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 2014  novembre 06 Giovedì calendario

IL «CAPPIO» DEBITO-RECESSIONE E IL PICCOLO AIUTO DEL MINI-EURO

In Italia il debito pubblico a fine 2014 si attesterà, secondo le previsioni della Commissione europea, al 132,2% del Pil. Sommando quello dei privati, il totale fardello per la Penisola – secondo le stime del Geneva Reports on the world economy – arriva al 352% del Pil. In Europa il debito pubblico è mediamente più basso (94,5% del Pil), ma quello totale è in linea con i livelli italiani (385%). Questa zavorra, pesante eredità del passato, si sta mangiando il nostro futuro: calcolano Vincent e Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, studiando la storia economica dal 1800 ad oggi, che quando il debito pubblico supera il 90% del Pil, lo Stato perde mediamente l’1,2% di crescita economica annua. L’Italia e l’Europa si sono infilate in un circolo vizioso. Perché – come un cappio che si stringe quando la vittima si agita – più aumenta il debito, più diminuisce la crescita. E viceversa.
Per uscire dal guado, direbbe il generale Lapalisse, ci sono due strade: ridurre il debito o aumentare il Pil. La prima è però molto difficile da percorrere, almeno per l’Italia, date le dimensioni del fardello: oltre duemila miliardi di debiti pubblici sono difficili da ridurre significativamente, a meno che non si affronti il tema spinoso (e dalle conseguenze imprevedibili) di una ristrutturazione. La seconda strada è preferibile, più "pulita", ma anche questa non è semplice da percorrere: secondo il Geneva Reports, nei 26 casi di alto debito e bassa crescita studiati dal 1800 al 2010 dai tre economisti, solo in due casi il Paese in questione ne è uscito facendo leva sull’aumento del Pil. C’è però una terza via: storicamente, il modo più veloce e utilizzato per superare questo impasse è quello di aumentare l’inflazione. Un piccolo toccasana in grado di "mangiare" poco per volta il debito pubblico e privato. E di rimettere piano piano la situazione a posto.
L’Europa, però, non sembra imboccare alcuna di queste tre strade. La riduzione del debito resta un vuoto obiettivo scritto nei patti, ma senza alcuna seria strategia per raggiungerlo. Tutte le discussioni su Eurobond e su varie forme di messa in comune dei debiti restano lettera morta. E le varie proposte per abbatterlo in maniera significativa restano nel campo dei tabù o dei desideri. Idem per l’inflazione: il mix tra il calo delle materie prime e i bassi consumi interni l’ha fatta sparire dai radar, e anzi sta spingendo i prezzi verso la disinflazione. O, peggio, verso la deflazione. La Bce ha il compito esplicito di riportare il caro-vita al 2%, ma lo scontro che sta emergendo tra i «falchi» e il presidente Mario Draghi lascia intendere che ci vorrà un po’ di tempo (e un ulteriore peggioramento della congiuntura) per azionare il famoso «bazooka» del quantitative easing.
Anche sul fronte della crescita l’orizzonte appare fosco. Proprio due giorni fa la Commissione Ue ha ridotto le stime per l’intero Vecchio continente, a partire dall’Italia. Del resto è difficile che l’economia cresca quando le politiche fiscali sono restrittive da anni (cioè le tasse aumentano), le banche fanno deleveraging (cioè riducono le attività e il credito) e la politica monetaria espansiva aiuta più gli Stati che meno ne avrebbero bisogno (per l’effetto perverso degli spread che tengono più alti i tassi nei Paesi in difficoltà). La speranza è che ora, grazie all’Unione bancaria, alle recenti manovre della Bce e grazie a un maggior sforzo per politiche di bilancio attente alla crescita, qualcosa cambi. Ma questa, per ora, è solo una speranza.
Per fortuna un piccolo aiuto sta arrivando da un insospettabile "cavaliere bianco": la Federal Reserve. La fine dei mega-stimoli monetari della banca centrale Usa sta infatti dando all’Europa un sollievo: il calo dell’euro. La moneta unica è il 6% più debole rispetto al cambio euro-dollaro medio dell’intero 2014. Il beneficio per l’economia è ovvio: calcola Paolo Mameli, economista di Intesa Sanpaolo, che se il cambio si "congelasse" su questi livelli, nel 2015 l’Italia avrebbe una crescita aggiuntiva di Pil dello 0,7% e l’Europa dello 0,5%. Non è tanto, ma finalmente almeno una delle variabili che fino a poco tempo fa remava contro l’Europa si sta invertendo. La speranza è che questo accenda una miccia per far partire un circolo virtuoso della crescita, sostenuto poi da banche ormai risanate e da una politica fiscale un po’ meno restrittiva. Il sentiero è in salita, ma bisogna percorrerlo.
m.longo@ilsole24ore.com
Morya Longo, Il Sole 24 Ore 6/11/2014