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 2014  novembre 06 Giovedì calendario

QUANTI RICICLATI ALLA CORTE DI RE MATTEO


Dalla rottamazione al riciclo, il passo è breve. Soprattutto quando la panchina è corta, la classe dirigente manca e la corsa a salire sul carro, pardon, sul bulldozer del vincitore, è partecipata. È per questo che Matteo Renzi, nei primi mesi di governo, ha messo nel suo PdL, il Partito della Leopolda, una fila di «ex» che, in teoria, non apparterrebbero al Dna del renzismo tutto velocità e futuro, specie fra i renziani della terza ora o del quarto d’ora dopo, folgorati sulla via di Rignano in tempi molto sospetti.
Il capostipite è Dario Franceschini, ministro della Cultura nel governo Renzi, già segretario del Pd («vicedisastro» lo soprannominò Renzi quando divenne segretario al posto di Walter Veltroni) e già sostenitore di Pier Luigi Bersani nel 2012. Dunque: bersaniano, poi lettiano (ministro pure lì, ma per i Rapporti con il Parlamento), oggi renziano, anche se la verità è che Franceschini è sempre stato franceschiniano. Con lui, hanno cambiato verso quelli della sua corrente, AreaDem; da Antonello Giacomelli a Pina Picierno, oggi più renziana dei renziani, in prima fila contro il sindacato e perennemente in difesa degli 80 euro dati dal governo, a Federica Mogherini, che del premier diceva nel 2012: «Renzi ha bisogno di studiare un bel po’ di politica estera... Non arriva alla sufficienza, temo». E non parliamo di Roberta Pinotti, pure lei già franceschiniana di AreaDem, oggi ministro della Difesa. Marianna Madia, nonostante la giovane età (ha 33 anni), ha fatto in tempo a nascere veltroniana, poi a crescere dalemian-bersaniana, poi diventare renziana e quindi a sedere nel governo come ministro della Semplificazione e Pubblica amministrazione. Lapo Pistelli è stato l’avversario di Renzi alle primarie del 2009; sconfitto, si è ritirato a Roma, lasciando Firenze. Era già viceministro agli Affari esteri con Letta, ma Renzi lo ha confermato. Fino all’ultimo ha sperato in una promozione alla Farnesina. Per restare in quota Firenze, nell’esecutivo siede anche Riccardo Nencini, viceministro alle Infrastrutture; un tempo odiava il premier (che fece fuori una sua assessora all’epoca della giunta fiorentina).
Ma il vero cuore del passaggio dalla rottamazione al recupero, sta nel tasso di rutellismo del governo. Lo garantisce l’ingresso di Paolo Gentiloni, ex ministro delle Comunicazioni, dal 31 ottobre nuovo ministro degli Esteri al posto di Mogherini. Una nomina che corona così il sogno di Francesco Rutelli di una Margherita 2.0 (basta dare un’occhiata a governo e sottogoverno; da Luca Lotti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, a Roberto Giachetti, vicepresidente della Camera). Costretto agli accordi per avere una maggioranza parlamentare che sostenesse il governo, Renzi ha poi imbarcato i ministri dell’Ncd, come Angelino Alfano, che del profilo del rottamatore ha ben poco. Oppure prendete il viceministro della Giustizia, Enrico Costa, ex berlusconiano, o Cosimo Ferri, sottosegretario alla Giustizia, già presente nel governo Letta.
Negli ultimi mesi, poi, sono arrivati anche deputati extra Pd. Come Gennaro Migliore, ex capogruppo di Sel alla Camera, che già coordina tavoli alla Leopolda. Dentro il partito, invece, ci sono stati parecchi rimescolamenti, come già si è visto dalla trasformazione di AreaDem in quinta colonna del renzismo. Andrea Orlando, già giovane turco insieme a Matteo Orfini, si è separato da Stefano Fassina, oggi leader con Gianni Cuperlo e Pippo Civati della dissidenza interna. Fa il ministro della Giustizia, ma prima stava nel fronte antirenzista. Valeria Fedeli, oggi vicepresidente del Senato, al primo giro in Parlamento, eletta nel 2013, è stata sindacalista di peso della Cgil, ma alla Leopolda 5 sedeva ai tavoli e coordinava quello sull’industria. C’è poi la categoria dei renziani di ritorno, o meglio di riflusso, come Debora Serracchiani, che nel 2012 stava con Bersani dopo aver sostenuto la corrente che appoggiava, nel 2009, Franceschini. Oggi è vicesegretaria di Renzi al Nazareno. In questo caso, in fondo, una (ri)conversione ci poteva pure stare, visto che nel 2009 andò a Firenze con Civati e Ivan Scalfarotto a sostenere Renzi candidato sindaco e a lanciare un imprecisato patto generazionale. Più clamorosa è sembrata la folgorazione di Nicola Latorre, senatore, ex dalemiano, uno dell’Apparato.
E dall’Apparato, quello emiliano-romagnolo, è arrivato pure Stefano Bonaccini, candidato alle primarie farlocche del Pd per la presidenza della regione e dato da tutti, persino dagli avversari, vincitore scontato delle elezioni convocate per il 23 novembre dopo le dimissioni di Vasco Errani. Bonaccini, segretario del Pd regionale, non è uno qualunque, in Emilia. Era il luogotenente di Errani e di Bersani fino al congresso del 2013. Poi, a dicembre dell’anno scorso, ha aperto la strada a Renzi nella regione più rossa d’Italia, ed è stato premiato con una nomina a responsabile enti locali al Largo del Nazareno. Non è l’unico del gruppo Bersani ad aver preso una strada diversa. Alessandra Moretti, che insieme a Roberto Speranza e Tommaso Giuntella coordinava la campagna elettorale bersaniana del 2012, è diventata una ultrà renziana. Tanto da meritarsi la candidatura come capolista nella circoscrizione Nord-est alle Europee e la promozione a volto televisivo del renzismo (un modo per capire quando un parlamentare va molto bene alla causa renziana è la sua presenza in tivvù. Se ci va, significa che Renzi e i suoi ce lo mandano e ha la benedizione del capo, ma se improvvisamente non si fa più vedere, è il segno che la macchina è a fare il tagliando). E bersaniana era anche Alessia Morani, già responsabile Giustizia del Pd con Renzi segretario, che potrebbe essere candidata alle Regionali nelle Marche. Ultimo acquisto fra gli ex avversari, Paola De Micheli, che i renziani definivano un tempo in maniera sprezzante «l’amazzone di Letta». Venerdì scorso è stata nominata sottosegretario al ministero dell’Economia. Ma prima di lei, quando è stato formato il governo a febbraio, era arrivata, direttamente da Civatilandia, Maria Carmela Lanzetta, ex sindaco di Monasterace. Perché l’avversario prima si batte e poi si converte. Se non lui, quantomeno le sue truppe.

(ha collaborato Duccio Tronci)