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 2014  dicembre 18 Giovedì calendario

FINCHÉ LA BARCA VA

FINCHÉ LA BARCA VA –
A Lee Mitchell, studente universitario londinese, è affondata la casa. All’inizio della sua triennale aveva calcolato che investire 15 mila euro in una “houseboat” sarebbe stato vantaggioso rispetto ad affittare una stanza durante gli studi. L’idea di vivere sull’acqua spostandosi lungo i navigli della City gli sembrava trendy, la mossa alternativa per risparmiare. Quando la sua cucina a gas è scoppiata, portandosi in fondo al Regent’s canal non solo la barca ma anche tutti i suoi averi, è rimasto illeso ma senza un soldo. La beffa è stata poi la multa per danno ambientale, oltre alle spese per la rimozione del relitto.
Nella capitale li chiamano “canal gypsies”, i girovaghi dei canali. La loro crescita è esponenziale secondo i dati che l’ente responsabile - il Canal and River Trust - ha fornito a “l’Espresso”: più di 10 mila persone che abitano fra le quattro e le 5 mila barche, il doppio rispetto a soli sette anni fa e rispetto agli attracchi regolari della City. Il motivo? I prezzi delle case: non smettono di aumentare e stanno causando una vera e propria crisi abitativa. L’appartamento londinese medio costa ormai più di mezzo milione di sterline, il 20 per cento in più dall’inizio dell’anno. Le conseguenze del thatcheriano “right to buy”, un programma per cui i detentori di case popolari potevano acquistarle a prezzi stracciati -che è stato rilanciato da David Cameron- fanno sì che un londinese su 10 sia sulla lista d’attesa per i domicili statali. Le houseboat permettono di saltare la fila, vivere in centro cambiando zona a piacimento, e sposare uno stile di vita che va sempre più di moda.
A “Little Venice” ci arrivi all’improvviso percorrendo Edgware road, il vialone arabo nel cuore di Londra dove si mangiano mezzé libanesi, si fuma narghilè, e si discute sfogliando giornali sauditi, egiziani e siriani. La sera la luce dei lampioni fa specchiare gli alberi nell’acqua nera del canale, rendendo pittoresca la scenografia in cui le tipiche “narrow boats” si accatastano a ridosso delle rive. «Questo è uno dei luoghi preferiti dalla comunità dei barcaioli londinesi, insieme a Victoria Park, Angel, e Camden», racconta la dottoranda trentenne Alice: «Ma la vita in barca non significa solo atmosfere romantiche e risparmio, ci sono anche disagi: scaricare il gabinetto chimico una volta a settimana, farsi la doccia dove e quando puoi».
L’avvertimento di Alice si conferma veritiero sulla barca di Hannah Kirmes, 24enne artista di origini scozzesi. Le pareti umide della sua casa galleggiante ai piedi di Stamford Hill, quartiere di ebrei ultraortodossi dove la lingua più parlata è l’yiddish, producono interessanti esemplari di muffe. Il camino, appena montato a supporto della stufa a legna e carbone, non sembra all’altezza dell’incipiente gelo natalizio, e non potrà sconfiggere infiltrazioni di pioggia, guasti continui e topi. «Però io amo il contatto con la natura, l’idea di prepararmi per l’inverno che viene», racconta Hannah sgranocchiando castagne crude: «Mi piace l’autogestione informale dei canali: il mio vicino ottantenne è attraccato da trent’anni in un luogo dove il limite legale sarebbe di tre giorni, ma la gente lo rispetta e lo lascia in pace».
Ora che la “boat bubble” assomiglia a quella immobiliare, il sovraffollamento è destinato a mettere fine all’anarchia benigna dei canali. «Non è più accettabile che le barche non rispettino i limiti temporali degli attracchi, e che nelle zone popolari si sistemino in file da tre o da quattro», dice a “l’Espresso” il consigliere di Islington Paul Convery. Il risentimento verso i “boaters”, con i loro rumori, i loro fumi e i loro rifiuti, cresce insieme alla richiesta che siano sottoposti anche loro alla tassazione locale. Nel frattempo, la costruzione di nuove case nella City procede a rilento rispetto all’aumento della popolazione, che a breve toccherà un nuovo record.