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 2014  dicembre 19 Venerdì calendario

Notizie tratte da: Cinzia Giorgio, Storia erotica d’Italia. Gli amori, gli scandali, il sesso e la vita privata: la storia d’Italia che avreste sempre voluto leggere e nessuno ha mai osato raccontare, Newton Compton editore 2014, pp

Notizie tratte da: Cinzia Giorgio, Storia erotica d’Italia. Gli amori, gli scandali, il sesso e la vita privata: la storia d’Italia che avreste sempre voluto leggere e nessuno ha mai osato raccontare, Newton Compton editore 2014, pp. 330, 9,9 euro.

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Etruschi Teopompo di Chio, storico del IV secolo a.C., racconta che gli etruschi non si vergognavano affatto di fare sesso in pubblico. Così riferisce: «Quando il padrone di casa viene chiamato mentre sta facendo l’amore, [i suoi servi] rispondono: “Sta facendo l’amore”, senza alcun pudore».

Nocticula, bustiaria ecc Nell’antica Roma se una donna si prostituiva di notte era chiamata nocticula; se lo faceva nei pressi dei cimiteri, era una bustuaria (bustum significa «tomba»); se invece passeggiava, il suo nome era ambulatrix; se prestava servizio sotto i ponti era una fornicatrix (perché i fornices sono le arcate dei ponti). In generale, però, la prostituta per eccellenza era la lupa, che talvolta veniva chiamata anche meretrix, per via del fatto che “meritava” il suo guadagno.

Capelli rossi Le prostitute – solo a Roma se ne contavano trentaduemila circa – vestivano in maniera diversa dalle matrone romane. Lasciavano scoperte le ginocchia e si tingevano i capelli di rosso. La maggior parte di loro riceveva i clienti in un bordello chiamato lupanare.

Lupanare Per evitare di andare in un lupanare, considerato un luogo sudicio, foriero di malattie e parassiti, i romani più ricchi ricevevano le prostitute in casa. Vi erano tuttavia dei lupanari meglio gestiti, più puliti e confortevoli, come quello che sorgeva sul colle Palatino, di proprietà dell’imperatore Caligola, nel quale si prostituivano non donne qualsiasi, ma donne raffinate e anche ragazzini. Svetonio riferisce che le prestazioni offerte nel bordello dell’imperatore erano pubblicizzate nel Foro da un dipendente imperiale.

Prezzi I prezzi delle prestazioni erano svariati. Due assi, ovvero mezzo sesterzio, l’equivalente di un bicchiere di vino in una taverna, era il prezzo
più basso ed era previsto di solito per il sesso orale: la fellatio o il cunnilingus, se era l’uomo a voler svolgere il ruolo attivo. Se il prezzo della prestazione sessuale era compreso fra i nove e i sedici assi la prostituta poteva vantarsi di essere ben quotata.

Cunnilingus Il cunnilingus era quasi un tabù per il maschio romano. L’uomo infatti doveva godere durante il rapporto sessuale e non far godere. La bocca era considerata quasi sacra e sporcarla con gli umori femminili (peggio ancora con quelli maschili se un uomo praticava la fellatio a un altro uomo) era una sorta di abominio. Tuttavia, la pratica era ben diffusa, come testimoniano gli affreschi dei lupanari di Pompei.

Grande sedere A Pompei lavorava fra le altre la prostituta Timele, detta fellatrice e extaliosa, «dal grande sedere».

Prostituti I prostituti di Pompei erano ragazzini che si vendevano per pochi soldi, diversamente dai loro colleghi romani che venivano viziati e vezzeggiati dai loro amanti altolocati. I ragazzi di Pompei si vendevano anche alle donne, alle quali spesso praticavano il cunnilingus. Un graffito: «Frontone la lecca». Il graffito pubblicitario di un Marittimo: «La lecca per quattro assi. Accetta anche le vergini».

