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 2014  novembre 04 Martedì calendario

IL PEZZO DI NAPOLETANO E QUELLO DI TRAVAGLIO SULL’ADDIO DI STEFANO FOLLI AL SOLE 24 ORE


ROBERTO NAPOLETANO, IL SOLE 24 ORE 4/11/2014 -
«Un giornalista politico può contare su circa millecinquecento lettori: i ministri e i sottosegretari (tutti), i parlamentari (parte), i dirigenti di partito, sindacalisti, alti prelati e qualche industriale che vuole mostrarsi informato. Il resto non conta, anche se il giornale vende trecentomila copie... Tutto il sistema è organizzato sul rapporto tra il giornalista politico e quel gruppo di lettori privilegiati... È l’atmosfera delle recite in famiglia, con protagonisti che si conoscono sin dall’infanzia, si offrono a vicenda le battute, parlano una lingua allusiva e, anche quando si detestano, si vogliono bene» (Enzo Forcella, Millecinquecento lettori, Tempo presente, giugno 1959).

Oltre mezzo secolo fa un uomo libero e maestro di giornalismo aveva capito tutto. Succede ai grandi che sono sempre pervasi di insicurezze ma spesso ci prendono molto prima. La nota politica con quell’atmosfera delle recite in famiglia e la sua lingua da iniziati, il salotto quotidiano dello scambio, appariva già vecchia a uno dei principi dell’informazione politica quale fu Forcella dal dopoguerra agli anni Settanta. Il principe moderno di questo salotto, Stefano Folli, il notista più di tutti dentro la politica e più di tutti distaccato dai politici, ha scelto di prendere un’altra strada (auguri Stefano di cuore) e, per rispetto a lui e a noi, abbiamo deciso di cogliere l’occasione per chiudere il salotto e il suo racconto quotidiano di una politica che appartiene al passato.
Abbiamo deciso di guardare al futuro e di provare a innovare il racconto della giornata politica italiana: lo faremo con una nuova rubrica quotidiana (politica 2.0) che guarda ai fatti e agli uomini di quel mondo, di volta in volta, con gli occhi dell’economia e della società o con quelli dei mercati e dell’Europa; all’occorrenza (Osservatorio) attraverso la lente della scienza esatta della politica e il suo carico di numeri che pesano nel tessuto civile di un Paese e ne misurano la capacità (reale) di cambiamento, fuori da populismi e infingimenti. Soprattutto lo faremo con le firme del Sole e dei suoi analisti e un certo modo rigoroso di fare informazione. Siamo certi che questo ci aiuterà a bandire i riti stanchi di una politica implosa e a recuperare sempre più un racconto fattuale dove politica, economia e società si intrecciano e l’esercizio della memoria può soccorrere.
Abbiamo innovato su tutto: un sistema solare di nove quotidiani digitali specializzati (dal fisco alla finanza) e un Sole 24 Ore con le sue sezioni che racconta l’Italia al mondo in inglese (Italy24). Siamo diventati il primo quotidiano digitale del Paese grazie a uno spirito identitario e a un metodo moderno che valorizzano la storia e i contenuti del nostro modo di fare informazione. Siamo certi che anche con la "nuova politica" si sentirà la forza di quella storia e di quella identità, la forza silenziosa di un giornale.

