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 2014  dicembre 17 Mercoledì calendario

RENZI HA GIÀ FALLITO ORA TOCCA A ME (E A VOI)


[Corrado Passera]

Milano, dicembre
Renzi? «Un gattopardo veloce, non ha cambiato niente ». Grillo e Salvini? «Inimmaginabili alla guida del Paese». Il centrodestra? «Una somma di partiti esauriti». Berlusconi? «Ha avuto vent’anni, non c’è riuscito: basta».
È un Corrado Passera preciso e deciso quello che racconta a Oggi la sua Italia Unica. Il 31 gennaio 2015, con l’assemblea costituente, l’ex numero uno di Olivetti, Poste Italiane e Intesa Sanpaolo scende in campo con l’ambizione esplicita di occupare lo spazio tra Renzi e Salvini, diventare maggioritario e rendere la vita davvero dura al premier-rottamatore del centrosinistra. Ma soprattutto dare voce a un elettorato che, secondo lui, non ha più riferimenti. Qualche dolcezza la riserva all’inizio dell’incontro, mentre sfoglia sull’iPad le irresistibili foto dei suoi figli, e alla fine, quando parla della moglie («Giovanna è con me uno dei promotori di Italia Unica, fare anche questo progetto di futuro insieme è il senso della vita. È complicità e sogno. Una storia d’amore così è difficile da immaginare»). Per il resto è un Passera inatteso e tagliente come questo sole d’inverno che trapassa la vetrata sui tetti di Brera ed esplode di colori sull’invidiabile libreria del suo salone.
Visto che non l’ha fatto sua moglie, lo chiedo io: ma chi glielo fa fare?
«Il nostro Paese è gestito talmente male... I nostri figli sembrano costretti a un futuro con meno opportunità, in un Paese sempre più povero. Invece, abbiamo energie e risorse per avere benessere e sviluppo in un mondo sempre più globalizzato e per contraddire i luoghi comuni sul nostro Paese: l’ho toccato in tante occasioni difficili della mia vita professionale sia nel mondo privato che in quello pubblico. Lo so, lo so, lo so che l’Italia può farcela».
Lei già una volta ha accettato...
«Due volte. La prima alle Poste, che erano simbolo della burocrazia e dell’arretratezza. Non erano i postali la colpa, ma la cattiva gestione, l’assenza di responsabilità e la mancanza di strumenti tecnologici, gli abusi di politici e sindacalisti. Bisognava pulire, portare onestà, investire sulla formazione, tagliare i costi certo, ma anche offrire un progetto di sviluppo che desse entusiasmo e senso ai sacrifici necessari».
Poi nel 2011, al governo.
«Mi chiamò Monti mentre mi facevo la barba: “C’è bisogno di te”, il giorno dopo avevo lasciato tutto e giuravo al Quirinale. Da anni non mi davo pace per la mancanza di coraggio nel fare sviluppo, e nell’estate, mentre lo spread esplodeva e l’Italia non sembrava più credibile, avevo fatto circolare un mio documento su come rimettere a posto la finanza e far ripartire l’economia».
Lei ha dichiarato che in quei 10 mesi è stato fatto più che nei precedenti 10 anni. Eppure...
«Lo confermo: in pochi mesi abbiamo parato il commissariamento con riforme di grande sacrificio e recuperato la fiducia internazionale. E poi la legge anticorruzione, la liberalizzazione dei mercati del gas e del credito, la legge sulle start up, la riforma della Difesa, il piano aeroporti, 50 miliardi di progetti infrastrutturali passati al Cipe... Certo, avrei voluto che si facesse molto di più per lo sviluppo ma con Monti le frizioni sono state molte. Adesso mi metto in gioco in prima persona».
Quello che fece Monti alla caduta del governo tecnico si presentò alle elezioni con Scelta Civica. Perché lei ne rimase fuori?