Cesare Cesare in un ritratto di Svetonio: «È noto quanto Cesare fosse incline alla libidine e alle spese pazze, così com’è noto che sedusse molte donne nobili, tra cui Postumia, moglie di Servio Sulpicio, Lollia, moglie di Aulo Gabinio, Tertulla, moglie di Marco Crasso, e persino Mucia, moglie di Pompeo. […]Perché non ci siano dubbi sul fatto che notoria era la fama della sua impudicizia e dei suoi adulteri, ricorderò che Curio padre in una sua orazione lo chiama “marito di tutte le mogli e moglie di tutti i mariti”».

Caligola 1 Caio Giulio Cesare Germanico, chiamato da tutti Caligola, secondo Svetonio era alto, aveva un colorito pallido, collo sottile e gambe troppo magre. Svetonio ci fa anche sapere che fin da ragazzo Caligola assisteva alle torture e alle esecuzioni capitali con immenso piacere; di notte si divertiva a truccarsi, a indossare una parrucca e un lungo mantello per concedersi tutti i vizi e le depravazioni possibili.

Caligola 2 Caligola commetteva abitualmente incesto con tutte le sue sorelle e in presenza di tutti. Mentre pranzavano o cenavano, lui le costringeva a sdraiarsi a turno alla sua destra, ignorando la sua stessa moglie. Molti a corte credevano che quando era ancora un ragazzo avesse deflorato la sorella Drusilla e che a scoprirli fosse stata sua nonna Antonia. Quando la sorella morì, Caligola sembrò non riprendersi più da quel dolore. Si racconta che costringesse le altre sorelle a prostituirsi con i suoi stessi amanti.

Caligola 3 Durante le nozze di Livia Orestilla con Caio Pisone, Caligola diede ordine di interrompere la cerimonia per portarsi a letto la sposa, per poi rimandarla al mittente qualche giorno dopo.

Bocca della Verità All’interno del portico della chiesa di Santa Maria in Cosmedin a Roma si trova una massiccia pietra circolare, che rappresenta la testa di un fauno che sorride o, secondo alcuni, grida. Si tratta della cosiddetta “Bocca della Verità”. Sebbene molti studiosi si siano espressi in favore della teoria secondo cui la pietra sarebbe la copertura di una cloaca, ovvero una fogna, molti altri propendono per ritenere che la pietra fosse la chiusura del pozzo nel tempio di Mercurio al Foro Boario, dove i commercianti giuravano sulla loro onestà nelle transazioni economiche. Durante tutto il Medioevo, chiunque fosse sospettato di menzogna doveva inserire la mano nella bocca ridente del fauno: in caso di colpevolezza questi avrebbe «mangiato» la mano del mentitore, serrando le mascelle. Alcuni ritengono che i giudici, convinti anche senza prove della colpevolezza di qualcuno, assoldassero qualche carnefice per far tagliare la mano al malcapitato.

Congegno fiorentino I mariti medievali, per essere certi di non venire cornificati durante la loro assenza dal talamo nuziale per motivi bellici, avevano a disposizione anche la cintura di castità, introdotta in Italia forse durante il XIV secolo. In un documento degli inizi del Quattrocento, la cintura veniva chiamata «congegno fiorentino». Si trattava di mutande di ferro assicurate da un lucchetto, con due piccole aperture all’altezza degli orifizi, che servivano per i bisogni fisiologici ma erano troppo strette perché vi entrasse altro. La chiave che apriva e chiudeva il lucchetto veniva portata via dai mariti. Le donne ovviamente non gradivano affatto la cintura di castità: era difficile dormire, sedersi, per non parlare delle funzioni corporali. Inoltre, se il marito non fosse rientrato dalla guerra, sarebbero state costrette a ricorrere all’aiuto di un fabbro. Spesso le donne che portavano la cintura di castità erano soggette a gravi infezioni, che talvolta potevano portare alla morte. Alcune mogli se ne liberavano facendo forgiare una copia della chiave.

