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 2014  dicembre 20 Sabato calendario

SULLA ROLLS ROYCE DEI BEATLES. DIARIO DI UNO CHAUFFEUR


Le biografie, specie quelle accompagnate dalla dicitura «non autorizzata», puzzano quasi sempre di cianuro. L’odore, però, non è di mandorle amare, ma di cattiveria, vendetta postuma, invenzioni pruriginose, attacchi spietati. Gli esempi si sprecano, al punto che non vale la pena citarne neppure uno. Più il personaggio è oppure è stato celebre, più le dosi di cianuro abbondano. Gli autori di biografie non autorizzate sono accomunati da una caratteristica indispensabile per avere l’ok a procedere: devono aver avuto stretti contatti con la vittima designata, fuori dagli ambiti ufficiali. Solo così le loro «verità» possono risultare credibili al grande pubblico e far vendere centinaia di migliaia di copie. Troviamo allora, nelle vesti di scrittori della maldicenza, scudieri, maggiordomi, cameriere, governanti, segretari, body guard. E autisti. Fu quest’ultimo compito che svolse, per nove mesi del 1964, Bill Corbett. E lo svolse al servizio di un quartetto di giovani musicisti, allora tra i 20 e i 23 anni, chiamato The Beatles. La biografia firmata da Bill, se proprio vogliamo definirla tale, è arrivata in Italia attraverso un cammino anomalo e coperto di polvere. Premessa al racconto: le sessanta pagine profumano di un amore quasi paterno, di considerazioni ingenue, di previsioni completamente sballate sul futuro personale e professionale dei Fab Four. Sono, insomma, scritte per raccontare, niente di più, un’avventura tanto breve quanto intensa. Con le sue verità e i suoi, inoffensivi, errori. Corbett abbandonò i Beatles perché si rese conto che non avrebbe retto allo stress, alle tensioni, agli orari, ai cambiamenti di programma che ogni giorno lo costringevano a un ruolo ben più impegnativo di quello affidategli dall’autonoleggio in cui lavorava. Disse addio ai Beatles senza dirlo, mentre erano impegnati in una piccola tournée nell’Irlanda del Nord. Dopo il suo ritiro, scrisse una serie di articoli per riviste di settore e no, e accettò di vendere le sue memorie a un periodico inglese. Da noi furono pubblicate a puntate da un settimanale che ebbe esistenza breve, Tuttamusica TV, nato da un gruppo di ex redattori di TV Sorrisi e Canzoni. A questo punto facciamo entrare in gioco un nome, quello di Alex Schiavi. Sessantacinque anni, musicista milanese e fondatore di una scuola di musica, oltre che essere un fan/atico del gruppo di Liverpool è collezionista da decenni di tutto ciò che riguarda quel gruppo. Dentro uno dei suoi numerosi bauli monotematici, qualche mese fa Alex ha ritrovato i ritagli delle memorie corbettiane e, aggiungendovi un’introduzione e varie postfazioni, li ha trasformati in un libro, I Beatles. Il loro autista racconta. Sottotitolo. Memorie di Bill Corbett, Editoria Barata. L’acquisto del libro, 20 euro, copie numerate, si può fare tramite mail a scuoladimusicamilano@yahoo.it, oppure inviando la cifra, comprensiva di spese postali, a Pietro Aligi Schiavi, Viale Suzzani 1, 20162 Milano.
