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 2014  dicembre 24 Mercoledì calendario

CANTONE, BUONO ANCHE PER IL COLLE

«Raffaele...». Chi lo chiamava da una parte, chi lo trascinava dall’altra. Chi lo voleva nella foto di gruppo, chi si metteva in fila per stringergli la mano. Nel grande salone delle feste del Quirinale, nel ricevimento offerto da Giorgio Napolitano alle alte cariche dello Stato per gli auguri di Natale, il presidente dell’Autorità nazionale dell’anticorruzione Raffaele Cantone si è mosso la settimana scorsa come un ospite di gran riguardo. Un osservato speciale, con tanti sguardi puntati addosso. Di ministri, deputati, senatori, burocrati, presidenti, prefetti, generali, direttori di giornale. Sorridente, affabile e perfettamente a suo agio in mezzo agli esponenti del governo. A partire dal premier Matteo Renzi che lo portava, come si dice, in palmo di mano: «Raffaele, vieni che ti presento una persona». Amichevole con il ministro della Giustizia Andrea Orlando, che conosce dai tempi in cui nel 2011 gli chiese di candidarsi a sindaco di Napoli (Orlando era il commissario del Pd napoletano per conto della segreteria Bersani). Con la capogruppo alla Camera dell’Ncd Nunzia De Girolamo, campana anche lei, e con il ministro dell’Interno Angelino Alfano. Ma anche con la presidente della commissione Antimafia Rosy Bindi, ostinatamente critica con il premier. Quando Renzi li ha incrociati a confabulare ha mimato una crisi di gelosia. «Ma noi lavoriamo insieme, siamo l’anti-corruzione e l’anti-mafia», si è scherzosamente giustificato il magistrato. «E poi siamo quasi vicini di casa in Toscana. La Bindi è di Sinalunga, io ho una casa a Cortona e sono cittadino onorario». E se Cantone riesce a mediare tra la Bindi e Renzi, tutto è possibile.
Un curioso destino. Poche voci come quella di Cantone sono state così severe negli ultimi anni con la politica inquinata dalla criminalità e dagli affari sporchi, inflessibile con il malaffare e con i collegamenti con i partiti e i notabili. La sua ultima denuncia pubblica, dopo l’inchiesta romana su Mafia Capitale, riguarda il fiume di soldi che confluiscono nelle fondazioni politiche, a correnti e leader, senza nessun controllo. Nonostante questo, nel Palazzo è praticamente impossibile trovare un critico o un detrattore di Cantone. Tutti lo vogliono, nessuno lo ostacola, almeno a parole. Per il sistema politico il presidente dell’Autorità anticorruzione è una specie di certificato di garanzia. Un marchio Dop sulla pulizia degli appalti e degli affari controllati dalla politica. C’è lo scandalo Expo? Renzi affida pieni poteri a Cantone. C’è da ripulire il comitato d’affari sul Mose? Cantone chiede il commissariamento del Consorzio Venezia Nuova, il governo dà il via libera. L’Italia si candida per ospitare le Olimpiadi del 2024? E chi sarà chiamato a garantire davanti all’opinione pubblica interna e internazionale, in caso di successo della candidatura, che le grandi opere pubbliche previste per i giochi olimpici non si trasformeranno nell’ennesima mangiatoia? Facile: Cantone, ancora lui. «L’ho ingaggiato nella squadra, ha detto di sì», esulta il presidente del Coni Giovanni Malagò. Se c’è Cantone, c’è pulizia, sembra uno spot. Con il rischio di diventare un Mr. Clean della Repubblica.
Potente? Sì, almeno in apparenza. Cantone è potente di quel potere che deriva da prestigio e credibilità personale. Ambizioso? Molto. «Conta più di tanti ministri», spiegano nei palazzi romani. Per Renzi è un ministro aggiunto. Il ministro dell’Anti-corruzione. Così quotato da essere stato indicato dal premier all’ultimo vertice G-20 in Australia come un modello da seguire a livello globale. «Nel documento finale è stata recepita la proposta italiana contro la corruzione. Il lavoro che svolge l’Anac di Cantone sta diventando una buona pratica a livello mondiale», ha detto Renzi a riunione conclusa. Altri ministri lo consultano come la massima autorità in materia: per esempio, il ministro della Cultura Dario Franceschini che nel 2009 da segretario del Pd gli aveva chiesto di candidarsi come capolista alle elezioni europe, ottenendo un rifiuto. Non è stato il primo, né l’ultimo. Ci aveva provato anche Walter Veltroni nel 2008. E poi, nel 2010, fu il Pd di Bersani a sondarlo come candidato sindaco di Napoli. Il magistrato disse ancora una volta di no, con un articolo sul "Mattino" in cui chiariva il suo rapporto con la politica: «Amministratori non ci si improvvisa, una candidatura non può essere una scelta estemporanea. La verità è che non sono tagliato per questo ruolo. Mi riconosco un’intransigenza che mi rende difficile anche solo l’idea del compromesso e non mi ritengo un demiurgo. Non candidarmi è il migliore servizio che posso fare per non ingenerare aspettative di grandi cambiamenti con il rischio di deluderle».