Cortegiana Da un censimento delle prostitute a Roma nel 1490 risulta che taluni prelati e alti funzionari della curia mantenevano almeno una concubina o prostituta a testa. Spetta al Burcardo, maestro di cerimonie del papa Alessandro VI Borgia, trovare una definizione per le prostitute che affollavano le Stanze Vaticane e Roma in generale: cortegiana, hoc est meretrix honesta, ovvero «la cortigiana, cioè la meretrice onesta». Honesta sta a indicare la maniera in cui queste donne vivevano. Le cortigiane oneste, infatti, esercitavano il loro mestiere alla luce del sole, i loro beni erano catalogati e vivevano nel lusso perché mantenute da più benefattori.

Cortegiana 2 La vera cortigiana era di solito una donna colta, o per lo meno fingeva di esserlo. Inoltre le cortigiane usavano un nome d’arte per esercitare la loro professione, un nome che richiamava la classicità greca e latina. Nel censimento del 1526 a Roma, tra le cortigiane si leggevano nomi come Serena, Lucrezia, Flora, Primavera, Luna Nova, Medea, Diana, Cornelia e così via. Molte aggiungevano al loro vero nome la loro città d’origine, si leggeva quindi Caterina Veneziana, Paolina Romana e Claudia Francesca (cioè francese). Le più richieste a Roma erano però le greche, forse perché presenti in numero minore. La cortigiana romana più nota, a cui tutte si ispiravano, era Imperia, che morì nel 1511.

Prostitute di lume Le cortigiane si differenziavano dalle prostitute di lume, che esercitavano per lo più nel retrobottega dei maestri candelieri, cosicché le loro prestazioni duravano il tempo di un piccolo lume. Quando il lume si esauriva, il garzone o la sguattera dovevano avvisare il cliente che il rapporto doveva finire lì. Da qui l’espressione «reggere il moccolo», ovvero favorire o disturbare con la propria presenza l’azione, soprattutto amorosa, di qualcuno.

Catalogo A Venezia nel 1565 fu stampato clandestinamente il Catalogo di tutte le principali et più honorate cortigiane di Venezia, nel quale vi erano i nomi delle ragazze, quelli delle loro mezzane, gli alloggi dove le cortigiane esercitavano e le loro tariffe. Si partiva da un mezzo scudo per arrivare a trenta scudi per le cortigiane più in voga.

Troppo coito Ludovico il Moro era un bell’uomo: alto, bruno, occhi scuri, naso aquilino e dotato di una carnagione olivastra che gli avrebbe fatto guadagnare l’appellativo di Moro. Sulla soglia dei quarant’anni, all’apice del suo successo politico come duca di Milano, conobbe la sedicenne Cecilia Gallerani. Il duca all’epoca aveva avuto già tre figli naturali da tre donne diverse e stava organizzando il suo matrimonio con Beatrice d’Este, che si sarebbe tenuto nel 1490. L’ambasciatore dei duchi d’Este presso la corte milanese degli Sforza, Giacomo Trotti, in relazione a un malore
accusato da Ludovico il Moro: «Si dice che il male del Signor Ludovico è causato da troppo coito di una sua puta che prese presso di sé, molto bella, parecchi dì fa, la quale gli va dietro dappertutto, e le vuole tutto il suo ben e gliene fa ogni demostratione». La puta, cioè la giovinetta, era Cecilia Gallerani, passata alla storia anche grazie a un ritratto che le fece Leonardo da Vinci, all’epoca assunto da Ludovico come artista e ingegnere di corte: il famoso dipinto La Dama con l’Ermellino. Beatrice d’Este e Ludovico si sposarono il 16 gennaio del 1491. Stando ai pettegolezzi di corte, la Gallerani continuava a giacere con il Moro.

Garzoni Machiavelli ebbe sette figli dalla moglie, ma ebbe anche diverse scappatelle, alcune delle quali anche con giovani uomini. In una lettera dell’esilio, scritta nel 1513, si lamentava con Francesco Vettori: «Qui non ci è garzoni, qui non ci sono femmine. Che casa di cazzo è questa?».

