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 2014  dicembre 19 Venerdì calendario

C’È POCO DA RIDERE: AL TEMPIO DI OSAKA LA RISATA È RITO


TOKYO. Se gaijin (un «non giapponese», un NJ, Not Japanese, come viene abbreviato nelle pratiche buroccatiche) si trovasse a passare davanti al tempio scintoista Hiraoka Jinja a Higashi-Osaka, il 21 dicembre, solstizio d’inverno, penserebbe di avere le traveggole o di trovarsi nel bel mezzo di un inesplicabile sogno: sentirebbe e vedrebbe centinaia di fedeli e decine di bonzi con i ricchi costumi tradizionali, tra volute di incensi, piegarsi in due dalle risate, un attacco di incontenibile riso dopo l’altro, senza sosta per circa mezz’ora.
Il gaijin sarebbe subito notato dai fedeli e invitato a gesti ad unirsi alla risata a squarciagola collettiva, una cerimonia antica molto popolare nel Paese del sol levante in cui, invece di scambiarsi l’utopico «segno della pace», la stretta di mano cristiana, ci si scambia la più pragmatica «risata della pace», con il vantaggio di evitare anche un contatto fisico non sempre ben accolto dagli iperigienisti nipponici. Credenti o non, giapponesi o NJ, bonzi o laici, a chiunque capiti di essere presente alla cerimonia è impossibile non cadere preda, nel giro di uno o due minuti, dell’irrefrenabile sacro attacco di ridarella collettiva. Mi viene ancora da ridere al solo ripensarci mentre scrivo questa cronaca.
La cerimonia si svolge alle dieci del mattino, e vuole essere, da una parte, un modo di relativizzare i problemi che ci hanno angustiato nell’anno appena passato, quasi a dire al destino avverso: vedi, me ne hai fatte di tutti i colori, ma io sono qui vivo e vegeto e mi beffo di te; dall’altra, un augurio e una preghiera per un anno nuovo pieno di buone risate.
Il rito, che non ha uguali nella storia delle religioni, scaturisce dalla millenaria leggenda in cui si narra come Amaterasu Omikami, dea del sole, (letteralmente, «grande dea che splende nei cieli»), dopo un bisticcio con il suo irrequieto fratello Susanoo, dio della tempesta, offesa, si ritirò nelle profondità della grotta Ama no Iwato, precipitando il mondo nell’oscurità. A nulla valsero le implorazioni delle altre divinità (la religione shintoista ne contempla circa 8 milioni) sino a che Amano Uzume (dea della fecondità) ebbe l’idea di lanciarsi in una turbinosa danza erotica le cui movenze suscitarono fragorosi scoppi di risa da parte della moltitudine delle deità che assistevano all’esibizione. Incuriosita dal frastuono, Amaterasu Omikami riapparve sulla soglia della grotta e il sole tornò ad illuminare la terra.
Per secoli e secoli, fino alla disfatta nella II guerra mondiale, l’imperatore era ritenuto di natura divina, discendente diretto di Amaterasu. Nel 1946 gli americani gli imposero, pena processo come criminale di guerra e condanna al capestro, di negare in una pubblica dichiarazione di possedere qualsiasi prerogativa divina. Yukio Mishima, il più celebre scrittore giapponese in occidente, nel 1970 si uccise in un drammatico pubblico harakiri per protesta contro la negazione della natura divina dell’imperatore. Dalle recenti elezioni, è emersa vincitrice una coalizione di centro destra guidata dal leader del Partito Liberale (Ldp) Shinzo Abe che si batte a spada tratta («La nostra Costituzione la dobbiamo scrivere noi, non gli americani») per una modifica della Carta che ridia al Giappone il diritto di avere un vero esercito (oggi può solo disporre di forze di autodifesa, comunque considerate la quinta potenza armata al mondo), autorizzato ad attaccare Paesi che minaccino il Paese e/o suoi alleati, agli ordini diretti di un imperatore con peculiarità divine.
Abe ha sciolto con due anni di anticipo la camera per avere una maggioranza forte che gli permetta di attuare il suo progetto di revisione militaristica della Costituzione. Con tutto il dovuto rispetto per la dea Amaterasu, non ci sembra che in Giappone al momento ci sia alcunché da ridere.