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 2014  novembre 06 Giovedì calendario

NOI IMPICCATI ALLA REDISTRIBUZIONE


[Francesco Forte]

Se il virus del fiscalismo è così diffuso in Italia, non è soltanto per ragioni storiche. Ma anche perché ha trovato terreno tuttora fertile. Per esempio, secondo l’ex ministro delle Finanze Francesco Forte, un aspetto che può averlo aiutato ad attecchire è il fatto che «nel nostro paese, come nel resto d’Europa, si sia via via radicato un pericoloso convincimento che mina le radici delle nostre società».
Professore, di quale convincimento si tratta?
È l’ingiustificata persuasione che per rilanciare la crescita, in un momento di difficoltà come l’attuale, basti tassare i capitali e ridistribuire il reddito tra i cosiddetti “ricchi” e i “poveri”. Mentre in realtà, così facendo, si finisce per vessare ulteriormente il ceto medio, che gradualmente si impoverisce. C’è un limite, infatti, oltre il quale la redistribuzione dei redditi non ha più alcun effetto se non quello di deprimere ulteriormente l’economia. A maggior ragione in un paese come l’Italia in cui il livello del prelievo fiscale ha già abbondantemente superato il 50 per cento del prodotto interno lordo.
È una strada che sta percorrendo anche l’esecutivo in carica?
È l’ideologia economica cui fanno riferimento il premier Renzi e il ministro Padoan, senza nasconderlo più di tanto. Quello che vorrebbero fare, infatti, è spostare la tassazione sui patrimoni e i consumi, sperando così di riuscire a rilanciare la crescita. Si dimenticano, però, dell’evidenza per cui non sono i consumi da soli a generare la crescita, bensì la produttività dell’economia nel suo insieme. E per rilanciare la produttività servono i capitali. Punto. Altrimenti non si va da nessuna parte. Dobbiamo creare le condizioni perché torni a formarsi il capitale. Senza contare, poi, che tassare patrimoni e consumi, dato il livello attuale dei redditi e della tassazione sul lavoro, non equivale ad altro che a erodere ulteriormente il potere d’acquisto della gente.
Ma il premier Renzi almeno ha annunciato tagli all’imposizione fiscale per 18 miliardi di euro.
Vedremo se sarà davvero così. Intanto, nella legge di stabilità 2015, è contenuta una disposizione che prevede di innalzare la tassazione sulle rendite finanziarie al 26 per cento, il che equivale a ridurre il valore reale dei patrimoni detenuti nelle banche. E poi l’esecutivo, riconfermando l’Imu e adottando la Tasi, ha sostanzialmente sposato l’idea di mantenere la patrimoniale sugli immobili introdotta a suo tempo dal governo Monti. Quando invece, se veramente Renzi volesse aiutare le famiglie a tornare a spendere, dovrebbe ridurre a un terzo o almeno dimezzare questo tipo di imposta, anziché mettere il Tfr in busta paga o regalare 80 euro di bonus Irpef solo ad alcuni italiani e non a tutti.
Ci sono altre forme di prelievo che minacciano l’economia reale?
Eccome se ce ne sono. Innanzitutto i costi indiretti connessi a una regolamentazione dei contratti di lavoro ormai sempre più pesante. Poi c’è la più gravosa di tutte le “tasse occulte”, che in questo paese è rappresentata da un certo modo di procedere della magistratura, la quale sta praticamente distruggendo ampie fette dell’industria italiana, come per esempio quella siderurgica. E non si tratta solo dell’Ilva di Taranto, un caso che tra l’altro si sarebbe potuto tranquillamente gestire mediante azioni giudiziarie di natura diversa, senza bloccare la produzione, sequestrando i beni e distruggendo così le certezze dell’economia di mercato.
A cosa si riferisce?
Mi riferisco in generale all’assurdo sistema di regole sugli appalti per la realizzazione di opere pubbliche e alla complessa normativa sull’anticorruzione, a causa della quale si rischia di “vedere” fenomeni di stampo mafioso un po’ ovunque, anche dove essi non ci siano assolutamente. Con il pessimo risultato che l’elenco delle opere pubbliche ancora in attesa di essere realizzate sta diventando interminabile. Adesso rischia di aggiungersi alla lista perfino l’Expo di Milano. Il nostro sistema di giustizia sembra incapace di distinguere le eventuali responsabilità di singole persone, che pure è giusto che siano accertate, dall’opera in sé, la cui continuità è fondamentale poter garantire per rispettare le consegne.
Come invertire la rotta?
La prima questione è di carattere culturale: ci sarebbe bisogno che la grande stampa nazionale cominciasse a dare spazio anche a posizioni critiche nei confronti delle attuali politiche fiscali. Magari ascoltando le voci di chi critica Renzi da destra e non soltanto da sinistra.
Matteo Rigamonti