Dotto Machiavelli sul membro maschile nel suo Canto de’ ciurmadori: «Noi nasciam tutti con un segno sotto, / e chi di noi l’ha maggiore è più dotto».

Demonio Qualcuno sosteneva che il violinista genovese Niccolò Paganini avesse la demoniaca capacità di far innamorare di sé qualunque donna.

Sifilide Verso i quarant’anni Niccolò Paganini, che ebbe molte amanti e aveva fama di superdotato, si ammalò piuttosto gravemente, forse di sifilide. Il medico Siro Borda, dell’università di Pavia, gli suggerì di bere latte d’asina e di fumare oppio. Risultato: da allora Paganini soffrì di diarrea e gli cominciarono a cadere i denti.

Antonia L’appassionato legame di Paganini con la cantante Antonia Bianchi, che frequentò a partire dal 1824. Con lei ebbe anche, nel 1825, l’amato figlio Achille Ciro Alessandro. Il rapporto con Antonia Bianchi fu però assai turbolento; pare che durante un litigio lei abbia scagliato a terra il preziosissimo violino Guarneri del Gesù, che Niccolò preferiva a ogni altro e soprannominava “il mio cannone” (il pregiato violino non subì danni irreparabili: è ancora oggi conservato nel palazzo Doria-Tursi di Genova ed è consentito suonarlo ai vincitori del prestigioso premio Paganini per il miglior violinista debuttante). In un’altra occasione Antonia lo schiaffeggiò violentemente in pubblico, finché i due si lasciarono e Paganini tenne con sé il piccolo Achille, pagando ad Antonia un indennizzo di duemila scudi.

Helene La convivenza con il figlioletto non impedì a Paganini di riprendere una turbinosa vita sentimentale; fra le numerose donne che frequentò in questo periodo, va ricordata la giovane bavarese Helene von Feuerbach: innamoratasi di Paganini, la ragazza divorziò dal marito, con cui era sposata da soli tre mesi.

Fama demoniaca Negli ultimi anni Paganini tentò di aprire un casinò a Parigi, ma con scarso successo: finì per fare bancarotta, mentre le sue condizioni di salute peggioravano rapidamente. Colto da crisi di tosse, perse quasi completamente la voce; a volte gli faceva da interprete il figlio Achille, che aveva imparato a leggergli le labbra, altre volte invece per esprimersi scriveva dei bigliettini, alcuni dei quali sono stati conservati. Infine morì a Nizza nel 1840, senza i conforti religiosi perché in sospetta «fama demoniaca»: il vescovo di Nizza ne vietò perfino la sepoltura in terra consacrata.

Paganini non ripete La celebre frase «Paganini non ripete», sarebbe stata pronunciata nel 1818 al teatro Carignano di Torino. Il principe Carlo Felice, avendo assistito a un suo concerto, fece chiedere infatti al maestro un bis. Ma Niccolò, stanco al termine della sua performance, gli fece appunto rispondere che «Paganini non ripete».

Contessa di Castiglione Negli ultimi anni di vita la contessa di Castiglione, fra le donne più affascinanti dell’Ottocento, fu afflitta da manie di persecuzione, coprì gli specchi di casa per non vedersi invecchiare e decise di uscire solo di notte, per non mostrare le rughe alla luce del giorno. Cercò anche di sottrarsi qualche anno, posticipando la propria data di nascita. Morì a Parigi alla fine del secolo, nel 1899.

Lord Byron Lord Byron andava in giro tutto vestito di nero, si nutriva solo di biscotti, acqua di seltz e patate.

Quattro giorni di sesso A Venezia, Lord Byron conobbe la bellissima contessa Teresa Guiccioli: fianchi larghi, vitino da vespa e seno prosperoso, bionda, il viso era incorniciato da una massa di boccoli vaporosi e lucenti, aveva occhi grandi, la bocca tumida e il naso
sottile. Era nata a Ravenna come Teresa Gamba Ghiselli nel 1800 e, a diciotto anni, aveva sposato il sessantenne conte Alessandro Guiccioli. Quando conobbe Byron nel 1819 ne rimase fin da subito affascinata. I due intrecciarono una relazione il giorno dopo essersi conosciuti. Al loro primo incontro carnale seguirono quattro giorni e quattro notti in cui fecero ininterrottamente l’amore.

