Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  novembre 25 Martedì calendario

L’AMERICA E IL VASO DI PANDORA DELLA JIHAD

Le Nazioni Unite calcolano che la guerra civile siriana abbia fatto 200 mila morti, 7 milioni e 200 mila sfollati, i profughi interni, e 3 milioni e 300 mila profughi in altri paesi. Un bilancio immane, che si somma a quello iracheno, dopo che il confine fra i due stati è stato cancellato dal sedicente califfato. Un simile bilancio costringe a interrogarsi ancora sulla passività internazionale durante i tre anni e mezzo del conflitto siriano.
Non è la storia fatta coi se, che pure è un esercizio stimolante. Ci sono casi in cui l’ipotesi su ciò che poteva (doveva) esser fatto, e non si è fatto, è estremamente nitida e reale. È così per il mancato bombardamento alleato di Auschwitz; per l’inerzia complice con cui nel 1944 l’Armata Rossa stette a guardare la repressione della rivolta di Varsavia dall’altra sponda della Vistola; per l’indifferenza universale, e soprattutto dell’America di Clinton (che poi, come succede, se ne scusò), di fronte al genocidio ruandese; e tante altre volte. Il fatto è che l’omissione, l’inazione, può essere gravida di conseguenze, e moralmente compromettente, quanto la smania interventista. Obama non l’aveva immaginato. Aveva pensato, si direbbe, che per riparare ai danni dell’interventismo Bush-Blair bastasse fare a ritroso i loro passi: ritirarsi dove erano avanzati, in Iraq soprattutto e in Afghanistan. Nell’Iraq sunnita, il vuoto lasciato dal ritiro è stato riempito da Al Qaeda e poi dall’Isis, che hanno avuto gioco facile nel fare strage dei capi tribali che avevano confidato nell’alleanza con gli americani. E hanno avuto il tempo dalla loro, perché gli americani e la loro intelligence hanno per un tempo lunghissimo fatto finta di non accorgersene, pur di continuare a vantare il merito del ritorno a casa.
È lo scenario che si ripresenta oggi in Afghanistan, e che l’amministrazione Usa cerca di rattoppare. In Siria Obama non aveva truppe da richiamare: gli bastava stare fermo, non fare. Deve aver creduto di guadagnarsi così quel Nobel per la pace preventivo. Gli effetti si sono aggravati a dismisura, al punto che la stessa dismisura è diventata l’alibi per continuare nell’omissione: mancavano ormai i buoni da appoggiare. Eppure i cattivi erano così cattivi da bastare, e infatti è successo, quando l’Isis ha cancellato le frontiere, varato lo show delle decapitazioni, e minacciato gli ultimi caposaldi di un fronte antijihadista.
Fine dell’illusione dell’inazione, ritorno all’azione, ma con cautela, con la mezza misura. Gli effetti: a parte i morti (la geopolitica li mette a parte i morti) quei milioni di sfollati e profughi sono altrettante onde d’urto che vanno a depositarsi altrove. Da noi sudeuropei è arrivata solo la risacca, sufficiente già a far impennare le azioni degli xenofobi nemici dell’Europa e amici di Putin (e di Pyongyang!). Quelli che dicono: bisogna aiutarli a casa loro. A casa loro vengono trucidati e braccati. Quando a casa loro hanno cercato una loro libertà, i nostri demagoghi hanno simpatizzato coi protettori dei loro aguzzini.
Un intervento tempestivo in Siria avrebbe permesso di destituire Assad e favorire un governo di unità fra esponenti meno compromessi del suo regime e ribelli democratici. L’inerzia che ha fatto incancrenire il terrore ha offerto un riferimento agli jihadisti di tutto il vicino oriente, e ha anche persuaso Putin – platealmente dopo l’ultimatum sulle armi chimiche – di poter agire impunemente, certo di un atteggiamento imbelle, si dice così, di Obama, per non dire dell’Europa. La Crimea e le minacce ai paesi baltici hanno lì una loro radice.
Obama si è illuso di rimettere dentro il vaso di Pandora i mostri che ne erano fuggiti. È probabilmente un uomo in buona fede. Deve costargli molto ammettere che l’esportazione armata della democrazia di Bush jr possa fare altrettanti danni, ed essere altrettanto immorale, del suo programma di ritirata universale. Ha licenziato il suo segretario alla difesa. Chissà se ha licenziato una parte di sé.