Si perdonano volentieri all’autore/estensore e all’editore i refusi di stampa sparsi tra le pagine, perché il volumetto risulta prezioso alla luce di una serie di buone ragioni. Anzitutto, nulla o pochissimo, nella stessa Inghilterra, si sapeva a proposito di Bill. Il suo nome compare in Beatles, l’enciclopedia, di Bil Harry «Un autista assunto da John Lennon nel 1964 per diventare lo chauffeur della sua Rolls Royce da 5mila sterline, appena comprata». Corbett, origini umili, una sessantina d’anni, altezza due metri, un passato da pugile e guardia del corpo, guiderà una Aston Martin e poi una Austin Princess, molto simile alla Rolls Royce, con i quattro a bordo. Sposato e nonno, lasciò in eredità a una delle figlie, così racconta un nipote, poesie, disegni e manoscritti di Lennon, che gliene aveva fatto dono. Ma la figlia li smarrì durante un trasloco. Probabile che neppure fosse consapevole del loro valore. L’immagine di copertina del libro di Schiavi è una vera e propria rarità iconografica. I Fab circondano Bill, seduto su una carrozzina somigliante a quella di un invalido. Ma, guardando bene, si nota una sorta di fagotto di tela sulle gambe dell’autista. Quando e perché quella foto venne scattata è raccontato a pagina 58: «Mi ricordo che un giorno, mentre stavamo girando (si noti lo ‘stavamo’ invece di ‘stavano’, ndr) A Hard Day’s Night (titolo italiano del film ‘Tutti per uno’, 1964, ndr) uscirono in un cortile degli studios per aspettare che venisse il momento di girare la scena successiva. Vedendomi seduto in un angolo che stavo fumando la mia pipa, Ringo commentò ad alta voce: ‘Ecco là Bill il balio che sta facendo la sua poppata’... Paul, con finta serietà, rispose a Ringo: ‘Guarda che a poppare sono i neonati’. E John, di rincalzo, commentò: ‘Ma allora noi non abbiamo assunto un balio, ma un neonato. Ragazzi, abbiamo sbagliato tutto! E adesso che ce ne facciamo di questo infante?’. Non ci fu bisogno di altre parole. George corse al magazzino del guardaroba e si fece prestare una carrozzina per bambini, poi tutti vennero verso di me... e, piuttosto rudemente, mi sollevarono di peso e mi ficcarono nella carrozzina... mi fecero fare il giro del cortile, spingendo con aria compresa. Il guaio è che c’era anche un fotografo e tutta la mia dignità finì sulle pagine dei giornali».
L’episodio è significativo del rapporto tra Corbett e un poker di giovanissimi, ancora freschi di provincia e ancora non completamente abituati all’idea di essere diventati celebri e ricchi in così poco tempo. Un rapporto informale, sincero, nel quale Bill veste, con una punta acuta di esagerazione, proprio i panni del balio, dello zio. Chiama i Beatles «I miei ragazzi», quasi si commuove scrivendo: «Per loro ho cucinato, li ho messi a letto, ho comprato i loro mobili, ho tenuto nota degli appuntamenti galanti... I Beatles, lo confesso con orgoglio, hanno apprezzato i miei sforzi per accontentarli e più di una volta li ho sentiti parlare di me definendomi con il loro spiccatissimo accento di Liverpool, ‘Quel pidocchioso londinese, tenero e grosso’». È l’esagerazione affettiva a fargli immaginare che i suoi protetti desiderino fino in fondo (quantomeno nel periodo descritto) una vita normale e lontana dai fan, a definire indissolubile e dorato il matrimonio di Lennon con Cinthya Powell, a vedere con bonarietà le follie di Ringo per gli anelli d’oro e altre costose i bizzarrie, a smentire con sdegno le accuse di tirchieria e di snobismo che circolavano sui suoi protetti. Anche gli «appuntamenti galanti», carnet che doveva essere ben fitto, vengono liquidati in poche righe: «I Beatles sono persone normali, con istinti normali e che si comportano con le ragazze come qualsiasi altro uomo». Corbett minimizza il fatto di dover affrontare ogni giorno e ad ogni ora l’assalto delle ammiratrici all’auto, i loro «agguati» nelle vicinanze di un teatro o di un locale, l’isteria individuale e collettiva; sorride, quasi fossero adolescenziali evasioni, le serate nei night o tra le lenzuola in compagnia di «vistose ragazze».
Leggendo, sorge il dubbio non infondato che per il balio, lo zio, le ammiratrici siano persone da disprezzare, nemiche invasate cui muovere guerra esangue. Lo provano i capitoli Pronte a tutto per toccare i Beatles, Impazzivano anche le donne poliziotto, I Beatles e le donne, tre su otto, e non certo benevoli verso il genere femminile. Fa eccezione L’innamorata di Ringo è un’ex parrucchiera. Ringo fu quello che più riuscì a conquistarsi l’affetto dell’autore. Perché aveva in comune con Bill la povertà delle radici familiari e del bagaglio culturale. Non si sa quale fosse lo stipendio dell’autista ed ex pugile, e forse non ne sarebbe bastato uno principesco per convincerlo a cambiare idea. Non si sa quale sia stata la reazione dei Fab Four quando scoprirono che se n’era andato per sempre. Non si sa chi arrivò a sostituirlo. Dicevamo di errori e vuoti di memoria, sparsi qua e là. Ma questo aggiunge sale in una cronaca tanto imperfetta quanto densa di affetto sincero.