Vittorio Emanuele II A Vittorio Emanuele II non piaceva molto viaggiare, ma nel 1855 si decise a fare un viaggio in Francia e in Inghilterra, insieme al primo ministro Camillo Benso conte di Cavour, per intrattenere buoni rapporti con gli alleati del Piemonte nella guerra di Crimea. Pare che in Francia abbia fatto una gaffe terribile dicendo all’imperatrice Eugenia, in presenza di altre persone: «Le parigine non portano le mutande: dinanzi ai miei occhi si è aperto un cielo azzurro!»

Mussolini Pare che Mussolini avesse avuto la sua prima esperienza sessuale in una casa di tolleranza all’età di sedici anni: ne aveva ricavato però anche una fastidiosa infezione venerea. In seguito, divenuto maestro elementare a Predappio, ebbe fra le sue piccole allieve anche Rachele Guidi, che anni dopo diventerà sua moglie. Donna Rachele, figlia di contadini, sposatasi con Mussolini si occupò dell’educazione dei loro cinque figli: Edda, Vittorio, Bruno, Romano e Anna Maria. Svolgendo diligentemente il suo ruolo di angelo del focolare domestico, sopportò le numerose scappatelle del marito e le varie amanti che il duce ebbe nel corso degli anni. Fra le tante avventure amorose di Mussolini: la relazione che, quando era trentenne, intrecciò con Bianca Ceccato, diciassette anni, che lavorava come segretaria nel giornale “Il Popolo d’Italia”, diretto da Mussolini. Pare che Benito l’abbia fatta ubriacare con uno spumante, per poi possederla in una squallida cameretta d’albergo.

Ida Tra le donne che maggiormente segnarono la vita amorosa del duce, oltre a donna Rachele, Ida Dalser. Nata a Trento e nel 1909, mentre lavorava come giornalista in un periodico locale, conobbe Mussolini e avviò con lui una relazione. Nel novembre 1915, quando ormai la storia tra i due si era interrotta e Mussolini si era legato a donna Rachele, Ida Dalser diede alla luce un figlio, che chiamò Benito Albino. Questo figlio fu riconosciuto come suo da Mussolini, ma la Dalser lo citò comunque in giudizio, riuscendo a ottenere da lui un assegno di mantenimento di duecento lire mensili. Per nulla placata da questo risarcimento economico, Ida continuò per anni a tampinare Mussolini, rivendicando per sé il ruolo di sua compagna di vita. Nel 1917, mentre Benito era ricoverato in ospedale a Milano per una ferita di guerra, Ida lo raggiunse e aggredì donna Rachele, gridandole di essere lei la vera signora Mussolini. Le due donne finirono per prendersi a capelli, mentre Mussolini giaceva nel letto d’ospedale, impossibilitato a intervenire. Le intemperanze della Dalser non finirono qui: il prefetto di Milano fu costretto ad allontanarla coattivamente dalla città a causa del «grave pericolo di turbamento dell’ordine pubblico» dovuto al contegno da lei tenuto verso la famiglia Mussolini e ai propositi di vendetta che aveva pubblicamente manifestato. Quando, alcuni anni dopo, Mussolini divenne capo del governo decise di donare una forte somma di denaro, centomila lire, al figlio Benito Albino, che avrebbe però potuto disporne solo al compimento della maggiore età.
Ida Dalser non rinunciò mai alla sua pretesa di venire riconosciuta come la vera compagna del duce e in più occasioni diede in escandescenze. Fu internata dapprima nel manicomio di Pergine Valsugana e poi nell’ospedale psichiatrico di San Clemente a Venezia, dove morì nel 1937 per un’emorragia cerebrale.

