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 2014  dicembre 24 Mercoledì calendario

L’UE SPAVENTATA, GLI USA AL BIVIO. LA RIPRESA È NELLE MANI DEI SAUDITI

Chi vuole azzardarsi a fare previsioni economiche per il 2015 si muove in una nebbia fitta e sotto il peso dei clamorosi errori compiuti un anno fa, quando i grandi centri di indagine economica (Fondo Monetario, Ocse, Banca Centrale Europea, per non parlare delle grandi banche private internazionali) dipinsero il futuro del mondo (e dell’Italia) a tinte rosee mentre le tinte del mondo reale erano grigie. Questo perché chi fa previsioni economiche di solito non è esperto né di politica, né di altre scienze sociali. Non si è accorto, quindi, della gravità delle tensioni in Ucraina, delle inquietudini dell’Islam, della «frattura orizzontale» per cui nel mondo ricco chi è sotto i quarant’anni fa le proprie scelte, di voto e di vita, in maniera marcatamente diversa da chi ha superato quest’età.
Come fare per mettere assieme almeno qualche coccio del giocattolo previsivo che non funziona più? La risposta è semplice: occorre partire dall’energia, elemento indispensabile per ogni attività economica, e più precisamente dagli idrocarburi senza i quali, almeno per ora, è vano parlare di crescita economica Per questo motivo, comunque vadano le cose, per l’economia l’«uomo dell’anno» del 2015 sarà Abdallah bin Abd al-Aziz Al Saud, re e primo ministro dell’Arabia Saudita, un Paese che quasi galleggia sul petrolio, nel quale una dozzina di ministri ha il suo stesso cognome. E’ a lui che si deve il rifiuto di ridurre la produzione di greggio di fronte a una domanda calante, il che ha fatto precipitare i prezzi.
La strategia dei sauditi è abile e raffinata. Con una sola fava – la riduzione del prezzo del petrolio, appunto – mirano a prendere tre piccioni: mettere fuori gioco il «nuovo petrolio» e il «nuovo gas» americani, ottenuti dalla frantumazione delle rocce, il cui costo di produzione è superiore all’attuale prezzo di mercato; dare una lezione all’Iran, grande produttore di petrolio, anch’esso musulmano ma sciita anziché sunnita; e infine riaffermare la supremazia saudita su questa materia prima essenziale, magari lanciando, con gli Emirati del Golfo, una nuova moneta internazionale basata sul petrolio.
Dovremmo essere molto contenti della riduzione del prezzo del greggio (anche se i sauditi hanno detto che questo bonus potrebbe durare solo sei mesi) e invece siamo preoccupatissimi; allo stesso modo, dopo decenni di lotta all’inflazione, siamo preoccupatissimi di cadere nella deflazione, che è il suo opposto. Eppure, basterebbe che nel ricco Occidente i soldi risparmiati sul petrolio finissero alle famiglie (questo già succede in parte, con la riduzione del prezzo di gasolio e benzina e, si spera, elettricità e gas) per darci lo scossone che ci consentirà di uscire dalla crisi. Abbiamo però sperimentato i danni di troppi scossoni e anche quelli potenzialmente benefici ormai ci fanno paura.
L’inizio del 2015 vede quindi un’Europa impaurita, contraddittoria, paralizzata dal timore e dall’indecisione: l’Europa teme (giustamente) i debiti e i deficit pubblici eccessivi, ma non è disposta ad adottare misure che li riducano davvero. Ha paura di non avere abbastanza liquidità, ma quando la Banca Centrale prova a emetterne di nuova, le banche quasi la rifiutano.
L’Europa è visceralmente contraria all’accordo di libero scambio che gli Stati Uniti le propongono ma ha timore che gli Stati Uniti – che stanno negoziando un accordo analogo con molti Paesi del Pacifico – chiudano le loro basi europee lasciandola sola di fronte alla pressione della Russia. Il miglior augurio per l’Europa nel 2015 è che, nel confuso e antiquato Parlamento Europeo, si formi qualche leader che sappia essere europeo prima che tedesco, francese, italiano o quant’altro.