Sono passati quattro anni, nel frattempo Cantone ha rifiutato altre proposte di candidatura, ma ha accettato un progressivo coinvolgimento con il mondo della politica. Prima l’inserimento nella task force anti-corruzione istituita dal governo presieduto da Enrico Letta, un altro politico a lui molto vicino. Poi, con il governo Renzi, l’incarico di guida della nuova autorità anti-corruzione.
In occasione della nomina si è potuto misurare il consenso di cui gode nell’attuale Parlamento il magistrato napoletano. Quando il suo nome è arrivato in commissione Affari costituzionali al Senato la votazione è stata unanime: 24 sì su 24, in testa i senatori del Movimento 5 Stelle. Quasi un miracolo, nella legislatura del tutti contro tutti. E mai un attacco, almeno per ora, da Forza Italia. E sì che Cantone ha più volte segnalato l’urgenza di una legge sul conflitto di interessi. Almeno in questo caso, ai berlusconiani non è sembrato un atto di lesa maestà.
Da qualche settimana il nome di Cantone circola sempre più insistentemente come possibile candidato outsider al Quirinale. «Fantascienza», ha tagliato corto lui. Ma l’inchiesta di Mafia Capitale, con la pesante ricaduta negativa di immagine internazionale, ha fatto crescere l’ipotesi che come presidente della Repubblica possa essere scelta una figura che incarni la volontà dell’Italia di girare finalmente pagina, venti anni dopo Tangentopoli e tante riforme mancate. Come accaduto in Germania, quando dopo le dimissioni del Capo dello Stato Christian Wulff, costretto ad abbandonare l’incarico per un presunto scambio di favori con un imprenditore, è stato scelto per la prima volta un personaggio senza appartenenza partitica ma di alto impatto simbolico, il pastore protestante e attivista dei diritti umani Joachim Gauck. In Germania, certo, il presidente è il garante dell’identità nazionale, senza poteri politici, non sceglie il cancelliere e non scioglie il Bundestag, il Parlamento federale tedesco. Ma, in fondo, è questo il tipo di figura che Renzi sta cercando: un presidente a bassa intensità politica, in grado di ottenere un consenso "largo", da Forza Italia a una parte del Movimento 5 Stelle, in grado di rappresentare la nuova Italia nel mondo.
Nel movimento grillino sono pronti a candidarlo. Il capo in pectore di M5S Luigi Di Maio conosce bene Cantone, è napoletano e lo ha affiancato a diversi convegni (l’ultimo era intitolato: "Guarire dalla corruzione"). Per Di Maio Cantone sarebbe il nome giusto per guastare i piani dei sostenitori del Patto del Nazareno Renzi-Berlusconi. E non è escluso un endorsement di Beppe Grillo o una votazione della Rete. In Forza Italia l’ipotesi non è affatto considerata come fantascientifica. «In caso di impasse al Quirinale ci ritroveremo con un alto magistrato», prevede l’ex ministro Saverio Romano, capofila con Raffaele Fitto dell’ala ribelle del partito azzurro. È l’identikit del presidente del Senato Pietro Grasso, già procuratore di Palermo e capo della direzione nazionale anti-mafia. Ma Cantone, 51 anni appena compiuti, rappresenterebbe meglio di lui una rottura con il passato e con il presente di un Paese che all’estero resta associato alla corruzione e alla mafia, ora arrivata a inquinare le scelte amministrative della Capitale. Anche se il timore di Cantone è un altro. L’unanimismo che ha finora circondato la sua azione è una quiete prima della tempesta. E finire nel tritacarne del toto-Quirinale, più che un riconoscimento, può essere il segnale che la strana, innaturale luna di miele tra il Palazzo e il magistrato anti-corruzione sta per terminare.