con i fascisti / La libertà di ridere senza alcun ritegno la legge ce la dà già, la violenza sistematica degli estremisti ce la rinnova / Grazie, banda di imbecilli» (Charb) [10].

(a cura di Francesco Billi)

Note: [1] la Repubblica 8/1; [2] Corriere della Sera 9/1; [3] Corriere della Sera 8/1; [4] la Repubblica 8/1; [5] Il Messaggero 9/1; [6] il Fatto Quotidiano 10/1; [6]; [7] Corriere della Sera 8/1; [8] il Fatto Quotidiano 10/1; [9] la Repubblica 8/1; [10] La Stampa 8/1.