«Monti decise di fare un cartello elettorale, con Udc, Fli, Italia futura; era destinato a durare lo spazio di un mattino. Io dicevo: “O si fa davvero un progetto nuovo o saremo semplicemente gli ultimi dei vecchi”. I partiti del centrodestra si sono tutti esauriti, ci vuole un grande coraggio che in Scelta Civica non c’era. Con il mio “no” certamente i rapporti con Monti non ci hanno guadagnato, ma gli avevo dimostrato tanto lasciando una delle posizioni più rilevanti e soddisfacenti d’Europa per andare a lavorare con lui e malgrado il mio dissenso su tante cose ho fatto il lavoro di ministro al meglio. Avevamo ipotizzato un progetto politico veramente nuovo a cui avevo assicurato il mio supporto, ma poi lui ha cambiato totalmente idea».
Non è azzardato fondare un partito proprio mentre la prevista legge elettorale punta al bipartitismo, da una parte il Pd, dall’altra Forza Italia e alleati, e mette un’asticella alta agli altri?
«Noi vogliamo costruire un grande partito popolare e maggioritario. Non sarà facile, ma ci credo. E lo dimostrano le oltre 150 “porte” (nuclei di militanti da almeno 20 aderenti, ndr) avviate in pochi mesi in tutta Italia. Adesso il primo partito è l’astensione, non per disinteresse ma perché l’offerta politica non soddisfa la maggioranza degli italiani e la sfiducia per gli attuali partiti è totale anche a causa degli scandali a raffica: il Mose, l’Expo e adesso Roma. Questo è il loro modo di fare politica. E io non ci sto».
È sicuro che esista davvero l’Italia moderata, liberale, popolare, riformista di cui parla lei? Con La Voce anche Montanelli l’aveva cercata senza trovarla. E poi sembrano prevalere gli estremismi.
«Esiste, eccome se esiste! È una maggioranza “silenziata” senza vera rappresentanza: i partiti di centrodestra guardano al passato mentre il mondo evolve rapidissimo. Le persone perbene che mandano avanti l’Italia ogni giorno, genitori, imprenditori, lavoratori autonomi, gli operatori del sociale non si possono ritrovare negli estremismi rabbiosi di Grillo o Salvini, due facce della stessa medaglia. All’ultimo giro parecchi hanno dato fiducia a Renzi, ma la delusione è crescente».
Non ha fatto niente di buono?
«Zero. Peggio: ha illuso e la delusione rischia di avere un prezzo altissimo. Non ha portato a casa risultati né in Italia né in Europa, ha sprecato energie e tempo su poche proposte sbagliate. Una legge elettorale con enorme premio di maggioranza, con l’esclusione per coloro che non si alleano con partiti pre-esistenti e liste bloccate, mentre invece sarebbe meglio il doppio turno vero con alleanze al secondo giro e collegi uninominali che forzino i partiti a candidare persone meno indecenti. Una finta abolizione del Senato, finito in mano ai consiglieri regionali perché lui pensa che siano dalla sua parte. Mentre le Province restano come erano, in un pasticcio istituzionale».
E in economia?
«Neppure una giusta: ha aumentato le tasse sui risparmi delle famiglie, sui dividendi degli imprenditori, sui fondi al Terzo Settore. Ha taglialo i cofinanziamenti dei fondi strutturali europei. Io ho proposto il Tfr anticipato, ma detassato e con il Fondo di Garanzia che aiutasse le imprese a pagarlo, mentre Renzi è riuscito a far addirittura aumentare le tasse sul Tfr anche a chi non lo prende. Il resto, pubblica amministrazione, jobs act, articolo 18, sono solo titoli. E la scuola? Ha promesso 150 mila assunzioni senza concorso e poi parla di merito. La giustizia? Ai cittadini che si rivolgono allo Stato per aver subito un torto, Renzi suggerisce candidamente di pagarsi un arbitrato... Renzi è un gattopardo veloce che si interessa solo di potere e di come arrivare velocemente alle elezioni facendo leva sullo spettro di Salvini, come alle Europee si era giocato lo spettro di Grillo. Sa che il bluff non può durare oltre un tanto».
Lo ritiene un populista?
«È un leader che vuole parlare ai singoli – persone e imprese – senza intermediazioni, insofferente alle categorie e alle rappresentanze sociali, vive di annunci, quasi uno al giorno. Prende impegni che regolarmente non rispetta: per esempio, sui debiti scaduti della pubblica amministrazione non ha ancora pagato nemmeno gli oltre 50 miliardi che i Governi Monti e Letta avevano messo a disposizione».
E lei pensa davvero di poter essere il suo rivale?
