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 2014  dicembre 24 Mercoledì calendario

L’OFFENSIVA DI GENNAIO CI DIRA’ QUANTO È SOLIDO IL CALIFFATO

Abu Bakr al Baghdadi dovrà faticare nel 2015 per sfuggire alla caccia di droni, satelliti e spie ma a prescindere dalla sua sorte, il Califfato dello Stato Islamico sembra destinato a restare un protagonista dei conflitti in Medio Oriente. Sostegno popolare, istituzioni locali, coesione fra jihadisti, crescita dei volontari stranieri, un tesoro di oltre due miliardi di dollari e le divisioni fra i nemici portano a suggerire che lo Stato Islamico sarà uno degli attori più capaci di influenzare cosa avverrà.
In Occidente il Califfato è sinonimo di brutali violenze e gli sciiti lo considerano il più sanguinario dei nemici ma nel mondo sunnita ciò che più conta è il suo progetto di unificare la «Ummah» – la comunità dei fedeli – cancellando i confini fra gli Stati post-coloniali per tornare all’epopea dell’Islam al tempo del Profeta. Dalla dissoluzione dell’ultimo Califfato – quello Ottomano – nel 1924 i Fratelli Musulmani hanno sostenuto la necessità di ricostituirlo, Questa convinzione è stata ereditata da più gruppi fondamentalisti, arrivando fino a Osama bin Laden e al-Baghdadi. Su questo progetto politico, o sogno ideologico, c’è fra i sunniti consenso in crescita.
Lo Stato Islamico controlla un’area più vasta di Francia e Gran Bretagna, è popolato da oltre dieci milioni di anime in regioni strappate a Iraq e Siria che amministra con istituzioni create per un controllo capillare sulla popolazione. Polizia religiosa, tribunali islamici ed esecuzioni pubbliche rendono la vita impossibile a oppositori e «infedeli» – ovvero non-musulmani sunniti – ma per chi è sunnita conta che il crimine è sotto controllo, i combattimenti quasi inesistenti, il caos è sostituito da distribuzione gratuita di acqua e pane. E appositi tribunali consentono di denunciare corruzione, disfunzioni e cibi avariati.
Sul piano militare, il Califffo si è imposto come leader dei gruppi jihadisti. Al Qaeda di Ayman al Zawahiri dopo averlo avversato e combattuto ha chiesto ai militanti di Al Nusra in Siria di sostenerlo. Dal Sinai alla Libia, gruppi jihadisti già fedeli ad Al Qaeda si sono schierati con al-Baghdadi. Anche i nigeriani di Boko Haram gli sono fedeli. Tolte le eccezioni di Al Qaeda in Yemen, taleban afghani e shaabab somali, Al Baghdadi si è imposto come il leader della Jihad globale e ciò gli consente di avere risorse, umane ed economiche, che moltiplicano il tesoro di due miliardi di dollari che l’amministrazione Usa ritiene sia già nelle casse, frutto di vendita illegale di greggio e di antichità.
L’esercito di volontari stranieri che continua a crescere nei ranghi dello Stato Islamico è uno strumento in più. Su un totale di circa 40-50 mila miliziani quasi 20 mila sono arabi provenienti da territori non controllati, e almeno 3.000 sono occidentali. Si tratta di una legione straniera più poderosa, meglio addestrata ed armata di quella che sostenne i mujaheddin contro l’Armata Rossa. La differenza sta nell’identikit dei volontari: appartengono alla seconda generazione di immigrati, integrata nei Paesi di nascita ma portatrice di un odio estremo contro gli «infedeli». Ciò significa che Al Baghdadi ha quel serbatoio di reclute, europee e qualificate, che Bin Laden sognava di possedere, per poter sfidare dal di dentro l’Occidente e puntare a «conquistare Roma».
In Medio Oriente gli equilibri di forza nascono dalla natura degli avversari. E i nemici dello Stato Islamico sono divisi. Nella coalizione anti-Isis vi sono due cabine di regìa: a Teheran, capofila del fronte filo-Assad sostenuto da Mosca che può contare sulle milizie libanesi di Hezbollah e sciiti iracheni; a Washington, capo di una coalizione di oltre sessanta nazioni non concordi su cosa fare contro il Califfo in Siria e Iraq. La babele è indebolita dall’assenza di credibili forze di terra capaci di riconquistare i territori del Califfato. Nell’anno che entra l’Iraq ha fatto sapere che lancerà una massiccia offensiva contro il Califfato, probabilmente verso Mosul: l’esito consentirà di saggiare la tenuta delle difese.