Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  dicembre 19 Venerdì calendario

LA TROIKA NON È ANCORA ARRIVATA, MA LA POVERTÀ C’È GIÀ. CASA, ORO E RISPARMI SONO I PIÙ MASSACRATI DALLA CRISI

La Troika non è ancora arrivata in Italia, ma la povertà sì. E non è una bella notizia. Ieri su Italia Oggi il presidente della Confedilizia, Corrado Sforza Fogliani, con la competenza che gli è propria, ha spiegato che il patrimonio immobiliare delle famiglie italiane ha subìto un abbattimento di valore di 2 mila miliardi di euro a causa del forsennato aumento delle imposte sulla casa, salite dai 9 miliardi del 2011 ai 28 miliardi di quest’anno. Un «furto legalizzato», messo in atto con i provvedimenti demenziali sull’Imu introdotti dal governo di Mario Monti e confermati da quelli successivi di Enrico Letta e Matteo Renzi. L’obiettivo di Monti, è bene ricordarlo, era di «salvare l’Italia» dal default, riportando i conti pubblici in linea con i parametri imposti dall’euro (Maastricht e Fiscal compact) con una tassazione forsennata, senza precedenti. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: l’Italia, invece di salvarsi, è diventata più povera. E il rischio Troika è sempre dietro l’angolo.
Un altro indice di crescita della povertà viene ora da uno studio su quello che è considerato il principale bene rifugio: l’oro. Mettendo insieme i dati Istat, Unioncamere ed Eurispes, Rosamaria Alibrandi, docente all’università di Messina, rivela sul sito bocconiano lavoce.info che un numero crescente di italiani si è rivolto ai «compro oro» per fare fronte alla crisi dei bilanci familiari: erano l’8,5% nel 2011, sono saliti in media al 28,1% nel 2013, con punte del 31,8% nel Sud. Tonnellate di gioielli e di preziosi sono così usciti dagli scrigni domestici per finire nei circa 20 mila negozi «compro oro», e da lì nei banchi metalli, le fonderie che lavorano per l’export. Il risultato è che, pur non avendo miniere d’oro sul territorio nazionale, l’Italia ne è diventata un’ esportatrice netta, con un crescendo da record: da 40 tonnellate d’oro esportate nel 2008 si è passati a 193,7 tonnellate nel 2012, con un aumento del 385%. In valore, l’impennata è stata ancora più forte, salendo dai 751 milioni di euro del 2008 ai 7,8 miliardi nel 2012 (più 942%).
Tuttavia, complice il crollo del prezzo dell’oro, questo boom (indice più di povertà che di ricchezza) è durato poco. Il prezzo è infatti sceso da 44 euro al grammo (inizio del 2013) agli attuali 29, facendo crollare del 140% il giro d’affari dei «compro oro». Alcuni negozi, secondo le stime Unioncamere, hanno subito perdite di 60 mila euro ciascuno, a causa della repentina differenza di prezzo tra il momento dell’acquisto e quello della vendita alle fonderie. Così, un intero settore commerciale, prodotto dalla recessione, è entrato in crisi a sua volta, con la stessa rapidità con cui si era diffuso. La Alibrandi ha calcolato che la ricchezza complessiva delle famiglie, stimata pari a 8.542 miliardi a fine 2012 (Banca d’Italia), sia diminuita del 9% rispetto al 2007, prima che la crisi avesse inizio. Un calo provocato non solo dalle auto-privazioni dei beni in oro delle famiglie, ma anche dalla svalutazione di altri beni, primo fra tutti la casa.
Pochi giorni fa anche il Censis ha dedicato ampio spazio al tema della povertà nel suo rapporto annuale: in base a un sondaggio, stima che il 60% degli italiani teme di finire in povertà, e non ha vergogna a dirlo. L’incertezza sul futuro, sostiene il Censis, si riflette ormai anche sulla gestione dei soldi. A giugno 2014 è cresciuta fino a 1.219 miliardi di euro la massa finanziaria liquida di contanti e depositi bancari delle famiglie italiane, ormai restie a investire: il 44,6% di esse destina il proprio risparmio alla copertura da possibili imprevisti, come la perdita del lavoro o la malattia, il 36,1% lo finalizza alla voglia di sentirsi con le spalle coperte. La parola d’ordine è: tenere i soldi vicini per ogni evenienza. Secondo le stime Censis, inoltre, 6,5 milioni di persone negli ultimi 12 mesi, per la prima volta nella loro vita, hanno dovuto integrare il reddito familiare mensile con risparmi, prestiti, anticipi di conto corrente o in altro modo, magari per affrontare una spesa imprevista.
Ad alimentare le preoccupazioni sul futuro è soprattutto la continua perdita di posti di lavoro, e quindi di salari. In casa entrano sempre meno soldi. Se si sommano i disoccupati ufficiali (3 milioni), gli inattivi scoraggiati (1,8 milioni) e quelli che non cercano più lavoro ma sarebbero disposti a lavorare (altri 3 milioni), il Censis calcola che in Italia vi sia un capitale umano inutilizzato di quasi 8 milioni di persone, la metà delle quali sono giovani sotto i 34 anni, i più penalizzati dalla crisi.
Inutile dire che se arrivasse la Troika (Bce, Ue, Fmi), per imporre le sue riforme con ulteriori dosi di austerità sotto forma di diktat, la situazione sarebbe peggiore, e di molto, come si è già visto in Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda. Eppure, nell’élite dei poteri forti nostrani, c’è chi fa il tifo perché anche in Italia sia proprio la Troika a prendere il pallino in mano. Meritano un solo epiteto (copyright di Giampiero Mughini): cialtroni!
Tino Oldani, ItaliaOggi 19/12/2014