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 2014  novembre 25 Martedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LA CAMERA APPROVA IL JOBS ACT


REPUBBLICA.IT
ROMA - La Camera dà l’ok al ddl delega sul lavoro e, contemporaneamente, va in scena la nascita ufficiale della corrente dei dissidenti del Pd.
Con 316 sì e 6 no, l’aula della Camera ha approvato il Jobs act, senza far ricorso al voto di fiducia, e con modifiche rispetto al testo del Senato. Il provvedimento torna adesso a Palazzo Madama per il via libera definitivo. L’ala dura della minoranza Pd si è divisa fra chi ha votato contro e chi, la maggior parte, non ha partecipato al voto, insieme all’opposizione: i deputati di Sel, Movimento 5 Stelle, Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia hanno infatti lasciato l’emiciclo di Montecitorio prima del voto, nel tentativo (non riuscito) di far mancare il numero legale.
Secondo quanto risulta di tabulati del voto in Aula, 40 deputati del Partito democratico (su un gruppo di 307 componenti) non hanno votato il Jobs act, 2 hanno detto no al testo, altri 2 si sono astenuti. I no sono quelli di Giuseppe Civati e Luca Pastorino. Astenuti i civatiani Paolo Gandolfi e Giuseppe Guerini. Dei 40 deputati che non hanno partecipato al voto, 6 sarebbero assenti "giustificati" (Marco Di Stefano, Francantonio Genovese, Simonetta Rubinato, Rosa Villecco Calipari, Francesca La Marca, Enrico Letta). Quindi, facciamo i conti: 34 sono usciti dall’Aula, 2 hanno votato no, 2 si sono astenuti: la ’fronda’ dei dissidenti democratici ammonta in totale a 38 deputati.
Inoltre 29 dei 34 deputati che non hanno partecipato al voto - tra cui Gianni Cuperlo, Rosy Bindi, Alfredo D’Attorre, Stefano Fassina e Francesco Boccia - hanno firmato un documento per spiegare le ragioni del dissenso. Subito dopo il voto hanno ’battezzato’ ufficialmente la nascita della corrente dissidente in una conferenza stampa a Montecitorio. "Siamo accomunati da senso di responsabilità - ha spiegato Gianni Cuperlo - ma abbiamo messo al centro il merito. Paura di andare contro lo Statuto del Pd? Confidiamo nelle nuove regole sul licenziamento disciplinare...".
Quanto agli altri partiti, hanno votato no rimanendo in Aula anche Francesco Saverio Romano di Forza Italia, Claudio Fava (ex Sel, ora Misto), Mauro Pili (ex Pdl, ora Misto), e Mario Sberna (Per l’Italia).
Tra le modifiche più significative che hanno in parte ridisegnato la delega così come uscita dal Senato, quelle che riguardano l’articolo 18, frutto dell’accordo tra il governo e la minoranza Pd. A Montecitorio è stato approvato un emendamento che esclude la possibilità di reintegro per i licenziamenti economici e la prevede per i licenziamenti discriminatori e per alcune fattispecie di licenziamenti disciplinari. Per i licenziamenti economici è previsto solo un indennizzo crescente al crescere dell’anzianità. Arrivano inoltre tempi certi per l’impugnazione del licenziamento.
SCHEDA - Tutte le norme del Jobs Act
La spaccatura nel Pd. Dopo una mattinata convulsa, la minoranza dem è stata a lungo indecisa sul da farsi. La scelta era fra astensione e voto contrario. Gianni Cuperlo ha rimarcato la posizione della ’fronda’ dei ventinove: "Non ci sono le condizioni per il sì. Il punto a cui si è arrivati - ha sottolineato - non è soddisfacente. Il problema non è come licenziare, ma come assumere". E Fassina: "Non voteremo per questa delega. Non saremo un gruppo sparuto, ma un numero politicamente impegnativo. E non temiamo conseguenze disciplinari".
A nulla è valso l’appello in extremis a ritrovare l’unità del presidente del partito Matteo Orfini: "Abbiamo raggiunto una larghissima unità sul testo, spero che per rispetto della discussione fatta, dei cambiamenti apportati, del lavoro di ascolto reciproco e della nostra comunità, si voglia fare tutti un ultimo sforzo in Aula".
Mentre Pier Luigi Bersani ha invitato a non drammatizzare il dissenso e ha dichiarato di votare sì per disciplina: "Siamo davanti a dei miglioramenti indiscutibili, di cui bisogna ringraziare i membri della commissione. C’è però un imprinting iniziale di queste norme - ha spiegato - che non convince. Il mio caso è il caso di uno che per la parte che condivide, voterà con convinzione. Per quella che non condivide, e continua a non condividere, voterà per disciplina, come si conviene a uno che ha fatto il segretario per quattro anni e che vuole ribadire che i legni storti si raddrizzeranno solo nel Pd, da nessuna altra parte".

IL JOBS ACT
MILANO - Reintegro per i licenziamenti disciplinari e discriminatori, stretta sui controlli a distanza e indennizzi più alti per i lavoratori che rinunciano alla causa nei confronti dell’azienda. E ancora ammotizzatori sociali per tutti ed estensione del diritto di maternità. Sono i paletti contenuti nella legge delega sulla riforma del Lavoro, il Jobs Act, approvata dalla Camera che adesso torna al Senato per il via libera definitivo. Subito dopo inizierà la stesura dei decreti attuativi che daranno la forma finale al provvedimento.

Cambiano cassa integrazione e ammortizzatori sociali.

