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 2014  novembre 25 Martedì calendario

QUARANT’ANNI FA LA TV CONDOMINIALE CHE CAMBIÒ L’ITALIA

Eleonora Brigliadori e l’Intervistatore Mascherato alias Giorgio Medail, il «Frittomisto» incensurato dei Gatti di Vicolo Miracoli e Barbara D’Urso pressoché teenager, arrivata in studio al seguito del suo boyfriend di allora, Memo Remigi, quando ancora si chiamava Maria Carmela. Il «Chewing Gum» di Claudio Cecchetto, registrato nelle cantine di un bar di Milano 2. La Sabina Ciuffini post «Rischiatutto». Un prete similbattista. E soprattutto Diego Abatantuono magro magro e Giorgio Faletti con baffi, allo sbaraglio nel kindergarten dei cabarettisti: non ancora con i tempi comici a punto, ma così giovani e naïf che ti commuovi.
L’epoca pionieristica di Telemilano 58, prima creatura catodica berlusconiana e dunque antenata di Canale 5, torna a galla per due motivi. Perché sono passati quarant’anni dal primo germe dell’impero, e cioè dall’inizio delle trasmissioni via etere dopo gli esperimenti via cavo. E perché la rivista «Link», prodotta da un think-tank Mediaset e diretta da Fabio Guarnaccia, ne rievoca temi, logiche e personaggi con scritti, tra gli altri, di Aldo Grasso, Peppino Ortoleva, Paolo Morando; e soprattutto allegando un mirabolante dvd di cui non si sa come abbiamo finora fatto a meno, sociologicamente rivelatore sugli anni fra impegno e riflusso, e rutilante di tesori dall’era di Goldrake e dei mobili Grappeggia.
Tutto comincia con Giacomo Properzj e Alceo Moretti che s’inventano Tele Milano Cavo, sulla scorta di Telebiella e dei primi esperimenti italiani, e la cedono a Silvio Berlusconi. All’inizio TeleMilano 58 non è che un benefit per gli abitanti di Milano 2, quartiere cablato: un piccolo notiziario, film, cronache di avvenimenti sportivi locali, embrioni di trasmissioni culturali.
Il fenomeno lievita e cambia di caratura nel 1976, con la sentenza della Corte Costituzionale che liberalizza l’etere. L’antenna viene issata sul grattacielo Pirelli e l’altra tivù arriva su tutti i teleschermi milanesi. Racconta uno che c’era, Francesco Malaspina: «Appena arrivati sul Pirellone abbiamo messo in onda i cartoni di Betty Boop. Servivano a occupare il canale, perché ai tempi non c’era la certezza di avere le concessioni ministeriali. Trasmetti qualcosa, così è tuo. Si chiamava diritto di preutilizzo».
Nella grande prateria è il trionfo dell’arte di arrangiarsi. Nasce Rete Italia e comincia a scatenarsi negli acquisti: la prima acquisizione bomba è quella di seicento film Titanus. La raccolta pubblicitaria? Prima ancora di Publitalia, è una faccenda parecchio folkloristica: «Carlo Bernasconi mi ricevette al Jolly Hotel di Milano 2 – ricorda Pier Carlo Pospi, responsabile della pubblicità di TeleMilano – e mi mise in mano un sacchetto con cento gettoni telefonici. Tu hai tanti contatti nel ramo, mi disse, comincia a chiamare».
Gli studi sono minimali, il piglio scatenato, e in assenza di ospiti l’aiuto scenografa funge da testimonial per la trasmissione sui brufoli. C’è molta «modernità», come piaceva al Dottore contro i paludamenti in stile ministeriale della Rai, ma anche, al di là dei pregiudizi e delle derive a venire, seni non rifatti, facce poco truccate, parecchio garbo.
Sì, certo, anche le battutacce sulla scarsa avvenenza di Tina Anselmi o sui «nègher»: ma erano anni in cui a nessuno sarebbe venuto in mente di unire alla parola «politicamente» la parola «corretto».
Rievoca Jerry Calà: «Non so se fosse una leggenda metropolitana, ma allora ci avevano detto che se la piccola Marina si fosse divertita con le nostre battute: era fatta». Aggiunge Pierluigi Ronchetti, allora direttore dei programmi, poi al vertice di TV Sorrisi e Canzoni: «Berlusconi era onnipresente in studio, consigliava il colore delle cravatte, scoraggiava l’uso delle barbe. Alle annunciatrici Antonella Vianini e Fabrizia Carminati suggeriva la postura: il mento un po’ più in alto, la spalla un po’ più girata… C’erano Piero Mazzarella, Ambrogio Fogar, Bruno Longhi, Massimo Inardi, Daniela Poggi, Claudio Lippi. Il salto di qualità nel ’78 con Mike Bongiorno, arrivato dalla Rai con un compenso moltiplicato per 20, che aveva un carattere difficile ma che c’insegnò che il lavoro veniva prima di tutto. Lo ricordo come un momento di assoluta creatività, la stessa innocente goliardia di Arbore e Boncompagni o di Benigni. Poi, col rapimento Moro tutto subliminalmente cambiò perché cominciammo a capire che dovevamo stare sull’attualità ».
Egle Santolini, La Stampa 25/11/2014