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 2014  dicembre 19 Venerdì calendario

UN TOUR DE FORCE FINO AL SUD. QUI IL TRENO È ANCORA UN EVENTO

UN TOUR DE FORCE FINO AL SUD. QUI IL TRENO È ANCORA UN EVENTO –
Nella parola scelta per il titolo, Coincidenze, del nuovo libro di Tim Parks, c’è già quel doppio esito sempre possibile che accompagna la nostra esperienza in una realtà delle più famigliari, eppure imprevedibili: le ferrovie italiane.
Un viaggio in treno può scatenare colpi di fulmine, nati dal caso – l’emozione di un paesaggio o di uno sguardo, la frase in un romanzo, e che la protezione dello scompartimento ci ha fatto percepire – oppure, all’opposto, l’orrore del ritardo, la vana rincorsa del tempo, e la fuga di quell’altro treno che ci porterebbe a destinazione. Il tutto accompagnato dalle scuse di Trenitalia, o meglio, trattandosi di un romanziere inglese, anche se in Italia dal 1981, dalle giustificazioni di “Treinitelia”.
Con Coincidenze - Sui binari da Milano a Palermo (Bompiani, 342 pagine, 19 euro), Tim Parks, 59 anni, docente allo Iulm di Milano, dove lo incontro (in un ufficio ovviamente affacciato su binari), è rimasto fedele alla sua scrittura policroma, e che l’ha portato a pubblicare romanzi, saggi letterari e storici, traduzioni e alcune felicissime indagini psicologiche sul carattere italiano, spiato in frangenti ideali: l’educazione dei figli, il tifo calcistico, e ora attraverso il nostro mezzo di locomozione più amato e odiato, il treno.
Con alle spalle quarant’anni di viaggi su rotaie, quasi venti di pendolarismo sulla Verona-Milano, ben preparato sull’evoluzione delle ferrovie nel nostro Paese (sono state più strumento di politica o propaganda che operazione commerciale), e con la visuale obliqua di chi in parte è ancora straniero, Tim Parks è un’autorità in materia. E Coincidenze, un divertente e informato tour de force, tra novità ansiogene, e rimpianti per i lumi (se funzionavano) degli Intercity; sociologia, aneddoti: su tutti, un viaggio al Sud, dove le ferrovie sono più un «evento che un’organizzazione». Insomma, ridi e ti arrabbi, perché sai di cosa parla.
La strada ferrata offre quest’analogia, grazie ai binari, tra quelli dei pensieri e dei treni. Si possono prendere gli stessi scambi, compiere giri identici, o fare come Parks, e trarre sensazioni nuove, spostando l’occhio dal tracciato, aprendosi al viaggio “così com’è”.
Perché spostarsi in treno è un’esperienza così particolare?
«Perché ti senti esonerato da ogni responsabilità. Sei protetto, soprattutto se hai la fortuna di viaggiare in uno scompartimento. Isolato dal paesaggio, questo si offre a te, è godimento senza sofferenza. Un tragitto in mezzo alla neve, seduto al caldo, è come restare nella tua camera che viaggia. Può però essere l’inferno, se attorno hai persone che non ti lasciano in pace».
Cosa si può capire sul carattere degli italiani?
«Per esempio l’eterno conflitto davanti alle regole. Uno crede che se si comporterà bene, poi ne pagherà le conseguenze. Perché ogni volta che uno pensa di seguire le regole, dà già per scontato che ci saranno dei furbi che non lo faranno. Oppure scoprire quella zona d’incertezza che si crea sempre, tra carattere nazionale e una burocrazia piena d’inventiva».
Qualche anno fa, lo scrittore si è imbattuto, mentre aspettava un treno che portava un ritardo di ottanta minuti, in alcuni manifesti con il volto di Berlusconi. Ne scrive così: «Il sorriso di Berlusconi (...) uno stranissimo misto di tranquillo autocompiacimento e di vittimismo, come se fosse contemporaneamente un viaggiatore di prima classe sulla Freccia, e una paziente vittima in piedi nel corridoio di un Regionale strapieno (...) Queste impressioni contraddittorie sembrano racchiudere il paradosso essenziale dell’atteggiamento mentale dell’italiano moderno: siamo allo stesso tempo agiati e disagiati; siamo sicuri del fatto nostro e trattati ingiustamente».
Mi spiega meglio?
«La sua faccia dice: io sono un vincente e siete tutti nella mia famiglia; ma dice anche sono una vittima e mi dovete difendere. Se perdo, è colpa loro, se vinco, merito mio».
Quali cambiamenti ha notato nel tempo?
«Alcuni anni fa il treno è diventato il primo luogo dove si è creata una prossimità tra italiani ed extracomunitari. Guardavo le reazioni degli italiani, che scoprivano la loro esistenza di colpo, perché abituati a vivere in comportamenti stagni. C’era uno stacco netto tra i due, tra chi arrivava e chi cercava di difendersi, di chiudere gli occhi.
Adesso la novità più importante è stata introdotta dalla tecnologia, dall’alta velocità e dagli smartphone. Un tempo il treno era lo spazio in cui era impossibile sfuggire a conversazioni casuali. Ora sono immersi nel telefonino. Gli italiani erano già abituati a mantenere rapporti intensi con gli amici del liceo, se non delle elementari, e con la famiglia. Ora la tecnologia permette di restare ancora più vicini.
A non cambiare mai qui, è il modo in cui sono gestiti cambiamento e novità. Si trova sempre il modo per organizzarsi in gruppi di potere, che non si riconoscono nella nazione, in un’identità collettiva».
Quest’atteggiamento si legge nelle pagine dedicate da Tim Parks a un lento viaggio al Sud, dove l’Alta velocità finisce e si torna al passato.