Claretta L’amante ufficiale di Mussolini fu Claretta Petacci. Nata a Roma nel 1912, Claretta era figlia di Francesco Saverio Petacci, medico del papa. Era fidanzata con un tenente dell’aeronautica, Riccardo Federici, quando nel 1932 a Ostia incontrò per la prima volta Mussolini, per il quale provava una vera adorazione fin dall’infanzia. Si racconta che una volta da bambina tirò un sasso a un muratore perché, sentendo ragliare un asino, aveva fatto lo spiritoso dicendo: «Parla il duce!». Così la sorella Myriam ha raccontato il primo incontro tra Claretta e il duce: «Stavamo andando a fare un giro e incontrammo la macchina del duce sulla strada per Ostia. E Claretta disse piena di entusiasmo: “Mussolini, Mussolini” e lo seguimmo fino a quando lui si fermò. E lei si fece coraggio e, accompagnata dal fidanzato, andò a salutarlo». Due giorni dopo Benito telefonò a casa Petacci e chiese a Claretta di andarlo a trovare a palazzo Venezia. Negli anni successivi la ragazza divenne amante del duce, che aveva quasi trent’anni più di lei. Claretta si recava quotidianamente a palazzo Venezia, anche se i suoi incontri con Mussolini erano sempre strettamente privati e i due non si mostravano insieme in pubblico. Dopo un paio d’anni lei si separò dal marito (nel frattempo si era sposata).

Vestaglie Pare che il duce fosse particolarmente attratto dal bel seno di Claretta e che, per i loro convegni d’amore, le avesse regalato quindici vestaglie.

Spago Con la caduta del Fascismo nel luglio 1943 la casa di Claretta venne devastata dagli antifascisti e lei fu arrestata insieme ai genitori e alla sorella Myriam. In carcere non mancò di provocare le guardie marciando con passo romano e cantando canzoni fasciste insieme alla sorella. Liberata con l’armistizio dell’8 settembre 1943, riuscì a raggiungere Mussolini al Nord, nella neonata Repubblica di Salò. Non volle fuggire all’estero con i suoi familiari e decise di seguire il duce fino all’ultimo: insieme a lui fu fucilata il 28 aprile 1945 e il suo corpo seminudo fu appeso a testa in giù nel piazzale Loreto a Milano. Mosso a compassione, il cappellano dei partigiani, don Pollarolo, chiese che venisse almeno fissata la gonna con uno spago per impedire che restassero pubblicamente esposte le parti intime del cadavere.

Pelo pubico D’Annunzio portava sempre con sè un pelo pubico di una delle sue innumerevoli amanti, Elvira Natalia Fraternali maritata Leoni, che il poeta soprannominò Barbarella.

Luisa Un’altra amante di D’Annunzio, la marchesa Luisa Casati Stampa, ex moglie del marchese Camillo Casati Stampa, dama in vista nei salotti di Milano, allevava pappagalli, scimmie, pavoni e perfino un serpente, che a volte si metteva al collo.

Stravaganze Notizie, più o meno attendibili, sulle stravaganze di D’Annunzio: beveva alcolici nel teschio di una vergine, portava pantofole di pelle umana, galoppava nudo in riva al mare, per poi scendere da cavallo e venire accolto di Eleonora Duse in un mantello di porpora.

Costole Secondo una leggenda, D’Annunzio si sarebbe fatto asportare una costola per poter praticare la fellatio in autonomia.

Pollaio In vecchiaia, per riprendersi dalle sue fatiche amorose, D’Annunzio si cibava spesso di uova, tanto che al Vittoriale aveva fatto organizzare un pollaio.

Dama bianca 1 Giulia Occhini detta la dama bianca per via del montgomery chiarissimo che indossava quando fu notata per la prima volta dai cronisti al fianco di Fausto Coppi.

