Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  dicembre 17 Mercoledì calendario

NATALE NEGLI EMIRATI

Non è perché mi mancassero i cinepanettoni in giro per il mondo. O forse sì: avevo bisogno di spegnere il cervello e andare, come quando faccio indigestione di sitcom (The Big Bang Theory, Modern Family, Two And A Half Men) per smettere di pensare all’eternità, al lavorìo delle cellule, alla fine delle ideologie. Così ho chiamato mio fratello e gli ho detto: partiamo.
Restava da decidere per dove. Un viaggio a tema. E quasi Natale, una festa che è la somma di religione cristiana + consumismo. Se togli il primo addendo, che cosa ti resta? Facile: gli Emirati Arabi, e così abbiamo prenotato un volo per Abu Dhabi decisi a percorrerli «coast to co-ast», almeno nella parte più abitata. A Sharjah e ritorno, non esattamente una grande traversata, cinque-sei ore di auto in tutto, a seconda del traffico (traffico? Negli Emirati?).
Non sapevamo che cosa stessimo cercando, né dove mettere la bandierina del traguardo. Poi mi è venuto in mente un altro film (devo vederne meno o ne ho come i santi l’almanacco, uno al gior-no): Italians, di Giovanni Veronesi. Più esattamente, l’episodio in cui Castellitto & Scamarcio contrabbandano Ferrari attraversando il deserto. E ho capito tutto quello che filosofie e fedi inseguono invano da secoli: chi eravamo, da dove venivamo e dove eravamo diretti.
Siamo atterrati con un volo Alitalia che era già loro, degli emiri di Etihad. In qualche modo ci sentivamo già sudditi: comprano i nostri aerei, le nostre banche, le nostre squadre. Poi ci siamo ricordati con un sussulto di postuma gioia che niente di questo è mai stato «nostro», era già di qualcun altro che parla vagamente la stessa lingua, ma non per questo ci è più vicino, e allora, che differenza fa? Passi lo straniero. Ci alleni, ci governi pure, magari, svagato nell’ebbrezza del disinteresse, peggio dei «nostri» non sarà.
Abbiamo noleggiato un gippone, accettabile solo perché a tempo, come molte cose e persone nella vita, pop-up store, one night stand, rental care (esatto: care e non car, una cura delimitata, poi ci pensi il successivo). Abbiamo guidato fino a Sharjah, quello che il luogo comune definisce emirato culturale. E infatti ci crede e organizza pure la fiera del libro.
Abbiamo ascoltato Dan Brown, senza crederci troppo, anche se io credo al Codice Da Vinci, che è un po’ il Gomorra esoterico: si sapeva già tutto, ma messo insieme e ripitturato fa un altro effetto. Vai a rimirare L’ultima Cena a Milano e vedi la faccia della guida alla fine, quando le tocca dire che Maria Maddalena, in quel dipinto, non c’è.
Sharjah è il primo passo avanti della storia degli Emirati, che al nostro arrivo hanno festeggiato i 43 anni come fosse una cifra tonda. A noi toccano i 100, i 150; quelli, giovanotti, fuochi d’artificio per i 43. Dov’eri tu, a 43 anni? Io non me lo ricordo, c’è solo il presente. Questa terra, passato non ne ha. Cerano una volta i nomadi, i villaggi pop-up. Li hanno sospinti verso le città, fatto loro credere che quegli insediamenti nel deserto fossero abitati da fantasmi. Sono venuti a Sharjah, alle sue lagune artificiali, al lungomare illuminato dai neon e dalle insegne del «Pizzaro». A cui vorrei dire, come anche a ogni ristoratore italiano di New York, Brasilia, Brno: noi italians non cominciamo MAI la cena intingendo il pane nell’olio. Quand’è che ve lo siete sognato e vi siete accordati per rifilarcelo?
Invece proseguo per Dubai, che mi esplode sotto gli occhi come un bambino con l’ormone della crescita fuori controllo. I giornali locali parlano di crisi, del petrolio (che tanto qui è ormai finito) ai minimi storici, della Borsa che precipita, ma questi si sono messi al riparo, facendo shopping all’estero: vedi sopra, banche, squadre, compagnie aeree. Giocano.
Passo la sera nel Dubai Mall aspettando che ogni mezz’ora parta la danza delle fontane. Accade nel lago davanti alla torre dell’Armani hotel. Mi ricorda quando, la scorsa estate, me ne stavo a Yellowstone aspettando ogni ora l’esplosione del geyser Old Faithful. Quello era un fenomeno naturale. Questo puro artificio che, eccolo lì, divampa sulle note di Thriller. Se Sharjah era il primo passo dopo le città fantasma, Dubai crede di essere l’ultimo, ma non ha fatto il conto con Abu Dhabi, la capitale amministrativa e finanziaria. Cercavo una sineddoche per raccontarla, una parte che spieghi il tutto e me l’hanno indicata Castellino & Scamarcio: Ferrari Worid, il parco divertimenti ispirato all’auto di Maranello. È lì che noi «italians» andiamo. Su un’isola artificiale (Yas Island), parcheggiando nel più grande mall della regione (Yas Mali), tra giochi d’acqua e di neve, una spiaggia che non dovrebbe esserci e una montagna che esistere non può. Abbiamo portato fin qui un’idea di contrabbando della vita stessa. Saliamo su una finta Lancia Aurelia che si muove su una rotaia e ci propone un «viaggio in Italia», quella della dolce vita, della grande bellezza, così corrotta che nun je batte più er core da decenni, ma la vendiamo comunque, perché c’è sempre chi abbocca.
Questi emiri, per esempio, che hanno salvato la nostra compagnia di bandiera e salveranno qualche nostra squadra. Sventoleremo il loro tricolore e scambieremo la nostra millenaria esistenza con 43 anni, più che ben spesi, ben comprati. Noi, abbiam saputo soltanto venderci. Il petrolio è finito, ma gli sceicchi no. Spendi spandi effendi, cantava quel genio di Rino Gaetano. Hanno avuto un’idea di sé, nemmeno originale: banche, finanziarie, tassi alti e tasse zero. Si chiama Svizzera d’Oriente, quel che un tempo era il Libano.
Mentre ceniamo sulla parte pendente dell’Hyatt Capital Gate, gemellato con la torre di Pisa, chiedo a mio fratello se si ricorda del Terzo uomo. Dice: «Che cosa c’entra ora?». Gli ripropongo la famosa battuta: «In Italia, sotto i Borgia, per trent’anni hanno avuto guerre, terrore, assassini, massacri: e hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera, hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e cos’hanno prodotto? Gli orologi a cucù». E allora, domanda. Dico: «Qui è più o meno la stessa cosa. Egiziani, libanesi, siriani: morte, distruzione, guerre civili. Ma anche piramidi, bibbie, arte e architettura. Gli emirati: deserto, pace, ricchezza sconfinata e che cosa ne hanno ricavato? Il luna park della Ferrari».
Lui guarda l’autostrada che romba trentatré piani più sotto e dice: «Sei sicuro che non sia meglio così?».