«Sì. Noi abbiamo soluzioni forti e una forza politica già strutturata in oltre 150 sedi, che il 31 gennaio si presenta come partito del tutto nuovo per partecipare alle elezioni comunali. Partiamo dal territorio per raccogliere una classe dirigente capace, concreta, che sappia ancora ascoltare la gente».
Crede che basti per conquistare un consenso non da partitino?
«Partiamo dai valori e li trasformiamo in proposte concrete e rivoluzionarie. Meritocrazia: basta con i primari ospedalieri scelti dalla politica ma piuttosto veri concorsi! Trasparenza: basta bilanci pubblici incomprensibili, ma anche per Comuni, Regioni, Asl bilanci standardizzati, consolidati e certificati. E anagrafe web di tutte le nomine, di tutti gli incarichi e forniture legate al mondo pubblico: riforme che non costano quasi nulla ma che tagliano le gambe alla corruzione! Avremo contro tante corporazioni ma con noi una grande quota di italiani perbene ».
Non dirà anche lei «meno tasse per tutti», l’abbiamo già sentita.
«No, io dico dimezzare le tasse sugli utili delle imprese, per scendere sotto il 20%. E lo finanzio tagliando i contributi a pioggia che ai politici di oggi servono per intermediare voti e introducendo veramente i costi standard nella sanità e uscendo veramente dalle 10 mila partecipazioni pubbliche. E poi pensiamo alle famiglie, davvero: un contributo da 2-3 mila euro a figlio, asili nido, scuola materna ed elementare a tempo pieno per tutti, un bonus badanti alle famiglie che si autofinanzia con i minori ricoveri in ospedale. Si aprono enormi spazi per il Terzo Settore come ho vissuto direttamente. Da banchiere, ho proposto alle reti di imprese sociali di finanziare i nuovi asili nido che mi avessero proposto: 400 in poco tempo e tutti si sono ripagati senza un euro di soldi pubblici».
Berlusconi il suo partito l’ha fondato su Publitalia e sui suoi soldi, Grillo sulla Rete. E lei?
«Sui territori, sulle Porte, libere associazioni che si auto-organizzano, su un piano di soluzioni per il Paese che incarna regole deontologiche forti, su quell’Italia di dignità e lavoro che non è rappresentata dai vecchi partiti ma che si riconosce nelle liste civiche. Con tante di loro stiamo già parlando. C’è bisogno di democrazia dal basso, di leadership diffusa, l’opposto della politica attuale. Poi ci vuole un direttore d’orchestra che non voglia intorno yes man ma il meglio in tutti i campi. Credo di aver dimostrato con tutte le mie esperienze di sapere far squadra».
A chi si rivolge?
«La democrazia nel nostro Paese oggi ha una gamba socialista, noi vogliamo essere l’altra, quella liberal-popolare. Non è nemmeno immaginabile che Grillo e Salvini siano candidabili a dirigere il Paese, e nessuno degli attuali partiti del centrodestra ha un progetto di questa portata».
Berlusconi è fuori dai giochi?
«Ha avuto più di vent’anni per realizzare il suo progetto. Missione non compiuta. Quella persona ha fatto il suo tempo e quel partito in nessun modo può essere più la casa di quel grande mondo a cui ci rivolgiamo».
Parteciperà alle primarie, come la invita a fare il sindaco leghista di Verona Flavio Tosi?
«A parte la stima reciproca con Tosi, parliamo di primarie tra partiti senza progetto comune, che si odiano e che al massimo possono realizzare un cartello elettorale. Io penso a unire la maggioranza degli italiani. E senza dare la colpa della crisi agli immigrati, alla Merkel o all’euro».
Ma se si andasse presto al voto e Berlusconi scoprisse che lei ce l’ha quel quid che Alfano non ha?
«Non dobbiamo ripartire dagli attuali padroni della politica che non si sono dimostrati all’altezza, ma dalle idee e dalle soluzioni che proponiamo, a partire da uno choc iniziale da 400-500 miliardi che pare impossibile a dirsi ma è invece realizzabile. E da un leader che abbia lavorato, che conosca i problemi. Loro, gli attuali padroni della politica, pensano che gli italiani siano scemi e seguano solo gli slogan. Io no».

Livio Colombo