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 2014  novembre 06 Giovedì calendario

ULTIME SULLE ALLUVIONI. IL CASO DEL CARRIONE, UN FIUMICIATTOLO CHE ESCE DAGLI ARGINI DUE VOLTE L’ANNO E CHE CREA DANNI A RIPETIZIONE A CARRARA, DEVASTANDO CASE E NEGOZI. LA PROVINCIA DOVEVA FARE I LAVORI PER METTERLO IN SICUREZZA E NON LI HA FATTI, LE ACCUSE DEL GOVERNATORE. E PENSARE CHE D’ESTATE È COSÌ SECCO CHE NEL SUO ALVEO I BAMBINI CI GIOCANO A PALLONE


Anche l’ultima alluvione è scolpita nel marmo. Come le altre che l’hanno preceduta, nel 1936, nel 1952, nel 1982, 1985, 1992, 1996, 2003, 2009 alla vigilia di Natale, 2010 (due volte), 2012 (tre volte), 2013 e via esondando fino a ieri mattina, seconda tappa del consueto calvario annuale dopo quella di fine luglio.
La causa di tutti i mali è un fiumiciattolo che con un paio di giorni soleggiati riprenderà presto il suo aspetto di rigagnolo, con un alveo così secco che d’estate i bambini del centro storico ci giocano dentro a pallone. Il Carrione non è il Mississippi, e neppure il Po. Ma nei suoi 20 chilometri scarsi di lunghezza scorrono anche errori, sviste, omissioni e peccati che ne fanno a pieno titolo un fiume molto, ma molto, italiano.
«Il quesito proposto richiede se l’evento alluvionale sulla città di Carrara da parte del suo torrente sia stato condizionato, nell’entità dello straripamento e dei danni, da opere dell’uomo. La risposta, alla luce delle indagini, non può che essere affermativa». Quella del 27 settembre 2003 fu la peggiore. Il fiumetto, qui lo chiamano così, saltò ovunque in città. Morì nonna Ida Niccolai, trascinata dalla piena. Crollò un palazzo storico, ci furono danni per 250 milioni di euro. «Nel bacino del Carrione sono presenti settori costituiti da detriti derivanti e/o connessi con l’attività estrattiva del marmo che fornendo abnorme contributo di materiali solidi hanno provocato straripamenti e danni. Le attività estrattive rappresentano un elemento determinante nella connotazione dell’evento alluvionale».
I venti chilometri del Carrione fanno una serpentina dalle Alpi apuane al mare attraverso 140 cave di marmo. Nel 1960 i lavoratori del settore erano seimila, oggi 600. Il dato indica solo la prevalenza delle macchine, che aumentano la produzione e il conseguente scarto del materiale destinato a contendersi l’alveo del fiume con l’acqua. Il marmo è stato e continua a essere il centro di gravità di Carrara. I tre magistrati che condussero l’inchiesta del 2003 non riuscirono a trovare consulenti che non avessero già collaborato con marmisti, segherie o aziende dell’indotto. Per questo si rivolsero a due tecnici «stranieri», il geologo Alfonso Bellini e l’ingegnere Pietro Misurale, genovesi.
La loro perizia è un elenco di 93 foto che testimoniano l’occupazione sistematica dell’alveo naturale del torrente da parte dei depositi dei rifiuti di lavorazione, con l’acqua costretta spesso a scorrere sui ravaneti, i cumuli di detriti parte integrante del paesaggio. «La presenza di materiale solido è stata talmente rilevante da rendere non attinenti le valutazioni sulla portata della piena». Ci sono fotografie dell’alveo lungo la strada per Colonnata, così pieno di massi abbandonati che l’acqua fu costretta a scorrere sotto l’asfalto, con conseguenze inevitabili. C’è l’incredibile strettoia creata nell’alveo da una piattaforma di cemento sulla quale sorgono due tralicci, che aveva ridotto il bacino da trenta a quattro metri di larghezza. Edifici, strade, attraversamenti. Il torrente è stato strozzato in ogni modo possibile. Quasi tutti gli scempi immortalati dalle 93 fotografie sono ancora al loro posto.
La perizia degli «stranieri» seguiva il torrente dai monti fino all’ingresso nel centro storico. Quel che accadeva dopo, comprese le arcate dei ponti ostruite dai massi, era una conseguenza. Mai più, si disse dopo il 2003, come da copione alluvionale. Furono promessi argini e sponde. L’unica a dire che era tutto inutile senza un progetto mirato «ove possibile» a restituire al Carrione il suo alveo, fu Legambiente, inascoltata Cassandra. A Carrara il marmo non si tocca.
Ci sono voluti trent’anni per limitare lo sversamento della marmettola, la polvere di scarto che aveva dato al fiume un colore bianco latte e aveva fatto sparire ogni forma di vita, topi compresi. I nuovi lavori, iniziati comunque nel 2007, non sono certo dei gioiellini. Nel 2011 lo scavo in profondità dell’alveo nel centro storico venne interrotto per dieci mesi. La ditta appaltatrice aveva fatto crollare un edificio sulle sponde. Contratto rescisso, richiesta danni al Comune, corsi, ricorsi e controricorsi.
Il sottopasso della Ferrovia, 2,5 milioni di spesa, viene ultimato nell’ottobre del 2012. Lo hanno progettato nel punto più basso della zona industriale, in una conca dove confluiscono le acque piovane del Carrione. La seconda alluvione del 2012 fa crollare il nuovo rialzamento dell’argine sinistro del torrente all’altezza del quartiere di Avenza, il più grande e popolato di Carrara. Ieri ha ceduto l’altro argine, in realtà un muro di contenimento appoggiato alla sponda, finanziato con i soldi della Regione.
Il presidente Enrico Rossi chiede alla giustizia di presentare il conto. Qualcuno deve pagare. Appunto. Da tre che erano, i pubblici ministeri del 2003 divennero ben presto uno solo. Erano stati indagati per omicidio colposo e omissione di atti d’ufficio due sindaci, dieci dirigenti comunali, due dirigenti del Genio civile, 32 industriali del marmo. Il 25 maggio 2011, otto anni dopo il disastro, il magistrato superstite prese la parola alla prima udienza del processo. «Mancano venti giorni alla prescrizione di ogni reato» disse. «È inutile persino cominciare».