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 2014  dicembre 18 Giovedì calendario

ALLEGRI, IL LIVORNESE DOC

I livornesi hanno la lingua lunga. I livornesi ridono di tutto, mettono in burla il mondo, tengono insieme la Madonna di Montenero e la sinagoga, il partito comunista e la famiglia Ciano, il Vernacoliere e Mascagni. I livornesi si lamentano dei potenti, sono ispidi, cinici ma in fondo in fondo non sono cattivi. I livornesi urlano ma sono gentili a modo loro. I livornesi, bisogna saperseli lavorare. Aggirare gli spigoli, perché se li prendi di punta son dolori.
I livornesi sono per natura un cacciucco, ovverosia una creatura culinaria mostruosamente varia, che necessita di pesci anche orribili come lo scorfano e la murena. I livornesi buttano giù tutto, ma non c’è nulla che possano evitare di commentare. Per dire: quando era ancora l’emergente allenatore del piccolo Cagliari, Massimiliano Allegri si permise di mettere il timbro su José Mourinho: «Potrebbe fare l’attore». Tipico sarcasmo alla livornese, che non è amaro, ma se mai salato e plasmato dal libeccio.
Il culto della battuta a Livorno nasce fra i banchi del mercato centrale e arriva fino alle ville sul mare abitate dalla borghesia, nessuno ne è esente. Quando c’è da rispondere ai potenti, non si fanno prigionieri. Livorno è la città marchiata PD che ha eletto un sindaco grillino, la stessa città che mal sopporta il mausoleo di Ciano ornato da un anonimo anni fa con una falce e martello dipinte chissà come, ma che del periodo fascista conserva tante cose belle, stadio compreso. Livorno è la città che ritornò in Serie A, a San Siro, dopo mezzo secolo, con migliaia di tifosi armati di bandana anti-Berlusconi: «Silvio ti stiamo aspettando». È la città di Modigliani e dei suoi falsi, per i quali alcuni si sono arrabbiati e quasi tutti hanno riso. Livorno è lo sberleffo e i livornesi sono figli suoi. È la città dello schermidore Nedo Nadi, che al re del Belgio scocciato per doverlo premiare per la terza volta rispose: «Col vostro permesso conto di tornare ancora». È la città dell’uomo che ha insegnato a parlare ai cavalli, Federico Caprilli. Perché senza parole i livornesi non sono niente.
A Livorno, criticare è uno sport ampiamente praticato e nessuno si sognerebbe di mettere un freno. I livornesi sono allenati alla critica e all’ironia fin dalla più tenera età e vengono considerati strani se si rifiutano di affinare l’arte. Non si salva nessuno, né il sindaco né il vescovo, e nei secoli passati qualche religioso è andato giù pesante con le scomuniche, ma pazienza. Livorno era un porto di mare, popolato anche da persone poco grate. È stato il rifugio di ebrei e ricercati politici, di spie e di agitatori: con un tale miscuglio di opposti nel sangue, non c’è da meravigliarsi se si cresce un po’ ribelli. Neppure il livornese più atipico può liberarsi di questa eredità. Allegri è preciso, ha il fisico del ruolo, non urla, sembra zen, ma quando gli girano non riesce a trattenersi. Come ogni livornese che si rispetti, appunto. Perché a Livorno se non eserciti il diritto di critica ti tolgono la cittadinanza. Antico porto di mare sì, città aperta pure, ma a tutto c’è un limite. Da superare, possibilmente spesso.