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 2014  dicembre 18 Giovedì calendario

MA C’È ANCHE IL LATO OSCURO DELLA SOLIDARIETÀ

Ma c’è qualcuno in Italia che ha idea, esattamente, di quanto ci costa l’accoglienza de «i zingari», come li chiamava Salvatore Buzzi, e dei profughi? O a quanto ammonta il business dove tanto allegramente sguazzavano le cooperative legate a Mafia Capitale, augurandosi un 2013 pieno di disgrazie? Minori non accompagnati, rifugiati, migranti, e la pletora di sigle dell’accoglienza (Cara, Csa, Sprar, Msna, Msnara, ecc.): una burocratica categorizzazione del disagio che, al grido buzzesco di «viva la cooperazione sociale», si districa tra i finanziamenti elargiti dal ministero dell’Interno o del Lavoro, dall’8 per mille o dagli enti locali, in un delirio di competenze frammentate dove, come spiega un operatore a Panorama, «solo la Corte dei conti, e a fatica, tra qualche anno riuscirà a venirne a capo». Forse.
Basta dare un’occhiata al grande spezzatino dell’«accoglienza immigrati» per alzare le mani: i richiedenti asilo finiscono nel programma Sprar, il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati finanziato dal Viminale e gestito dall’Anci, mentre la prima accoglienza spetta alle prefetture, che devono a volte trovare centinaia di posti letto in poche ore. Risultato: niente bandi e appalti che finiscono a soggetti che hanno fiutato, come Buzzi, il business. Magari in collusione con la criminalità organizzata.
La fabbrica degli immigrati. «Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende di meno». Buzzi l’aveva realizzato quando aveva gestito il Cara, centro di accoglienza per richiedenti asilo, a Cropani Marina (Catanzaro): a 35 euro al giorno per ospite, l’accoglienza di 240 immigrati gli aveva fruttato, dal 20 ottobre 2008 al 31 marzo 2009, ben 1,3 milioni di euro. Capita l’antifona, aveva cercato di mettere le mani sul centro di accoglienza di Mineo (Catania), il più grande e redditizio d’Italia con i suoi 3 mila ospiti, che spesso diventano 4 mila. Ed è vero che spesso si lamentano, quegli ospiti, perché mancano i servizi e i trasporti, il cibo è una pena e di inserimento lavorativo o sociale non si vede traccia. Ma i gestori, che ben rappresentano la trasversalità del business, sono contentissimi: l’impresa Pizzarotti di Parma (proprietaria della struttura), le coop rosse (Sisifo, che gestisce anche i centri di Cagliari-Elmas e Lampedusa, dove ha fatto scandalo per i brutali trattamenti antiscabbia), quelle cattoliche (Arciconfraternita) e di Comunione e liberazione (La Cascina). C’è la benedizione della politica (il centro è nato quando Giuseppe Castiglione, attuale sottosegretario Ncd all’Agricoltura, era presidente della provincia) e la gioia della popolazione locale, che qui ha trovato un po’ di lavoro. I sindaci della zona, poi, incassano gratitudine e voti. «In un Sud ad altissimo tasso di disoccupazione, l’accoglienza dei migranti è una risorsa per tutti. Il centro di Mineo è forse la più grande fabbrica della Sicilia, il Cie e il Cara di Caltanissetta sono il più grande datore di lavoro della città. Lo stesso accade in Puglia e in Calabria, dove le strutture nascono come funghi» osserva Salvatore Ippolito, ex funzionario dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr). Infatti, sui 65.462 immigrati presenti nelle varie strutture al 30 novembre, le tre regioni ne raccolgono il 38 per cento. Solo la Sicilia tocca il 23 per cento.
Emergenza continua. «L’accoglienza last-minute e senza regole chiare fa comodo a molti, a troppi: gestori di hotel in disuso, curie, gente seria, mafiosi, cialtroni... È un business molto dinamico. Ma efficace? Chiediamocelo». Ippolito è critico, e a ragione. Con l’emergenza Nord Africa del 2011 sono sbarcati in 63 mila, di cui 28 mila parcheggiati tra alberghi, pensioni e residence. «A febbraio 2013 erano ancora 15 mila. Non gli era stato insegnato l’italiano e non avevano nessuna prospettiva di inserimento» scuote la testa Cristopher Hein, direttore del Cir, Centro italiano rifugiati. Costo ufficiale dell’operazione: 1,3 miliardi. Costo secondo il Cir: almeno 200 milioni in più, «spesi inutilmente». Inutilmente? Gli albergatori del Casertano ci hanno campato per mesi. E al grido di «anchenoivogliamoiprofughi»,neigiorniscorsiil presidente veneto della Federalberghi, Marco Michielli, ha bussato ai prefetti: ospitare per qualche mese una ventina di stranieri, anche solo a 30 euro, per gli hotel della costa sarebbe una «boccata d’ossigeno».