Dama bianca 2 Fino al 1954 Coppi era sposato con Bruna Ciampolini. Il suo grande amore fu però Giulia Occhini, sposata con un medico del Varesotto, Enrico Locatelli, appassionato di ciclismo e grande fan di Coppi. Fu proprio lui a condurre Giulia a una gara ciclistica dove lei chiese un autografo al campione e lo incontrò così per la prima volta. Ne scaturì una relazione epistolare, i due si rividero, e fu l’inizio di uno dei più chiacchierati scandali degli anni Cinquanta, in un’Italia in cui il divorzio non esisteva (sarà introdotto solo negli anni Settanta) e l’adulterio era ancora un reato. La vera svolta si ebbe quando Giulia Occhini abbandonò il marito e i due figli Maurizio e Loretta, detta Lolli, per andare a vivere con Coppi, il quale aveva a sua volta lasciato la moglie e una figlioletta. Ne seguì uno scandalo clamoroso, che la separazione consensuale tra Coppi e la moglie Bruna non valse a quietare. Il dottor Locatelli infatti, dopo un periodo di prostrazione per essere stato abbandonato dalla consorte, decise di sporgere denuncia contro di lei. Il 13 settembre 1954 la dama bianca fu perciò arrestata in flagrante adulterio in casa di Coppi a Novi Ligure e trattenuta in carcere per alcuni giorni, mentre al campione fu ritirato il passaporto.

Dama bianca 3 Nel marzo del 1955 ebbe inizio il processo, che si concluse per i due amanti con una condanna a qualche mese di carcere, ma con il beneficio della condizionale. Per evitare i problemi legati al diritto di famiglia vigente negli anni Cinquanta (sarà riformato solo nel 1975), il piccolo Faustino (figlio di Fausto e Giulia) fu fatto nascere a Buenos Aires; poté così essere riconosciuto da Fausto e ricevere il cognome Coppi, che peraltro gli sarà legalmente attribuito anche in Italia solo alla fine degli anni Settanta. I due amanti si sposarono invece in Messico, ma il loro matrimonio non sarà mai riconosciuto valido in Italia, dove lo scandalo era stato tale che perfino papa Pio XII lanciò un appello ai due concubini affinché si ravvedessero, tornando dai rispettivi coniugi. Fausto Coppi e Giulia Occhini rimasero insieme finché il campione morì di malaria, il 2 gennaio 1960, a soli quarant’anni.

Dama bianca 4 Così Giulia Occhini ha ricostruito la sua vicenda nel 1984, in un’intervista a Patrizia Carrano: «Non ho rovinato nessun matrimonio. Fausto e sua moglie s’ignoravano già da tempo, quando c’innamorammo. Ma quando la gente lo venne a sapere, fu l’inferno: lui rischiò di perdere l’ammirazione dei tifosi, io fui indicata da mezza Italia come “la rovina famiglie”. Per non dire di peggio. Per il nostro amore abbiamo pagato tantissimo. Tutti e due. Fausto ha ottenuto la separazione lasciando a sua moglie la casa e cinquanta milioni. Una cifra iperbolica, per allora. Io sono stata tampinata dalla magistratura “in nome della pubblica moralità”. Per evitare l’accusa di adulterio e di concubinaggio, Fausto mi aveva assunta come segretaria. Nella nostra camera da letto c’era un armadio con un doppio fondo, che comunicava con un’altra stanza. Però non ci aspettavamo l’irruzione dei carabinieri, che invece avvenne in una notte del ’54: non ci sorpresero a letto, perché nel subbuglio ci eravamo alzati. Ma un brigadiere mise la mano sul materasso e lo trovò ancora caldo. Fui arrestata, condotta al carcere di Alessandria. Dopo tre giorni di prigione mi spedirono ad Ancona, a casa di una zia. A domicilio coatto. Quando uscivo, per andare a far la spesa, le donne sputavano dove passavo. Io chiudevo gli occhi e tiravo dritta senza piangere. Ero incinta di Faustino, ma sarei morta piuttosto che far vedere che soffrivo».