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 2014  dicembre 16 Martedì calendario

BANDITI, MAFIA, PIANI FOLLI. COSÌ NAUFRAGÒ IL SOGNO DI UNA SICILIA AUTONOMA

Alfio Caruso ripercorre, in Quando la Sicilia fece guerra all’Italia (Longanesi editore, pagg. 320, euro 17,60) gli anni di crisi, di turbolenza e di sangue che segnarono per una decina d’anni -prima e dopo la disfatta militare- la vita del nostro Paese. E in particolare ripercorre la vita e le morti dell’isola che dal nostro Paese voleva distaccarsi. Un’isola volubilissima ma anche fedelissima, nella terminologia di Caruso, al Pus, Partito unico siciliano. Composto dai cento cognomi e dai cinquanta nomi che «in difesa della propria convenienza hanno da sempre tradito e calpestato le giuste aspettative dei corregionali». Un turbinìo di intrecci vergognosi e mafiosi, un avventarsi di sciacalli su una terra che pareva essere diventata di nessuno, o di tutti.
Dai vagiti dell’indipendentismo, nel 1942, si arriva con questa narrazione alla fine sua e del suo più feroce interprete, Salvatore Giuliano. Un arco di tempo relativamente breve e densissimo di avvenimenti. «A fine luglio ’50 - cito Caruso - il quarto congresso del Mis anticipa la clamorosa sparizione del Movimento indipendentista che alle elezioni regionali dell’anno seguente non sarà capace di conquistare alcun seggio. Ucciso Giuliano non ci sono più banditi da perseguire nell’isola. I mafiosi? Quelli sono amici da tenersi cari».
Tutto si è svolto sotto il segno dell’ambiguità, dell’inganno, se necessario della ferocia. Campione primo dell’indipendentismo, ma anche dì un girellismo radicato nella tradizione, fu Andrea Finocchiaro Aprile, enfant prodige della politica d’antan recuperato, dopo una parentesi afascista piuttosto che antifascista, agli onori secessionisti. Finocchiaro Aprile era stato sottosegretario, alla guerra e alle finanze, nei governi Nitti. Riemerse dall’oblio quando le sorti della Seconda guerra mondiale volsero al peggio e molta nomenklatura siciliana ebbe aneliti di libertà. Nel giugno del 1943 Finoccharo Aprile creò un Comitato di resistenza passiva al fascismo trasformatosi presto in Movimento Indipendentista siciliano, Mis. Fu per questo arrestato brevemente, d’ordine del governo Bonomi. Scarcerato, non rinuncerà a tessere le sue trame tenebrose.
La Sicilia era disseminata di cadaveri, Salvatore Giuliano ordinava ammazzamenti atroci anche se continuava ad avvolgerlo un’aureola da Robin Hood mediterraneo, il ragazzo generoso che s’è dovuto dare alla macchia dopo l’uccisione fortuita d’un carabiniere ma che ama il popolo. Nemmeno l’eccidio di Portella della Ginestra cancellerà del tutto quell’alone. Nel periodo torbido della luogotenenza del principe Umberto la Sicilia preoccupa De Gasperi -disposto a eccessive concessioni autonomistiche- anche se al fianco dello statista trentino si sta affermando un siciliano di ferro, Mario Scelba. L’indipendentismo brancola -ma a Roma non ne tengono abbastanza conto- non ha una strategia o piuttosto ne ha troppe. Innalza la bandiera dell’anticomunismo ma Finocchiaro Aprile ha la tentazione di flirtare con il Pci. Determinante nel togliere credito e truppa al Mis è il progressivo abbandono degli angloamericani. Gli Usa, che per bocca dei mediocri italoamericani parevano favorire l’aggregazione della Sicilia agli Usa, hanno fatto marcia indietro. Il vessillo della Trinacria viene progressivamente ammainato.
Caruso è bravissimo nel seguire e descrivere il groviglio dei disegni, per lo più forsennati e deliranti, e l’agire dei personaggi. Fermo restando lo spaventoso sigillo di sangue posto su queste storie siciliane. A un certo punto, in uno dei suoi tanti trasformismi, l’indipendentismo s’è scoperto monarchico. Finocchiaro Aprile incontra il principe di Castelcicala, gentiluomo di corte di Umberto, e in un memorandum gli suggerisce le modalità d’una alleanza tra il luogotenente e il Mis.
Costituire un governo al di fuori del Cln e scegliere elementi indipendentisti per creare lo Stato di Sicilia da federare con lo Stato italiano. «Il Mis desisterebbe dalla propaganda antimonarchica e favorirebbe l’elezione del Principe di Piemonte a re di Sicilia. Si potrebbe così avere un’unione di Stati confederati e quindi un Re d’Italia contemporaneamente Re di Sicilia, di un Paese cioè che ha una tradizione monarchica otto volte secolare. La dinastia dei Savoia salverebbe la corona di Sicilia in caso di prevalenza in Continente delle correnti estremistiche». La storia rivoltata come un calzino. La Sicilia con un re degli odiati Savoia, un connubio bizzarro di due troni tradizionalmente ostili. Non se n’è fatto niente, e secondo me è molto meglio così.