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 2014  dicembre 19 Venerdì calendario

NELLA CLASSIFICA DELLE PENSIONI L’ITALIA È PRIMA (MA A CARO PREZZO)


MILANO. Per chi ha avuto la fortuna di lavorare e accumulare i contributi, la pensione italiana è, tra quelle pubbliche, una delle più costose ma, senza dubbio, anche una di quelle più generose. Una serie di esempi spiegano perché: chiamiamo Pietro un dirigente nato nel 1974 che ha iniziato a lavorare nel 1999, a 25 anni, dopo l’università. Si è fatto strada in una grande multinazionale con sede in Italia e nel 2014, dopo 15 anni, può vantare un contratto a tempo indeterminato e uno stipendio da 100 mila euro lordi l’anno. Calcolatrice alla mano, dopo 45 anni di contributi, immaginando una crescita media e progressiva dello stipendio fino a 153.998 euro, nel 2044 – dopo 45 anni di contributi – dovrebbe ricevere in Italia una pensione annua lorda di circa 115 mila euro, più di tre volte rispetto a quanto prenderebbe a parità di carriera in Germania (31.614 euro), più del doppio che in Spagna (50.948 euro, il tetto massimo previsto dalle pensioni pubbliche di Madrid) e quasi 17 volte più che nel Regno Unito (6.800 euro, il massimo offerto dalla pensione pubblica di Sua Maestà).
Il dato viene da un ricerca realizzata per il Venerdì da Sts Deloitte, lo studio tributario del network Deloitte, in cui sono state messe a confronto le pensioni di tre generi di lavoratori (dirigente, operaio e autonomo) con identica carriera in Italia, Germania, Spagna e Regno Unito. Per fare un confronto con le leggi attualmente in vigore in Italia, si è scelto di prendere in esame una persona che abbia cominciato a lavorare dopo il 1° gennaio 1996, anno in cui, con la riforma Dini, è stato introdotto il sistema pensionistico contributivo, quello cioè per cui la pensione dipende da quanto si è versato. Prima del 1996 in Italia era invece previsto il costosissimo sistema retributivo, che calcolava la previdenza in base al reddito annuo ottenuto a fine carriera.
Tornando agli esempi, chiamiamo Alessandro un operaio di un’azienda italiana con la stessa anzianità lavorativa (e la stessa età) di Pietro ma con uno stipendio nel 2014 di 35 mila euro lordi l’anno. Immaginando anche in questo caso che nel corso della sua carriera continui ad avere la stessa crescita media della busta paga, in Italia Alessandro dopo 45 anni arriverà a guadagnare 53.899 euro e, andando in pensione, prenderà 40.500 euro l’anno, ben più dei 15.250 euro che prenderebbe in Germania, meno dei 50.948 che riceverebbe in Spagna e molto, molto di più dei 6.800 che gli darebbero nel Regno Unito (dove però, probabilmente, avrebbe una pensione integrativa). Non va diversamente per un lavoratore autonomo nel settore della consulenza (chiamiamolo Federico) che, grazie alla sua partita Iva italiana, riesce a guadagnare 70 mila euro lordi l’anno. Considerato un progressivo aumento di stipendio fino a 107.798 euro, dopo 45 anni di contributi in Italia prenderà 71 mila euro lordi di pensione, meglio della pensione sociale inglese e del massimo previsto dalla Spagna, ma soprattutto meglio che in Germania, dove però i lavoratori autonomi non sono obbligati a versare i contributi previdenziali (quindi ha la pensione solo chi li versa).
Insomma, tra i Paesi più industrializzati d’Europa, il nostro è l’unico che offre una pensione pubblica corposa. Che però ci si paga con alti contributi mentre si lavora. In Germania, la contribuzione è decisamente più bassa, in modo da tenere più alto lo stipendio mensile, in Spagna si contribuisce ma, nelle pensioni, si cerca di spartire la ricchezza il più possibile tra tutti ponendo un tetto massimo, mentre in Inghilterra lo Stato da solo diritto a una pensione sociale, il resto viene affidato alla previdenza complementare.
«I sistemi pensionistici europei sono uno diverso dall’altro» spiega Mario Stranie, partner di Sts Deloitte. «Quello che è certo che anche noi in Italia, come già si fa in altri Paesi, dovremo sempre più pensare alle pensioni private». Anche perché la pensione obbligatoria prevista dallo Stato italiano ha costi molto elevati. Stando ai numeri della ricerca Sts Deloitte, per pagare la pensione italiana di Pietro, il dirigente, nel nostro Paese si devono versare 1.647.000 euro, ben di più dei 607.257 necessari in Germania e degli 896.915 richiesti dalla Spagna. Nel Regno Unito la pensione pubblica è pressoché inesistente e spesso sono le aziende stesse a proporre obbligatoriamente piani pensionistici integrativi. Per la pensione di Alessandro, l’operaio, in Italia si dovrebbero versare in tutto 576.500 euro, in Germania 297.675, in Spagna la bellezza di 698.891, oltretutto per avere la metà della pensione italiana. Per il lavoratore autonomo Federico, infine, in Italia i contributi complessivi sarebbero invece pari a 1.040.000 euro contro i 790.406 del sistema spagnolo (in Germania e nel Regno Unito, come si diceva, non sono previsti). Insomma la ricetta perfetta non esiste: quella italiana quanto resisterà?