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 2014  novembre 27 Giovedì calendario

NON SIAMO AVANZI


Tu. Proprio tu, single, dai 27 anni in su, giovane e libera, emancipata e indipendente. Tu, istruita e ben educata, con un bel lavoro, senza fede al dito, sappi che nella Repubblica popolare cinese, anche se indipendente ed emancipata, non saresti altro che una donna scarto, un avanzo della società. In parole povere: una zitella. Le donne scarto, shenghu, termine cinese coniato dalla All China women’s federation e che il ministero dell’Educazione cinese ha aggiunto al lessico ufficiale, in Cina sono quelle donne non più ventenni, non sposate, non fidanzate e che non hanno fatto figli per la grande madre patria. Sono considerate una vergogna per le famiglie e per il governo, che le vuole maritate per evitare un problema non di poco conto. Per colpa della politica del figlio unico, infatti, introdotta nel ’79, e dell’aborto selettivo che ne consegue, la ormai prima potenza commerciale al mondo oggi deve risolvere un disastroso disequilibrio sociale. Secondo i demografi nascono circa 117 neonati maschi contro 100 neonate femmine, quando la media mondiale è di 104 a 100.
Venti milioni di uomini in più, insomma. Una manna, direste voi. Un disastro, dicono loro, che invece vogliono lavorare, studiare, viaggiare e vivere nella singletudine spensierata, e che invece sentono una pesante pressione sociale. Ma la Cina di oggi, come ogni dittatura, oltre a una facciata tradizionalista e conservatrice che vuole le donne sposate a 20 anni, ne mostra anche un’altra. Quella del boom consumistico, dell’apertura al capitalismo, della svolta green e dell’indipendenza femminile.
Secondo la rivista Forbes, 11 delle 20 selfmade women più ricche al mondo sono cinesi, e il 19 per cento delle donne cinesi in posizioni dirigenziali sono amministratori delegati, ovvero la seconda percentuale più alta di tutto il mondo (dopo il 30 per cento della Thailandia). E così capita che a Pechino, non lontano dagli istituti dove si insegnano le buone maniere soprattutto alle piccole donne in età da marito (ad esempio come sbucciare un’arancia), vada in scena la rivincita delle rivincite, I monologhi delle zitelle. Nella capitale, lo spettacolo teatrale in questione è stato rappresentato, visto il successo, nell’ambasciata polacca, al 77 Theatre nell’hub creativo nel cuore cittadino, il Meridian space. I monologhi, nati da un libro che raccoglie più di cento interviste a donne e uomini del Celeste impero, rappresentano la versione cinese de I monologhi della vagina di Eve Ensler. «Ne ho sentite tante», spiega l’autrice del libro e dello spettacolo, la giornalista e scrittrice americana Roseanne Lake, «storie tristi, emozionanti, agghiaccianti, tragiche e altre assolutamente divertenti. Per me era impossibile trasmettere tutte le sfumature in un libro, per questo è nata l’idea di una rappresentazione. Sentivo che queste donne avevano bisogno di condividere pubblicamente e creare consapevolezza su tematiche che la società cinese trascura e vuole trascurare. Certo, sul palco, di fronte a 300 persone, non era facile. Ma, oggi, queste donne cinesi non possono più essere fermate». Le abbiamo incontrate.
Yolanda
Trentenne, capello lungo e lucente. Laureata al César Ritz college in Svizzera e alla Manchester University, ha un debole per Via col vento, fa sport ogni giorno e sogna un matrimonio semplice, intimo e romantico. «Che lavoro faccio? Difficile dirne uno soltanto. Sono sales manager per l’Accor China regional office, membro e cofondatrice di www.leaninbeijing.com (associazione che incoraggia le donne a raggiungere il successo), caporedattrice per il magazine online». Nata in Mongolia, poi trasferita a Pechino, è stata nel Regno Unito, in Svizzera, Francia, Stati Uniti, ma ama la capitale cinese: «Per me resta la città migliore perché è internazionale e piena di opportunità», dice. Sogna di fare qualcosa che le piaccia davvero, «magari diventare imprenditrice, ma seguendo i miei valori e aiutando le persone che mi sono vicine a realizzarsi. Il termine “donna scarto” per me è un complimento: significa avere una posizione di prestigio, essere istruita e soprattutto in grado di raggiungere obiettivi come donna, non solo facendo la moglie o la madre. Oggi, in Cina, tante vogliono vivere per come sono realmente, essere motivate e seguire modelli come Sheryl Sandberg (direttore di facebook, fra le 100 persone più influenti al mondo per Time, ndr)».
Carol
Elegante nel suo vestito nero, occhi vispi, pelle luminosa. Studia Marketing, i 27 li ha superati ormai da quasi dieci anni, va pazza per i film di Woody Allen.«Sono nata e ho vissuto a lungo in Cina, ma ho studiato e lavorato a New York per oltre dieci anni», dice. «La gente qui in Cina ci chiama “tartarughe di mare”: per i cinesi sono tutti quelli che ritornano a casa da oltreoceano con qualche shock culturale, un po’ come me. Come ci si sente a vivere qui? La Cina è casa. Mi sento molto più connessa, non sono una turista. Ma indubbiamente qui ci sono molte sfide, e una delle più difficili è rimanere single e scontrarsi con una cultura tradizionalista. Al matrimonio non ci penso», sorride. «Nella vita voglio solo essere felice. Amare e condurre una vita sana, tutto qui». Non sopporta il termine shenghu, che considera pieno di discriminazioni. «Se c’è una cosa che ho imparato vivendo a New York, è proprio a non mettere etichette. Nella Repubblica popolare cinese essere zitella è quasi una vergogna, ma posso garantire che molte mie amiche non sposate sono persone favolose. È solo che non abbiamo trovato la persona giusta al momento giusto. Di chi è la colpa? Il governo cinese certamente non rende semplice la vita delle ragazze. Ad esempio, essere una ragazza madre è complicato, soprattutto per il riconoscimento del bambino. Per non parlare del sesso prima del matrimonio, tema su cui la Cina è assolutamente conservatrice. Salvo poi offrire pillole contraccettive senza ricetta sugli scaffali delle farmacie».
Kirsty
Taglio corro, occhiali da prima della classe. Ventiquattrenne, è in piena età da marito, vivace, curiosa, piena di idee. Il libro preferito è quello che ancora deve leggere, il film quello che ancora deve vedere, stesso discorso vale per l’amore. Laureata in Economia, specializzazione in Mercati internazionali, esperienze lavorative con grandi agenzie di marketing. Pechinese doc da tre generazioni, non è andata all’estero per abitudine, e per la famiglia. «Matrimonio? Non ci ho mai davvero pensato. Però credo molto nei voti che ci si scambiano. Quando e se sarà, li manterrò per sempre e li appenderò in soggiorno. E al posto di un matrimonio cinese e super tradizionale ne farò uno all’occidentale. Nella vita vorrei viaggiare ovunque, e poi trovare un posto dove fermarmi», spiega convinta. «Sai perché non è bello il termine shenghui Perché vuol dire “non voluta da nessuno”, che fa tanto sedotta e abbandonata. È facile far credere alle donne che sono sbagliate e inculcare il senso di colpa perché siamo single. Ma non è solo una questione di terminologia, il linguaggio descrive i cambiamenti di una cultura e mostra un fenomeno che in Cina inizia a diventare molto preoccupante».