E’ il cuore della riforma promessa da Renzi: una serie di modifiche a costo zero perché gli ammortizzatori sociali verrebbero finanziati dalla progressiva scomparsa della cassa integrazione in deroga. L’acronimo scelto per il nuovo ammortizzatore è Naspi: un sussidio di disoccupazione universale per tutti coloro che perdono il lavoro, compresi i circa 400mila collaboratori a progetto che oggi non hanno alcun sostegno. Il sussidio spetterà a tutti coloro che perdono il posto e hanno lavorato almeno tre mesi. Anche in questo caso i dettagli saranno elencati dai decreti attuativi, ma nelle intenzioni del governo la Naspi durerà la metà dei mesi lavorati negli ultimi 4 anni per un massimo di due anni; al massimo sei mesi, invece, per gli atipici (nella presunzione che oltre l’anno di lavoro si configuri un contratto di lavoro subordinato e non una semplice collaborazione). L’entità del sussidio sarà per tutti nell’ordine dei 1.100-1.200 euro mensili all’inizio del periodo di copertura per poi calare fino a 700 euro. E’ possibile che due anni non bastino a trovare lavoro: l’idea è quindi quella di aggiungere un assegno di disoccupazione a tutela di chi esaurisce la Naspi: un sussidio che dovrebbe essere garantito solo a chi si trova in condizioni di effettivo bisogno sulla base dell’Isee. Le risorse andrebbero reperite nella razionalizzazione della Cassa integrazione ordinaria e straordinaria, mentre la Cassa in deroga verrebbe progressivamente assorbita nel Naspi.

Contratto unico di lavoro a tutele crescenti e articolo 18.

Un’altra riforma a costo zero è la riduzione della giungla dei contratti di lavoro: oggi ne esistono almeno 40. L’idea è di arrivare al contratto unico a tempo indeterminato e a tutele crescenti. Contestualmente alla riforma degli ammortizzatori sociale viene completamente superato l’articolo 18: scompare il diritto al reintegro per i licenziamenti di natura economica, mentre resta per quelli discriminatori e per alcune fattispecie di quelli disciplinari. Nel primo caso il lavoratore avrà diritto solo a un indennizzo crescente con l’anzianità aziendale. Il governo, poi, vorrebbe garantire "buonuscite" più ricche per chi rinuncia ad aprire un contenzioso con il datore di lavoro. I decreti attutativi dovranno chiarire quando un licenziamento sarà per motivi economici: andrà spiegato se le difficoltà economiche dovranno essere legate all’azienda che licenzia, oppure basterà una contrazione del mercato di riferimento della stessa. E, ancora, come si dovrà giustificare la necessità di sopprimere una determinata funzione all’interno dell’impresa. Per quanto riguarda i licenziamenti discriminatori - motivati per esempio dal credo politico, religioso o dall’orientamento sessuale - le norme sono chiare: i lavoratori avranno sempre diritto al reintegro. Più complessa, invece, la situazione dei licenziamenti disciplinari: andranno definiti, infatti, quali comportamenti del lavoratore potranno essere sanzionati per evitare possibili abusi - sotto forma di minacce o ricatti - dei superiori. Insomma andranno tipizzati per ridurre al minimo i possibili contenziosi. Nei primi tre anni di contratto i risarcimenti sarebbero più bassi perché il lavoratore - a differenza di quanto avviene oggi - avrebbe immediatamente accesso al Naspi.

Dossier. Come si licenzia in Europa.


Agenzia unica e garanzia giovani.

Nel Jobs Act è previsto un nuovo codice del lavoro e l’Agenzia unica federale che servirà a sviluppare la "Garanzia per i Giovani" chiesta dalla Ue che ha invitato tutti gli Stati membri ad assicurare ai giovani con meno di 25 anni un’offerta qualitativamente valida di lavoro, proseguimento degli studi, apprendistato, tirocinio o altra misura di formazione, entro 4 mesi dall’uscita dal sistema di istruzione formale o dall’inizio della disoccupazione. In generale l’obiettivo è quello di offrire una risposta ai ragazzi e alle ragazze che ogni anno si affacciano al mondo del lavoro dopo la conclusione degli studi. Considerato lo specifico contesto italiano tale iniziativa prevede, inoltre, anche azioni mirate ai giovani disoccupati e scoraggiati, che hanno necessità di ricevere un’adeguata attenzione da parte delle strutture preposte alle politiche attive del lavoro.

Controllo a distanza.

Nella riforma del lavoro è previsto anche il riordino del controllo a distanza "sugli impianti e sugli strumenti di lavoro". Il tema è piuttosto delicato, perché il confine la violazione della privacy è molto stretto. Per il vicesegretario del Pd, Lorenzo Guerini, questo vuol dire che "non puoi mettere una telecamera sulla testa del lavoratore", sarà possibile, invece, utilizzare delle telecamere per controllare le linee produttive, ma non solo. Una rivisitazione del controllo a distanza potrebbe aprire nuovi spazi al telelavoro: attraverso la mappatura degli strumenti aziendali, infatti, potrebbe essere possibile verificare la posizione del dipendente. Come già succede oggi in alcune aziende che si occupano di manutenzione. I dettagli, però, verranno disciplinati dai decreti attuativi.

Maternità e ferie solidali.

La delega prevede l’introduzione universale dell’indennità di maternità e il diritto per le lavoratrici madri parasubordinate all’assistenza anche in caso di mancato versamento dei contributi da parte del datore di lavoro. Per contrastare la pratica delle cosiddette "dimissioni in bianco" sono previste "modalità semplificate per garantire data certa nonché l’autenticità della volontà del lavoratore in relazione alle dimissioni o alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro". Viene data, infine, ai lavoratori la possibilità di cedere parte delle loro ferie annuali retribuite a colleghi con figli minori malati gravi.