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MARCO TRAVAGLIO, IL FATTO QUOTIDIANO 7/11/2014
S’è accesa una folle polemica su Stefano Folli, il riportino più elaborato del notismo politico, che i birdwatcher paragonano al nido di cinciallegra, e sul suo trasloco dal Sole 24 Ore a Repubblica. E non per le malelingue che parlano di un atto di gratitudine di Ezio Mauro all’uomo che portò il Corriere, da direttore, al minimo storico (altrimenti Riotta, dopo la catastrofica direzione del Sole 24 Ore, ora dovrebbe dirigere ItaliaOggi). Ma per il velenoso saluto che gli ha dedicato il direttore del Sole, Roberto Napoletano: «La nota politica con quell’atmosfera delle recite in famiglia e la sua lingua da iniziati, il salotto quotidiano dello scambio, appariva già vecchia a Enzo Forcella nel ’59. Il principe moderno di questo salotto, Stefano Folli, ha scelto di prendere un’altra strada (auguri di cuore) e, per rispetto a lui e a noi, abbiamo deciso di cogliere l’occasione per chiudere il salotto e il suo racconto quotidiano di una politica che appartiene al passato». Una prece, ti sia lieve la terra.
Il De Profundis l’ha poi intonato Giuliano Ferrara, uno che riempie il Foglio di encicliche e bolle papali ma soprattutto antipapali: «La nota politica è una boiata pazzesca... pensosa e pomposa. Era utile quando i giornali servivano a forgiare l’opinione del notaio dell’Aquila, dell’avvocato di Verona... Oggi quel pubblico è scomparso o non conta. Il notista serve una specialità fuori menu. Cerca di fermare ciò che è mobile, di ancorarlo a vociferazioni prese con pinze rispettose dal Quirinale, potere sommo del vecchio sistema, col contorno di burocrazie giuridiche e parlamentari varie. Un documento del palazzo».
Noi, per quanto può valere, siamo con Folli. Non ci perdiamo una sua sillaba, un suo sospiro. Già i titoli delle sue note sono croccanti, avvincenti, frizzanti: “La legge elettorale e l’incognita del Quirinale”, “Matteo e il paradosso della corsa continua”, “Il pericolo della palude”. Slurp.
La sbarazzina testata della rubrica poi, trapiantata dal Sole a Repubblica, è quanto di più appetitoso si possa sognare: “Il punto”, astuto accorgimento per stimolare acquoline in bocca e succhi gastrici di chi spera di papparsi presto anche il punto e virgola, il punto-punto-e-virgola-due-punti-massì-abbon-diamo!, il punto fermo, il punto nero, il punto a capo, il punto croce. Vero che l’incipit della nota-punto è sempre un po’ diesel, come le vecchie limousine ad accensione lenta che d’inverno richiedono un piccolo tiraggio d’aria, senza esagerare per non ingrippare il motore.
Martedì, per esempio, il pezzo d’esordio su Repubblica, che si presume a lungo studiato, limato, levigato, leccato e rileccato per far buona impressione ai nuovi lettori e soprattutto al nuovo direttore, partiva così: «Un passo dopo l’altro, ci si avvicina ai passaggi cruciali...». Quel passo-passaggi nella stessa riga si poteva evitare col dizionario dei sinonimi. Idem per le scadenze che «si affollano», troppo influenzate dal cognome del notista (come se il suo dio-scuro del Pompiere della sera, Massimo Franco, scrivesse «sarò franco»: non sta bene). Ma basta resistere qualche riga, ed ecco subito i fuochi d’artificio folleschi: le prospettive di governo, l’agenda di fine anno, la vera incognita, le carte rimescolate, la migliore delle ipotesi, l’intesa pur solida, il tallone d’Achille, gli ostacoli insidiosi, le misure già in atto, lo stimolo significativo, il blocco sociale da consolidare, il dinamismo innovatore, fra le righe, i tasselli del mosaico, il profilo politico-istituzionale, le carte in mano, la stabilità di governo, l’uscita alla spicciolata, la falsariga, l’appoggio fermo e costante, il percorso delle riforme, il rischio di tensioni e veleni, e naturalmente la capacità di Napolitano di influenzare (quella non manca mai) dopo che è «uscito rinfrancato dalla prova più dura» e ha «rintuzzato la prova di forza» dei pm cattivi «contro gli equilibri costituzionali». De che? «Del Paese», ah ecco.
Mancano i problemi sul tappeto e le cause a monte, ma Folli ha appena nidificato: c’è tempo. Daje Stefano, noi a quel retrogusto fra la Madeleine proustiana e la Signorina Felicita gozzaniana non rinunceremmo per nulla al mondo. Era dai tempi di Costantino Nigra, di Liala e di Vittorio Orefice che non si godeva tanto.