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 2014  dicembre 24 Mercoledì calendario

TRA NOI E LA RUSSIA STORICI LEGAMI

Non è rilevante in termini quantitativi l’interscambio con la Russia, ma lo è il suo peso specifico nel complesso delle nostre relazioni internazionali. Perciò vale la pena esporre i motivi salienti per cui i rapporti economici intrecciati con Mosca, fin dall’epoca della Guerra fredda, siano stati particolarmente importanti per il nostro Paese, e tenuti per tanto tempo sotto attenta osservazione, e non senza più d’un sospetto, da Washington e da varie cancellerie europee.
Ufficialmente, le relazioni d’affari con la Russia vennero stabilite mezzo secolo fa, con l’istituzione nel maggio 1964 di un’apposita Camera di commercio nella capitale sovietica. Ma di fatto esse risalivano al periodo fra le due guerre, quando la Snia Viscosa di Riccardo Gualino s’era avvalsa di una parziale liberalizzazione degli scambi varata per ragioni d’emergenza da Lenin, e poi quando la Fiat del senatore Agnelli era stata incaricata nel 1931, all’epoca di Stalin, di costruire nei dintorni di Mosca una fabbrica di cuscinetti a sfera (“I Soviet hanno sempre pagato, è inutile imbottirsi di garanzie suppletive”, aveva sentenziato Mussolini di fronte alle preoccupazioni delle banche). Furono perciò la Fiat di Valletta e la Snia di Franco Marinotti a patrocinare nel 1964, quattro anni dopo la discussa sortita di Enrico Mattei per l’importazione di greggio russo, l’accordo costitutivo camerale.
Agli esordi del centro-sinistra l’Italia inaugurò così una propria Ostpolitik, in una fase, durante la leadership di Kruscev, in cui stava affacciandosi la prospettiva di un disgelo fra Est e Ovest. È vero che la Francia di De Gaulle l’aveva anticipata su questa strada; ma prese in contropiede i nostri partner della Cee la mobilitazione che impegnò fin da subito (accanto a Fiat, Eni e Snia) le principali imprese italiane (dalla Montecatini alla Pirelli, dalla Olivetti alla Finmeccanica, ad altre ancora) per dar vita a un intenso giro di progetti e d’attività con Mosca. Inoltre fu questo il prologo dell’intesa stipulata nel 1966 che portò la Fiat, battendo la concorrenza di Volkswagen e Renault, a costruire chiavi in mano lo stabilimento di Togliattigrad. Ciò che si rese possibile anche perché il gruppo torinese convinse gli americani, da cui dipendeva il nulla-osta per l’utilizzo di alcune tecnologie, che un’incipiente motorizzazione di massa in Urss avrebbe potuto contribuire a uno sviluppo dei beni di consumo durevoli con risvolti positivi per la causa della distensione.
Da allora, accanto alle forniture di alcune cooperative “rosse”, già attive da tempo in Russia, crebbero quelle di imprese dell’indotto automobilistico e aumentò man mano il volume delle esportazioni di varie aziende di altri comparti, che poi si moltiplicarono intorno a metà degli anni Novanta, quando venne stabilizzandosi la situazione politica dopo l’estinzione dell’Unione sovietica. Tant’è che nel 2001 una missione promozionale di Confindustria a Mosca radunò una cinquantina di imprenditori di spicco.
Nel successivo decennio andò crescendo anche il numero delle piccole-medie imprese orientatesi verso il mercato russo e si estese la rete di filiali delle maggiori banche italiane a Mosca, San Pietroburgo e in altre città. Frattanto s’era infoltito notevolmente il flusso di turisti russi, non più soltanto verso i centri balneari del litorale adriatico e le città d’arte.
È dunque una somma di interessi e di credenziali quella che l’Italia s’è costruita nel corso di mezzo secolo nei suoi rapporti con la Russia, grazie al talento delle sue imprese e alle garanzie di qualità dei loro prodotti. E se il nostro export nel 2013 rappresentava non più del 2,8 per cento del totale, va comunque tenuto in debito conto il fatto che vi avevano partecipato pressoché tutti i settori (con in testa la meccanica strumentale e la moda unitamente alle filiere dell’abbigliamento, seguiti, sia pur a distanza ma in via di crescita, dal comparto alimentare e da quello del mobile e arredo). Inoltre, purché si sapesse “fare sistema”, risultavano promettenti (tanto più dopo l’unione doganale di Mosca con la Bielorussia e il Kazakistan) le potenzialità della Russia non soltanto come mercato di sbocco ma anche d’investimento.