Rifugiati-modello. Quante sono le Mineo d’Italia? Quanta gente ci lavora? E quanto spende il Viminale per gli immigrati presenti nelle strutture temporanee (34.705 al 30 novembre), nel circuito Cara-Cda-Cpsa, centri di primo soccorso e accoglienza (9.782), e nella rete Sprar (20.975)? L’unico dato certo viene dall’Anci, l’associazione dei comuni, e riguarda il programma Sprar. Si tratta di una rete da 13 mila posti (di cui 253 per migranti con disabilità e 691 per minori non accompagnati) che ci è costata 233 milioni nel 2014: a spanne, fanno 35 euro per un rifugiato «ordinario», 50 per un «problematico», 80 per un minore non accompagnato. Fino al 2012 lo Sprar gestiva, in convenzione col Viminale, solo 3 mila posti. Ma viste le continue emergenze, nel 2013 è stato finalmente chiesto ai comuni di aumentare l’accoglienza: già nel 2015 i posti saranno 20 mila, per una spesa di 250 milioni, e in prospettiva saliranno a 40 mila, assicurando lavoro alle associazioni del territorio che li ospiterà. E i controlli? C’è un servizio centrale che coordina i progetti: l’Anci lo ha affidato al suo centro studi, la fondazione Cittalia. Ci costa circa 5 milioni di euro, ma almeno fa le verifiche, come si evince dai mugugni di Buzzi & Co.
Il «condominio Misna». Così Buzzi chiamava la spartizione degli appalti sui minori, Misna (detti anche Msna) e Msnara. I primi sono i minori stranieri non accompagnati «normali», i secondi quelli richiedenti asilo. Arrivano coi barconi in Sicilia o nei porti di Ancona o Venezia, nascosti nel fondo dei camion, e vengono affidati a strutture specializzate la cui retta cambia in base a standard regionali: sugli 80 euro/ giorno in Sicilia, sui 100 al Nord. E chi paga? Dipende. Il ministero dell’Interno sgancia in media 80 euro per i richiedenti asilo (compresi nello Sprar). Quello del Lavoro paga per i Msna, che al 30 novembre erano 10.300, ma i soldi non bastano mai: nel 2013 ha versato solo 20 euro per minore (totale 25 milioni) e nel 2014 arriverà a fatica a 45 euro (100 milioni, su una spesa prevista di oltre 200). Il resto tocca ai sindaci, cui per legge sono affidati i minori. E sempre ai sindaci arriva il conto della prima accoglienza per bambini e ragazzi smistati in emergenza. I piccoli comuni che hanno la sfortuna di ospitare strutture per minori sfiorano il dissesto, come è successo in Sicilia a Palma di Montichiaro.
«I zingari». I rom e i sinti che vivono in campi regolari sono almeno 40 mila. Solo a Roma sono 7 mila e per loro il Campidoglio ha speso, nel 2013, ben 24 milioni. In proporzione, la spesa nazionale potrebbe sfiorare i 130 milioni. Aveva ragione Buzzi: «i zingari» sono un affare. Segregare costa è una ricerca delle associazioni Berenice, Compare, Lunaria, OsserVazione che aveva già conteggiato più di 100 milioni spesi, tra il 2005 e il 2011, per allestire e gestire i campi a Napoli, Roma e Milano. Impossibile scovare delibere e rendiconti, soprattutto a Milano, dove si sono potute verificare spese per soli 2,1 milioni di euro. Napoli ha stanziato 24 milioni e ne ha impegnati solo 12, di cui 4 per interventi socioeducativi. E la Roma di Mafia Capitale? Tra 2005 e 2011 ha speso 86 milioni, poco meno di 10 milioni l’anno, ma nel 2013 i costi della «Campi nomadi spa», secondo l’associazione 21 luglio, sono esplosi: 24 milioni di cui 16 per la gestione di otto villaggi, 6 per i centri di raccolta e 2 per gli sgomberi. E senza un bando di concorso. «Abbiamo elementi per ritenere che esistono molti insediamenti con profili poco chiari e organizzazioni che hanno avuto incarichi milionari con affidamenti diretti» sbotta Carlo Stasolla, presidente della 21 luglio. «È un sistema palesemente illegale». E oltretutto genera mostruosità: «Nei campi rom manca ogni autorizzazione igienicosanitaria, i regolamenti interni sono incostituzionali». Ma guai a denunciare: nell’ottobre scorso due rom hanno partecipato a Torino a un convegno del Consiglio d’Europa, raccontando le condizioni di vita nel loro campo romano. Beh, un mese dopo sono stati espulsi dalla struttura. Loro. Per «irregolarità».