Una signora cicciottella seduta nello scompartimento dello scrittore dice: «Dopo Napoli, il silenzio». Si riferisce all’improvvisa mancanza di annunci: in realtà parla dell’assenza dello Stato. «Siamo abbandonati». E la passeggera a fianco: «Lo Stato ha abbandonato il Sud».
Dopo aver percorso migliaia di chilometri al Nord, Parks avverte il bisogno di colmare un’assenza, e si avventura in un viaggio fino a Palermo; da qui in Calabria, poi a Otranto, dove la terra finisce, e al posto di Trenitalia scopre l’esistenza delle Ferrovie del Sud Est, con i loro convogli dalle tendine arancioni, «Bellissime quando sventolano nell’aria secca e rovente con tutti i finestrini della carrozza aperti».
«Ora vorrei passare più tempo al Sud», dice lo scrittore, «per poi scriverne in modo diverso da ciò che si trova in giro. E che sia più interessante dei ritratti di Saviano, in cui tutto appare corrotto; o non contenga soltanto nostalgia ed emozioni di chi l’ha abbandonato. Quello che ho capito del Sud, è che è il valore principale è l’appartenenza. Può essere positiva, ma anche ciò che ammazza l’Italia, con quei gruppi di pressione che non si sovrappongono alla nazione».
Coincidenze si snoda leggero, all’inglese, tra aneddoti di un sofisticato indagatore delle piccole cose, e analisi che mostrano come da noi il treno sia il risultato di una politica che desidera fare bella figura con il resto d’Europa, ma poi lascia le cose a metà.
Presenta piaceri e fastidi (ognuno conoscerà i propri), manca il bricco per scaldare il latte, ma al ristorante i garofani sono freschi. Ci sono attimi di sconcerto, quando a Palermo, sul tabellone le partenze non sono in ordine cronologico. I frequenti disguidi con i controllori, seri come capi di Stato. Offre una galleria d’idiosincrasie recenti; la nuova stazione di Milano, dove la mobilità, per costringere i passeggeri a transitare davanti ai negozi, è diventata assurda; per non parlare delle scale così poco mobili che, fa notare Parks, sul sito di Trenitalia sono descritte come treadmill, termine inglese che indica la ruota del mulino azionata dal moto circolare dei cavalli. Una tortura.
Parks ha nostalgia per le tendine sugli Intercity. Erano una manna per il sesso estemporaneo, e tanta fiducia nei confronti dei viaggiatori, ora cancellata. Meglio controllarci su vagoni aperti, senza rifugi.
Una cosa che la rattrista?
«Il fatto che nelle stazioni abbiano tolto i bagni pubblici. Erano indice di civiltà. Dopo la morte, si cerca di rimuovere anche gli escrementi».
Lei è un avido lettore ferroviario. Perché?
«Sul treno avviene uno stacco. Sei dentro la vita, eppure fuori. Non c’è una pressione esagerata degli altri, come in aereo. Ti senti assurdamente sicuro e isolato. È lì che leggo i testi più difficili».
Dopo tanti romanzi, saggi, articoli, ha una sua regola di scrittura?
«Onestà e non tirarsela. Aspettare, prima di scrivere. La celebrità non esiste più, quindi non gasarti. E poi, fai il cazzo che vuoi».
Un altro principio è questo: «Per sopravvivere psicologicamente, uno scrittore non deve essere etichettato. Perché se per esempio scrivi un libro sul calcio (Questa pazza fede, ndr) poi ne pretendono subito un altro. Il segreto invece è aspettare, e scoprire che qualcosa vissuto da te, si presta alla scrittura. Con le ferrovie è andata così, un giorno ho capito che era un modo per parlare dell’Italia».
Tim Parks arrivò in Italia, o meglio, a Verona, all’inizio del 1981.
«Poco prima che rapissero Dozier. Era la lunga estate indiana della Dc. Si parlava di lira pesante. Intervistai Andreotti. Non volle che registrassi. Mandava vibrazioni psicologiche terrificanti.
Adesso mi sembra che stiamo vivendo l’ultimo momento in cui l’Italia si può permettere di essere diversa dagli altri Paesi. E subito proviamo un dispiacere, che questi siano davvero gli ultimi anni.
La mentalità è la stessa, dal Quattrocento. Adesso però, che non puoi più sfruttare il Terzo mondo, forse per l’Italia è ora di cambiare modello, perché è diventato davvero perdente».
Dopo un trentennio a Verona, separato da qualche anno, con i tre figli già grandi, Parks ha scelto di vivere a Milano, sia perché qui insegna, sia «perché il futuro d’Italia sarà costruito qua, nel bene o nel male».
Di Verona ha un ottimo ricordo. E la città l’ha ripagato. Nel 2008 il sindaco Flavio Tosi, conferì a Parks la cittadinanza onoraria. Di meriti lo scrittore ne aveva, ma il motivo scatenante fu il fatto di aver rifiutato un pezzo su commissione del Daily Mail inglese. Volevano ingaggiarlo perché scrivesse un ritratto al negativo della città veneta. La ragione: il poco amato Sarkozy aveva dichiarato di voler passare la luna di miele proprio a Verona. Scoperto l’accaduto, Tosi lo premiò.
«Al sindaco dissi che accettavo a nome di tutti quelli che dall’estero vengono a Verona per lavorare».
Rimpiange gli anni di pendolarismo, le mattine sull’Interregionale da Verona Porta Nuova delle 6.40?
«No, per niente».
L’intervista è finita, Tim Parks afferra la borsa a tracolla, non un trolley, lo detesta come i veri viaggiatori, e si fionda alla Centrale. Lo aspetta un treno, verso la Toscana, per presentare Coincidenze.